La grande spada ittica del principe della Baviera

Come mi vedono i miei genitori: erede dei Wittelsbach e figlio di una Savoia, lungamente atteso per salvare il preziosissimo cognome. Alla mia nascita, fu festa grande nell’intero Sacro Impero. Come mi vedono i miei amici: Maximilian il munifico, principe “Azzurro” dal colore preferito dei miei abiti, la gran parrucca d’epoca Barocca, sempre splendido, elegante, colto ed istruito. Come mi vedono i miei nemici: stratega rinomato, militare esperto, flagello dei turchi, che assieme al re di Polonia Giovanni III Sobieski riuscì a rompere l’assedio di Vienna del 1683, potendo contare sulla fede dei suoi soldati e il soldo concesso a schiere interminabili di mercenari. Come vedo me stesso? Questa non è… Una domanda facile…. In un’epoca storica in cui il concetto di ego era ancora stato inventato, e l’introspezione una pratica nota soltanto nel più distante Oriente, i potenti amavano descriversi attraverso i loro averi. La reggia, le terre, l’armatura col lungo mantello…. Il cavallo e le armi che legavano alla loro immagine e amavano impugnare nei dipinti. È perciò estremamente significativo, che la spada più famosa di Massimiliano II Emanuele di Baviera fosse una mostruosità spropositata, che lo stesso Conan il Barbaro avrebbe faticato non poco a far vorticare sopra la linea dei suoi celebri occhi color del mare. Un’arma che definire ancorché medievale, nonostante tale epoca fosse ormai soltanto un ricordo da almeno un secolo, sarebbe apparso quanto meno riduttivo, facendo essa piuttosto pensare agli implementi bellici di talune culture polinesiane, rimaste nei fatti ancora al grado tecnologico dell’era della pietra. E delle ossa. E degli squali.
Se davvero quest’uomo, colui che aveva ordinato la costruzione dello splendido castello di Nymphenburg dopo aver conosciuto il progetto della reggia di Versailles, l’icona e il simbolo di un’intero ambiente nobiliare dominato dallo stile e la cultura della Francia, avesse considerato l’incredibile spadone legato indissolubilmente al suo nome come un qualcosa di diverso da una semplice decorazione fuori dal comune, appesa sopra il suo camino o in condizioni similari, questo non ci è dato di saperlo. Certo è che, se pure dovesse mai averla tenuta stretta in pugno tra le sue mani, ciò deve essere avvenuto durante una parata o per altre occasioni ufficiali. Difficile sarebbe, in effetti, immaginare un altro impiego per una simile giganteggiante assurdità, che sarebbe del tutto anacronistica se pure costruita in solido metallo. Le proporzioni e la forma dell’oggetto, ricavato da null’altro che il caratteristico rostro di un enorme pesce sega (fam. Pristidae) appare in effetti come l’ultima rappresentante di un intera classe di armi, concepita per soverchiare in battaglia una compatta formazione di picchieri o alabardieri, deviando le loro aste con il peso stesso e l’energia della propria carica selvaggia. Zweihander, amavano chiamarle nell’intera area mitteleuropea, mentre in Spagna e Italia erano note come Montante. Ma già oltre 50 anni prima della nascita di Maximilian, l’impiego bellico di tali armi impressionanti era largamente decaduto, lasciandole appannaggio unicamente dei maestri schermidori, che amavano brandirle come semplice dimostrazione della loro forza e abilità. Questo fa capire chiaramente, direi, il prestigio che poteva derivare dal semplice possesso di un simile oggetto. Perché il possesso sottintende l’utilizzo. Le voci girano… E quale nobile attivo in campo militare non amerebbe essere temuto, dai suoi pari e tutti coloro che potrebbe, un giorno, ritrovarsi ad affrontare in duello?
L’effettiva location in cui si trovi questa spada, ad oggi, risulta stranamente confusa. La didascalia originale dell’immagine, che la mostra di fronte ad un possibile attuale proprietario o custode, reca la didascalia in francese: “Une pièce rare dans les mains de l’expert: une forte épée a 2 mains […] / Photo J-M Lamboley” e in questo thread del forum myArmoury.com gli utenti sono pronti a giurare di averla vista presso il sito del Museo di Storia della Germania a Berlino, benché le foto di quell’arma appaiano in realtà sensibilmente diverse, con la guardia ricurva invece che diritta e dimensioni, almeno all’apparenza, minori. Sembra dunque che fosse esistita almeno un’altra spada ricavata dal pesce sega, ed in effetti ce ne furono diverse. Non si tratta, dopo tutto, di un impiego tanto originale per ciò che la natura stessa ha concepito come arma, per l’impiego di quello che è sempre stato, fin da prima della nascita stessa del concetto di società, un astuto predatore dei fondali oceanici e marini. Costituita essenzialmente di tessuti cartilaginei induriti, poiché questi formidabili pesci, come le razze e gli squali con cui sono strettamente imparentati, sono privi di uno scheletro vero e proprio, e ricoperta di strutture simili a denti, perfette per infilzare letteralmente le vittime del colpo arrecato dall’animale. Le quali, in un’ipotetico impiego bellico umano, avrebbero trovato la funzione di una sorta di dentellatura per intrappolare e spezzare la lama del nemico, limitando per il resto molte delle manovre effettuabili contro un nemico corazzato. Ma non esiste l’acciaio, nella profondità del mare…

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La potenza di una portaerei da due milioni di tonnellate

È propedeutico all’analisi immaginarlo nel seguente modo, benché si tratti di un’associazione completamente inventata: mentre osserva da giovane, sul ponte del cacciatorpediniere MST Valhalla, l’andamento dell’ultimo episodio nella guerra che avrebbe posto fine a tutti i naufragi. Uno dei propositi più ambiziosi, e nel contempo inutili, mai intrapresi dai corpi militari: distruggere sistematicamente gli iceberg, come rappresaglia risolutiva per il naufragio del più famoso transatlantico di tutti i tempi, il tragico Titanic. Un’operazione effettivamente portata avanti da svariati paesi del mondo, per tutto il primo ventennio del XX secolo, tramite l’impiego di dinamite, colpi d’artiglieria, siluri, bombe aerotrasportate. Una missione utile a comprendere almeno un paio di cose; primo, che nelle calotte polari del pianeta Terra, per loro implicita prerogativa, si nascondevano fabbriche di montagne galleggianti in grado di continuare la loro opera ancora per per un po’; secondo, che la semplice acqua congelata, ovvero il nostro amico ghiaccio dei frigoriferi, non è poi così difficile da fare a pezzi, neppure utilizzando le più possenti armi a disposizione dell’uomo. E questo lui fu il primo a comprenderlo profondamente, al punto da farne il soggetto principale di uno dei progetti più importanti della sua vita. Lui, l’incredibile Geoffrey Pyke. Ebreo londinese, laureato in legge presso l’Università di Cambridge ma scienziato per professione e propensione personale, che sarebbe stato arrestato come spia in Germania durante la grande guerra salvandosi dalla fucilazione per il rotto della cuffia, che avrebbe costituito nella sua stessa casa a Cambridge, nel corso dei ruggenti anni ’20, l’istituzione scolastica della Malting House, una sorta di applicazione pratica del metodo Montessori, destinata al fallimento finanziario qualche anno dopo, con suo conseguente ricovero temporaneo presso un manicomio. Proprio così: stiamo parlando, essenzialmente, di un vero e proprio scienziato pazzo. Che dopo l’esperienza maturata durante la guerra civile spagnola (1936-39) all’interno del VIAS (Voluntary Industrial Aid for Spain) un’organizzazione di aiuto, produzione ed assistenza tecnica per i guerriglieri appoggiata dal Partito Comunista Inglese, sarebbe approdato come consulente scientifico dell’esercito di Sua Maestà, proponendo diverse applicazioni nuove di vecchi approcci tecnologici, per costruire improbabili veicoli, strane armi, strumenti di ascolto a distanza… Finché nel 1942, non ebbe l’idea più incredibile di tutta la sua vita. Costruire un’isola e mandarla in battaglia!
Non si trattava, questo è scontato, di un’idea venutagli completamente per caso. I capi di stato maggiore inglesi, assieme al resto della leadership e tutti coloro che lavorassero nel settore strategico, erano pienamente a conoscenza dei principali ostacoli che le armate si trovavano ad affrontare contro le forze disgiunte, ma egualmente terrificanti dell’Asse Berlino-Tokyo. Di come nell’Atlantico, gli U-Boat tedeschi imperversassero letteralmente indisturbati, sfuggendo facilmente ai pochi e brevi pattugliamenti effettuati da aeromobili la cui autonomia, purtroppo, non gli permetteva di allontanarsi granché dalle bianche scogliere di Dover. E del giustificato timore che avvolgeva il piano di Roosevelt, per raggiungere le coste nipponiche attraverso il Pacifico, superando il vortice di fiamme e la spropositata distruzione che potevano essere dispiegate dalle forze aeree e marittime di quel paese di samurai. Il problema fondamentale in effetti, per tutta la parte iniziale e mediana della seconda guerra mondiale, era che attaccare con il supporto dell’aviazione avrebbe necessariamente richiesto l’impiego di una o più portaerei, ma i velivoli decollati da quest’ultima classe di vascelli erano necessariamente meno potenti, manovrabili e veloci di quelli con base sulla solida terraferma. Inoltre, il progressivo ridursi delle risorse metalliche e minerarie a disposizione stava rendendo difficoltosa la produzione di nuove navi, ponendo un ulteriore ostacolo al prolungarsi fruttuoso della più terribile guerra della storia. Lo stimato, benché disallineato Pyke inviò quindi un suo progetto dagli Stati Uniti, tramite valigia diplomatica, presso il comando delle operazioni marittime inglesi (COHQ) dove era di stanza l’ammiraglio della flotta Lord Louis Mountbatten, un suo vecchio amico che lo considerava, a voler usare un eufemismo, un genio tra gli uomini di questo mondo. Il quale, una volta venuto a conoscenza del fatto che una portaerei gigantesca poteva essere costruita, almeno teoricamente, soltanto con il ghiaccio, restò talmente colpito da doverlo immediatamente portare all’attenzione di niente meno che Winston Churchill, nel quale trovò immediatamente una corrispondenza d’entusiasmo ed intenti. Habakkuk, o Abacuc per usare la pronuncia italiana, era il profeta della Bibbia e scrittore dell’omonimo libro, con riferimento al passaggio: “…E allora vedrete prodigi, in questo mondo, mai neppure immaginati prima d’ora, e quindi conoscerete la spropositata gloria di Dio.” Viste le premesse, è facile immaginare che il piano ricevette l’approvazione del governo, portando ad un suo sviluppo tramite un team di scienziati con più sedi operative, tra cui quella nascosta sotto il mercato della carne di Londra e condotta dal biologo molecolare Max Perutz, il cui lavoro con i materiali da costruzione, riprendendo gli studi una coppia di scienziati di Brooklyn, Herman Francis Mark e Hohenstein, si sarebbe dimostrato semplicemente fondamentale nello stabilire la fattibilità dell’intera questione.
Prima di descrivere, per filo e per segno, di cosa esattamente si trattasse, sarà meglio accennare al singolo aneddoto più divertente dell’intera vicenda, anch’esso probabilmente inventato, pur ricorrendo nelle cronache ufficiali ed almeno un paio di biografie. Si dice infatti che il conte di Mountbatten, ad un certo punto della fase di progettazione, avesse provato un’immediato bisogno di coinvolgere il suo capo di stato nel piano, talmente forte da raggiungerlo presso la sua residenza estiva di Chequers, ad Ellesborough. Trovandosi di fronte all’ostacolo imprevisto della domestica, che gli fece presente come il primo ministro fosse, in quel momento, immerso nella vasca da bagno. Ma egli non si fermò affatto, e raggiungendolo in tale privato momento, immerse un blocco di ghiaccio nell’acqua fumante usata dal grande capo. Per mostragli come, nonostante le aspettative, tale oggetto non si squagliava, non si squagliava per niente…

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Quanto è armato l’uomo più armato degli Stati Uniti?

Gestire un museo delle armi da guerra non affatto semplice, qui da noi in Europa. Indipendentemente dal paese di provenienza, occorrono permessi particolari, uno spazio sicuro guardato a vista 24 su 24, la garanzia di aver effettuato operazioni di disarmo e disinnesco su tutti gli ordigni e le munizioni di maggiore pericolosità. Osservate, per comparazione, l’opera della vita di Mel “Dragonman” Bernstein, il proprietario della Dragonmans Firearms, la più incredibile commistione di poligono di tiro, pista da motocross, spazio espositivo ed arena da paintball, che ospita nel suo capannone sito non troppo lontano dalla città di Colorado Springs fucili, mitragliatrici, granate, bombe aeronautiche, mezzi d’assalto, carri armati… Un personaggio dall’eloquenza ed il fascino certamente singolari, che in questo tour di circa 20 minuti recentemente girato con l’aiuto di suo fratello e pubblicato sul canale YouTube – Hot Brass and Bullets, non fa che riconfermare quanto molti di noi avrebbero sospettato: “La vedete questo cannone anti-carro, questa cassa di munizioni? Niente di tutto questo ha lo scopo di fare scena. È tutto carico e pronto all’uso” (Ready-To-Go). La ragione per cui ciò è possibile va ricercata primariamente nell’aspetto normativo dell’intera questione, e nel particolare funzionamento delle leggi federali sulle armi vigenti negli interi Stati Uniti. Esistono 11 diversi tipi di licenze che possono essere concesse ai proprietari seriali d’implementi bellici, generalmente legate ai diversi tipi di attività commerciali legate ad esse (riparatore, banco dei pegni, importatore, produttore…) e tra queste, una delle più flessibili è quella di tipo 3, pensata per i collezionisti di pezzi storici e “curio” ovvero letteralmente, chincaglieria. Questo perché con l’atto sulle armi da fuoco del 1986, approvato durante la presidenza di Ronald Reagan in risposta al pericolo d’infiltrazione sovietica, è stato grandemente limitato il commercio alla popolazione civile di armi automatiche e dall’alto potenziale distruttivo, fatta eccezione per quelle ricevute in eredità, d’importanza o valore storico, o connesse per l’appunto ad un’attività comprovata di divulgazione archeologica a vantaggio della popolazione. E non credo che nessuno possa negare, in effetti, la valenza notevole del museo di quest’uomo, a meno di scegliere coscientemente di rinnegare il valore della cultura bellica e tutto ciò che ne deriva. Ma ciò potrebbe derivare soltanto da una profonda ammissione di disonestà intellettuale, nevvero? Tanto più assurda, in un paese che della venerazione per le armi e ciò che rappresentano, ha fatto un distintivo e un tratto di riconoscimento, spesso indossato con orgoglio da entrambi gli schieramenti politici che si succedono al comando del paese. Chi non ricorda, a tal proposito, la famosa frase dell’ammiraglio Isoroku Yamamoto durante la seconda guerra mondiale, il quale affermò: “Non ci sarà mai possibile invadere il suolo degli Stati Uniti. Troveremmo un fucile nascosto dietro ogni singolo filo d’erba.”
È una visione del mondo che si evolve attraverso le decadi, pur restando costante attraverso la storia di quelle terre: la cognizione dello stato di pericolo costante che deriva da possedere un qualcosa, ed il bisogno che ne deriva di proteggerlo ad ogni costo, anche a costo di doverlo fare da soli. Quel qualcosa, naturalmente, è la Libertà. Ogni eventuale retrospettiva non può che riconfermare tale affermazione: ci provarono in molti, a forare questa scintillante stella appuntata sul bavero dello sceriffo. Da principio gli inglesi, durante l’epoca del colonialismo e del residuale diritto divino, non ancora disperso dai lumi della rivoluzione. Quindi la terza parte dell’Asse, cavalcando l’onda del Pacifico su poderose portaerei. Seguiti dall’alleato scomodo dell’Unione Sovietica, trasformatasi negli anni della guerra fredda in un sincero e profondo affronto verso l’eredità stessa dei Padri Fondatori. Durante gli anni oscuri di una tale epoca nacque, inevitabilmente, un’intera mitologia moderna attorno a una nube dell’incombente disastro, legata agli avvistamenti degli UFO, le cospirazioni dei rettiliani, la cognizione di un paese pieno di mostri e creature misteriose. Mentre osservate, per comparazione, l’onnipresente figura odierna dello zombie d’ispirazione afro-caraibica: un morto senza cervello, senza soldi o particolari prospettive. A suo modo, ancor più temibile di qualsiasi testone Grigio fornito di sonda anale. Perché affetto da una malattia per la quale l’unico antidoto possibile è una generosa dose di piombo, somministrata a distanza con il maggiore calibro a disposizione in base al momento corrente. E si, a scanso di equivoci: di bersagli a forma di zombie Mr. Dragonman ne possiede parecchi nella sua area dedicata alla prova pratica dei reperti meno rari e delicati. After all, è proprio QUELLO che piace ai giovani d’oggi, giusto?

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Il bersaglio preferito di una frusta da 25 metri

“Har, har, har!” Esclamo estatico Categnaccio, mentre un’altro dannato stramazzava a terra, raggiunto alla schiena dalle tre punte del suo forcone. Una sottile pioggia di lapilli cadeva dal cielo grigio cenere, mentre un fiume di lava andava a perdersi tra le colline all’orizzonte, scorrendo impossibilmente all’incontrario. “Ben trovato…” Iniziò a dire Barbauncinata, mentre estraeva la mazza attaccata a una lunga catena “…amico…” con un sibilo nel vento, il pesante sferoide borchiato raggiunse i malleoli di uno sparuto gruppo di malfattori “…mio!” La pallida scusa per una stella a neutroni per metà già spenta, ciò che passava per Sole a questi profondi recessi dell’Inferno, gettava una luce violacea sulla scena priva di un briciolo di speranza. Dagli alberi morti scorrevano rivoli di resina color del sangue. “Come ti va questa bella giornata?” Categnaccio ritrasse il forcone, fermandosi per assumere una rara posa neutrale: “Ebbene! Che dovrei dirti. Quaggiù è la solita noia. Non puoi neppure infilzare un cuore umano, che il suo possessore stramazza a terra stecchito e devi firmare il modulo affinché l’Angelo della Morte venga a resuscitarlo. Quando ho fatto richiesta di lavorare in questo posto, non pensavo di essere IO la vittima del tormento Eterno.” Al che, Barbauncinata assunse un’espressione tristemente solidale: “Oh, ti capisco, so bene cosa vuol dire. Da quando prendo di mira le ossa, questo problema l’ho superato. Ma per ogni cliente soddisfatto, ce n’è uno che si rifiuta di trascinarsi con la sola forza delle braccia nel fango pieno di sanguisughe, mentre tenta di fare ritorno al monte del Purgatorio. Se soltanto…Se soltanto ci fosse un MODO migliore!” Al che, un occhio di fiamme si aprì al centro della pianura, trapassando con le sue ciglia d’acciaio un paio di corpi umani momentaneamente abbandonati dai loro spiriti, condannati all’eterno tormento. Dall’oscuro varco della pupilla, iniziarono a palesarsi un paio di corna, quindi una lunga coda, seguìta dal volto più orribile che mente diabolica potesse mai concepire. Era Dragobardo, il vice-direttore incravattato di codesta orripilante Bolgia. “Buongiorno e buonasera, miei stimati dipendenti. Ero intento a dare una strigliata ai due vecchi padiglioni auricolari, quando non ho potuto fare a meno di appuntarmi sul libro Nero il vostro breve e vietato scambio d’opinioni. Lasciate che ve lo dica, oggi è il vostro giorno fortunato!” Mentre parlava i dannati dell’intera valle parevano come immobilizzati, colpiti dall’ipnotismo della sua voce suadente: “Poiché non sono qui oggi per punire, ma per ricompensare. Con la… Conoscenza. Vedete…. Il vostro problema è l’approccio, non certo l’impegno. Perché mai sfruttate, non senza un certo encomiabile grado di zelo devo certamente ammetterlo, due armi fatte per mutilare ed uccidere? Dovreste ben sapere che non è questo il vostro dovere.” Pronunciando ogni parola con enfasi perversa, l’oscuro signore della XXII si chinò lievemente in avanti. Portò le mani artigliate dietro la schiena, per presentarle di nuovo dinnanzi a se, ben stretti nella sua presa, due oggetti simili a gigantesche liquirizie marroni. “Vi presento…” Così dicendo, srotolò quanto descritto: “Il signore e la signora frusta.” Con uno schiocco poderoso, la lunga striscia di cuoio nella sua mano destra sembrò animarsi di volontà propria, raggiungendo alla schiena il più vicino del gruppo dei procuratori legali corrotti. Uno schiocco terribile fece eco all’invisibile movimento, mentre la frusta sinistra parve allungarsi d’un tratto, avvolgendosi attorno al collo di uno spacciatore di coca tagliata male. “Ecco, vedete. La potenza di un’arma fraintesa. Contrariamente al concetto che ne avete voi diavoli di prima linea, la frusta non è fatta per ferire o causare dolore.” Mentre pronunciava questo, un gemito congiunto delle sue vittime parve esprimere un’opinione di acuto dissenso: “Si tratta di un’arma che causa lo stato più terribile immaginabile per questi due malfattori. La cosiddetta…Paura.” A questo punto Barbauncinata guardò Categnaccio, quindi fu il primo a inchinarsi di fronte al suo superiore. Gli artigli protesi all’altezza del naso a teschio, chinò lo sguardo e attese di ricevere l’inaspettato, quanto utile dono. Il suo collega, dal canto suo, parve momentaneamente esitare, quindi comprese la gravità della situazione. Con un grugnito, ricevette controvoglia il dovuto.
Nel frattempo, molti chilometri sopra la volta del sottosuolo, un giovane volenteroso si apprestava a mettere alla prova l’ultimo prodotto della sua famosa officina. Bryan Ropar, il suo nome, ma molti l’avrebbero conosciuto prima o poi come patrimonio di Internet, ovvero genio fantastico dell’intrattenimento spontaneo e il sovvertimento delle altrui aspettative. Titolare di oltre 15 canali, che spaziano da argomenti come la fisica, la storia dell’aviazione, l’elettricità, le armi costruite in casa, fino a quelli dedicato alle sfide della sua vita di persona affetta da una forma lieve di autismo e un’importante passione, collezionare sedie bianche di plastica da giardino. Il cui tratto più personale, se vogliamo, è una tendenza a non andare generalmente fino in fondo in ciascun esperimento proposto, lasciando spesso gli spettatori perplessi ma per qualche strana ragione, più divertiti di quanto riescano a fare molti dei suoi colleghi del Web. Come la volta in cui aveva costruito un cannone ad aria compressa, senza mai mostrarlo sparare per “Non rischiare di danneggiare le sedie” Oppure la misteriosa questione dell’automobile a razzo (all’apparenza un sedile con alcuni tubi in PVC) cui tutt’ora, sei mesi dopo, mancano le ruote, il volante e…Svariate altre cose. Ma udite udite, non stavolta. Non questa dannata volta. In cui egli sembrava disposto a tutto, pur di dare un senso all’ultimo prodotto della sua grande creatività.

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