Siamo abituati ad associare determinate forme a specifici animali, come se derivassero dagli stessi princìpi basilari della natura. Ma quanto di tutto ciò costituisce un’imprescindibile eredità biologica, e quanto invece nasce da un costrutto artificiale, frutto delle manipolazioni più o meno artificiali effettuate dalle pregresse civiltà, nei confronti del proprio rispettivo contesto d’appartenenza? Molto, moltissimo, praticamente tutto… Nel caso del cavallo. Imponente, slanciato, aggraziato ed agile, nella commistione di fattori che costituiscono l’aspetto attribuito al nostro secondo “migliore amico”. Laddove l’asino ed il mulo, creature di una percepita nobiltà inferiore, appaiono al confronto tozzi e compatti, bestie da lavoro meramente utile e perciò quasi del tutto prive della stessa innata eleganza. Eppure come per il cane, il pesce rosso ed altre innumerevoli specie asservite alla nostra necessità di condividere i momenti, ciò che abbiamo fatto non è propriamente quello che PENSIAMO di aver fatto. E la forma originaria, ovvero il nesso stesso dell’intera questione, può essere trovato nell’ormai rarissima presenza che nitrisce in zoo, santuari e una manciata di recessi ricavati nella patria Mongolia d’origine, dove lo chiamavano il takhi. Non che oggi molti continuerebbero a farlo, vista la preferenza pressoché globale per l’appellativo frutto della sua prima classificazione di “cavallo di Przewalski”, dal nome dell’esploratore russo che per primo si trovò al cospetto di una simile creatura, riportandone dei resti in patria nel 1881, per lo studio approfondito ad opera del suo collega Ivan S. Polyakov. Ed in effetti quello fu l’inizio, di una serie di stravolgimenti tassonomici del tutto necessari ad integrare simili creature nello schema equino generale, vista la poca somiglianza fisica, muscoloscheletrica e fisiologica con tutto quello che ha gli zoccoli al concludersi di un lungo tragitto ereditario, essenzialmente imprescindibile da un tempo in cui fu fatto schiavo, e utilizzato con reciproco guadagno dagli umani. Poiché persino il cavallo selvaggio per eccellenza, l’indomabile Mustang nordamericano, così come il suo antesignano australiano brumby, sono la diretta discendenza dei quadrupedi all’origine impiegati per il trasporto, lo spostamento e il traino dai primi coloni di provenienza europea, come facilmente desumibile dall’effettiva assenza di simili specie nel patrimonio biologicamente endemico del territorio. Lasciando questo caso, più di qualsiasi altro, come l’unico effettivamente funzionale a ritornare con lo sguardo e l’immaginazione a un’epoca di cavalli ormai da lungo tempo dimenticati. Un passaggio niente meno che fondamentale, persino necessario, al fine di poter riuscire a preservare quanto è ormai da tempo in bilico sul baratro, causa la progressiva riduzione almeno a partire dal XIII secolo, quando i cronisti al seguito dell’orda di Genghis Khan rilevarono il bisogno di descrivere in maniera approfondita un incontro con creature appartenenti a questa specifica varietà equina. Esemplificandone già all’epoca la rarità, destinata sfortunatamente ad aumentare…
specie
Incontro alle Hawaii con l’adorabile voracità del pesce porcospino gigante
Ed in fondo, perché no? Perché non dovrei andare a dare da mangiare alle anatre? Previa presa di coscienza della maniera in cui nel resort di Ko Olina, presso l’isola hawaiana di O’ahu, le anatre presentano un aspetto assai particolare. Basso e largo, chiaramente rettangolare. Gli occhi sporgenti simili a obiettivi di una videocamera, le ali basse mantenute perpendicolari alla superficie della laguna. Una stravagante livrea a puntini che ricorda chiaramente quella di altri uccelli, ben più lontani dal novero di quelli a noi più familiari. E il becco… duro ed affilato, adatto alla consumazione di pietanze particolarmente coriacee. Così come le due spesse labbra, pallide come copertoni di uno spazzaneve utilizzato per tenere libere le strade norvegesi. Questo perché, occorre a un certo punto sottolinearlo, le anatre di Ko Olina non sono affatto degli uccelli, ma particolari appartenenti all’ordine ittico dei tetraodontiformi, famiglia Diodontidae, dalla classica combinazione di termini greci e latini capace di alludere al significato di “[pesce] dai due denti”; una strana priorità d’altronde non ripresa nella logica del nome comune rilevante, assai più descrittivo nel suo complesso: porcupinefish, l’anima del porcospino (o istrice) letteralmente trasferita in un contesto acquatico. Fino all’ottenimento di un pesce piuttosto comune nei mari di mezzo mondo, ma che tuttavia non può evitare di stupirci per l’aspetto stravagante rispetto alle normali cognizioni di cosa dovrebbe essere una creatura che si aggira in mezzo ai flutti, costituendo al tempo stesso sia preda che predatore. Ed il cui processo evolutivo precedente, proprio al fine di resistere alle implicazioni problematiche della seconda condizione, è giunto a dotarla di un’eccezionale dote di sopravvivenza; quella utile non soltanto a sembrare “più grande” ma riuscire in senso letterale a diventarlo, mentre il suo corpo si ricopre di aculei estremamente acuminati e potenzialmente imbevuti di uno dei veleni più terribili di questo mondo. Benché la maggior parte di quest’ultimo risieda dentro gli organi e in particolare nel fegato dell’animale, rendendolo pericoloso in modo particolare nella sua accezione gastronomica di fugu, la pietanza nipponica famosa come straordinaria prelibatezza nipponica, nonché prova di coraggio per la sempre valida opportunità che un taglio inesatto, o inappropriata preparazione, possa condurre ad uno shock respiratorio dalle conseguenze non meno che letali. Il che non rende d’altra parte il pesce meno grazioso quando, senza ricorrere alle proprie notevoli armi d’autodifesa, si avvicina con fare pacifico alla mano che lo nutre, finendo per ricordare vagamente la naturale indole amichevole della carpa koi, benché le sue preferenze in materia d’alimentazione rendano opportuno dargli, come fatto nel presente video, pezzi di carne o pesce sfilettato piuttosto che semplici molliche di pane. In quantità sufficiente per una creatura dalle dimensioni niente affatto trascurabili di fino a 60 cm, ovvero abbastanza da farne il più grande tra i pesci palla del pianeta Terra. Così che una volta assunta la sua forma battagliera, il termine di paragone maggiormente proporzionato risulta essere individuabile nel pallone per giocare a basket. Di un tipo che nessuno, in alcun caso, dovrebbe mai stringere direttamente con le proprie stesse mani…
Scoperto nel cratone l’animale con più zampe d’Australia e del mondo
Un modo molto strano per pescare, quello in uso presso Yilgarn nell’Australia Occidentale, in quelli che prendono il nome niente affatto casuale di Goldfields: Campi Dorati. Prima si scavano dei pozzi verticali nella nuda roccia, tra i 60 e 150 metri di profondità ed appena 150 mm. Quindi si lasciano passare diversi anni, se non decadi, scavando ed estraendo materiali da quel sito e negli immediati dintorni, provvedendo a trasformare l’area in una ragionevole approssimazione del formaggio Emmenthaler. Quindi un giorno in apparenza come tutti gli altri, un gruppo di scienziati provenienti da diverse università australiane e il politecnico della Virginia statunitense immettono all’interno del pertugio un lungo filo verticale. All’estremità del quale è situata quella che viene comunemente definita come trogtrap, un tubo in PVC traforato, ricoperto a sua volta di fori e pieno di pezzi di foglia, muschio e mucillagine di vario tipo. Questo perché non c’è alcun tipo di verme, a fare da esca, in quanto il verme se vogliamo è proprio il bersaglio di una simile attività. Una creatura lunga e serpeggiante, sotterranea, ma che non possiede anelli ma segmenti in grado di sovrapporsi l’uno all’altro, né risulta particolarmente incline a strisciare. E perché mai dovrebbe farlo, quando la natura l’ha dotata di ALMENO 1.306 zampe distribuite in appena una decina di centimetri e meno di un millimetro di diametro, perfettamente in grado di fungere all’unisono, come addestrati soldati di un’esercito silente dall’alto livello di disciplina? Oh Eumillipes Persephone, il primo “vero millepiedi” che vanta il nome della regina dell’Oltretomba nell’antica Grecia, rapita ogni anno dal dio Ade al solo scopo di essere la sua consorte per i lunghi mesi dell’inverno metafisico apparente. Una stagione che potrebbe facilmente non finire mai, così come le verdeggianti terre d’Australia diventarono, all’altro lato del pianeta, luoghi aridi ed inospitali, dolorosamente privi di pioggia, convincendo un’antica genia d’artropodi a trasferirsi armi e bagagli nelle più umide profondità del sottosuolo. Per assumere caratteristiche di tipo troglomorfico, come la colorazione pallida, una testa priva d’occhi ma dotata di un gran paio d’antenne dai sensilla sia meccanici che chemioricettivi, dalla forma conica abbastanza resistente da riuscire a incunearsi tra fessure e crepe di quel mondo privo di luce. Il che lasciava, essenzialmente, un singolo problema operativo: come fare per poter vantare forza sufficiente a farsi strada nei pertugi maggiormente resistenti, affidandosi alla meccanica implacabile della sua stessa persistenza? Se non vedendo crescere grazie al meccanismo della selezione naturale, una generazione dopo l’altra, il numero dei propri arti nell’unico senso possibile visto il suo stile di vita; quello longitudinale. Una soluzione in realtà tutt’altro che rara in questo clade dei colobognati, famiglia Siphonotidae, sebbene siano molto poche le creature in grado di poter vantare lo stesso successo in tal senso. O per essere ancor realistici essenzialmente una soltanto, il millepiedi imparentato alla lontana della specie Illacme plenipes, riscoperto nel 2005 dopo ben 80 anni dall’ultimo avvistamento, da un altro membro del politecnico della Virginia, Paul Marek. Dotato di appena 3 cm di lunghezza negli esemplari di tipo femminile, oltre a un record rilevato di “appena” 750 zampe, comunque più del doppio dei più dotati millepiedi conosciuti fino a quel momento. Ma per il resto morfologicamente simile in parecchi aspetti, inclusa la dotazione di gonopodi simili a pugnali al nono e decimo segmento, arti specializzati nella fecondazione e deposizione delle uova, nonché il dimorfismo tra i due sessi che vede il maschio maggiormente lungo (e zampa-dotato) della sua controparte femminile. Una notevole ancorché innegabile prova dell’antichità di questi esseri, potenzialmente riconducibili ad un antenato comune risalente a quando ancora l’Australia faceva parte di un’unica massa continentale indivisa, epoca durante la quale questo stesso sito oggetto del notevole ritrovamento avrebbe avuto d’altra parte un aspetto ragionevolmente simile a quello attuale. Questo implica in effetti il nome stesso di cratone, il più antico ed immutato tipo di crosta continentale, contrapposto all’orogene inteso come punto instabile dove si formano le montagne. Una massa per lo più granitica situata nella parte centrale dei continenti, collegata direttamente a una sezione del mantello superiore. Fonte assai frequente di notevoli ricchezze minerarie, nonché in rari casi come questo, veri e propri tesori biologici provenienti dalle occulte regioni del sottosuolo…
A proposito degli scorpioni che le piogge hanno dislocato nelle case di Assuan, sulle rive del Nilo
Esiste un detto di suprema saggezza ripetuto nei più angusti meandri dell’Universo. Un’aforisma la cui pertinenza per lo meno trasversale non è stata mai neppure per un attimo soggetto di confutazioni, appelli o tentativi di sovvertimento. Esso recita: “Potrebbe anche andare peggio: potrebbe piovere.” E non c’è luogo maggiormente impreparato, dal punto di vista organizzativo, ad affrontare l’effettiva ricorrenza di un simile evento che una delle zone maggiormente secche della Terra, per un clima desertico che ha prevalenza fin da molto prima dell’arrivo della razza umana. Benché intendiamoci, da queste parti esseri del tutto uguali a noi sono vissuti da svariati millenni, come ben sappiamo grazie ai lasciti archeologici di una delle più antiche civiltà al mondo. Assuan, città egizia un tempo nota con il nome storico di Siene (o Swenett) fondata nel corso del terzo secolo a.C. dal faraone Tolomeo III, famosa per le sue cave granitiche che furono lungamente impiegate al fine di costruire le piramidi e altri giganteschi monumenti. Nonché in modo forse meno storicamente fondamentale, ma non meno caratterizzante, la quantità notevole di artropodi velenosi all’interno dell’ordine degli Scorpiones, superiori a 30 generi appartenenti a una significativa varietà di generi e famiglie. Tra cui i Buthus e Compsobuthus, generalmente non più grandi degli esemplari che saremmo indotti ad identificare tra i confini delle nostre case. O gli Orthochirus dalla forma compatta, la cui piccola quantità di veleno assai difficilmente potrebbe costituire un problema per l’organismo umano… A meno di essere affetti da condizioni preesistenti. Ma il catalogo finisce per espandersi eccessivamente, giungendo ad includere anche due delle creature più pericolose al mondo appartenenti ad una tale genìa, recentemente citate anche dal New York Times: i terrificanti Androctonus, di fino a 10 cm di lunghezza dalla coda spessa come un pugnale ed il Leiurus quinquestriatus, una specie di colore giallo la cui dose di veleno letale risulta essere abbastanza piccolo da giustificare il soprannome di deathstalker (“assassino in agguato”) la cui puntura è nota per avere conseguenze rilevanti dal punto di vista medico almeno una dozzina di volte l’anno. Ora, normalmente, simili creature sono solite rintanarsi in luoghi comparativamente umidi e ombrosi, il che tende a portarle talvolta all’interno dei confini urbani. Benché la ragione principale che li vede tanto ben adattati a un simile contesto geografico resti una e soltanto quella: le vaste distese sabbiose dei deserti nordafricani. Finché un qualcosa di supremamente inaspettato, e drammaticamente lesìvo, non finisce per accadere: la precipitazione meteorologica dell’intera quantità di acqua normalmente caduta in un anno, nel giro di appena un paio di settimane. Abbastanza per cambiare radicalmente, e drammaticamente le regole di un tale accordo non scritto tra creature senzienti e simili silenti cacciatori dei pertugi.
Andando perciò ben oltre le annuali piene del grande fiume Nilo, che per tanto del tempo trascorso avevano permesso la prosperità delle coltivazioni agricole egiziane, gli eventi piovosi di questi ultimi due anni hanno avuto un costo particolarmente significativo per l’amministrazione cittadina di Assuan. A partire dal maggio del 2020 e poi di nuovo l’estate successiva, con una casistica ancor più grave iniziata in questo novembre del 2021, tale da coinvolgere le abitazioni di una quantità stimata di 2.000 famiglie e causare il crollo di almeno 106 case rurali al conto attuale (cifre destinate, assai probabilmente, ad aumentare ancora). Per non parlare dei 5 morti fino a questo momento, uno dei quali sembra tuttavia riportare una causa d’inaspettata natura: la puntura di uno scorpione. Una brutta casistica vissuta a quanto pare da altre 400 vittime, fortunatamente destinate a sopravvivere all’esperienza. Già perché a quanto riportava ad inizio settimana l’emittente araba Al Jazeera, con una storia entusiasticamente ripresa dalle testate di tutto il mondo, la caotica propagazione delle acque ed i conseguenti sconvolgimenti ambientali hanno portato ad una letterale invasione di questi aracnidi all’interno della abitazioni umane, nel tentativo disperato quanto istintivo di salvare se stessi e la propria prole. Ora esistono molte tipologie di piccoli animali, per cui la convivenza a stretto contatto con la gente non potrebbe portare a gravi ed immediate conseguenze. Ed alcune delle specie fin qui citate, senza dubbio, rientrano all’interno di una simile categoria. Per le altre, invece, vale l’esatto contrario, scomodando l’esatto confine opposto dell’ideale scala della pericolosità corrente…