Così trilla il chiurlo dagli occhiali, minuto dinosauro della dannazione

Secondo una storia degli Aborigeni Australiani che può essere paragonata al mito cristiano di Adamo ed Eva, nell’antica epoca del sogno una sola donna cieca era nata dal fango primordiale del regno della Creazione. Il suo nome era Mudungkala ed ella ebbe un solo figlio, il cui nome era Purrukapali. Successivamente alla nascita spontanea degli altri esseri umani, costui scelse una moglie di nome Bima, ed i due ebbero a loro volta una creatura di nome Jinani. Ma nell’accampamento era presente un giovane senza moglie, Japara, che seducendo la consorte di Purrukapali era solito persuaderla ad appartarsi assieme a lui nella foresta. In un tragico giorno, mentre i due compivano l’ennesimo adulterio, il piccolo Jinani era stato abbandonato per alcune ore, e sotto i raggi crudeli del sole australe, morì. Non appena il padre Purrukapali lo venne a sapere, si adirò in modo terribile, e prendendo in braccio il bambino, giurò che si sarebbe tolto la vita gettandosi in mare, condannando al tempo stesso l’intera umanità. Così dove s’immerse per il suo viaggio di non ritorno, tre gorghi terribili presero forma a largo dell’odierna isola di Melville, tanto potenti da poter inghiottire l’intero continente. Ma Japara, nel tentativo di placare l’ira di Purrukapali, usò la sua magia per trasformarsi nella Luna, e dalla volta celeste intraprese una battaglia contro il suo rivale che continua tutt’ora. Per questo la Luna è ricoperta di cicatrici, ed ogni mese “muore” per tre giorni, causando il sempiterno fenomeno delle maree. Ma per la madre sconsolata Bima, sconvolta dal senso di colpa, rimaneva un unico destino: vagando senza posa nella notte, ella vide crescere sul proprio corpo un manto di piume. Ed il suo lamento diventò un suono ritmico e ripetitivo, che gli abitanti delle isole avrebbero associato in seguito al volatile dal nome onomatopeico di Weeloo, o Willaroo. Temendolo come la morte stessa perché invero, tale annuncio naturale altro non è che un messaggio dell’ora della fine, latore di condanna al pari del verso della civetta nei contesti boreali, collegato a storie folkloristiche di mille streghe o esseri mannari mangiatori di carne umana.
Molti anni dopo, quando gli Europei fondarono la propria colonia penale di Botany Bay, i numerosi naturalisti che avevano accompagnato le prime spedizioni nell’entroterra scelsero un’associazione decisamente meno preoccupante per gli esponenti locali di questa genìa volatile, parte della grande famiglia cosmopolita dei Burhinidae: ribattezzandolo così stone curlews o “chiurlo della pietra” benché fossero decisamente pochi i punti di contatto con l’uccello trampoliere degli scolopacidi, vista comune mentre pesca su talune spiagge del Vecchio Mondo. Laddove questi pennuti d’Australia, anche detti occhioni per la grandezza ed efficienza dei propri organi oculari, sono cacciatori per lo più notturni d’insetti e piccoli vertebrati come roditori, anfibi o rettili, benché non disdegnino l’occasionale cattura di un granchio ghermito sotto le acque limpide, che quindi procedono a sbattere ripetutamente sul suolo ghiaioso, nel tentativo di porre rapidamente fine alle sue sofferenze. Del tutto inconsapevoli del preistorico bagaglio che accompagna, come un terribile presentimento, l’occasionale suono ripetuto della loro “mistica” presenza…

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L’oblungo re dal muso equino che sovrintende al popolo dei salmoni marini

Fulmine-che-cresce si alzò in piedi sulla piccola canoa di legno, nel tentativo d’individuare il segno rivelatore. Secondo l’usanza Qwidicca, delle genti “degli scogli e i gabbiani” il suo piano era contare gli sbuffi prodotti dal grande abitatore delle profondità, al fine di determinare se fosse appropriato scagliare il proprio arpione nel fianco della balena. Gli spruzzi delle onde rendevano più arduo compiere l’impresa, mentre persino Piccolo-lupo, il suo compagno in questa caccia necessaria alla sopravvivenza del villaggio, sembrava scomparire in mezzo alla foschia mattutina della baia di Neah, verso le propaggini di quello che gli Europei avevano iniziato a chiamare il canale di Vancouver. Scorto all’improvviso un dorso scuro della lunghezza di almeno un paio di metri, sollevò impugnando lo con ambo le mani il suo appuntito arpione in legno: egli ben conosceva il rischio, sempre presente, che la coda del cetaceo colpisse la canoa, causandone il rovesciamento e conseguente naufragio. Ma mentre guardava verso Piccolo-lupo, nella speranza che il compagno fosse al sicuro, scorse qualcosa di spaventoso ed altrettanto inaspettato. L’animale marino a ridosso del suo scafo non era infatti ciò che gli era parso in un primo momento, bensì un pesce oblungo dal grande occhio gelatinoso, il volto cavallino, la cresta lungo l’intera estensione assai più simile al profilo di una catena montuosa. Entrambi si trovavano, in effetti, al cospetto di un sacro spirito protettore: il Re dei Salmoni, che conduceva i suoi soggetti fino all’imbocco dei fiumi. Lanciò un grido d’avviso, sperano di essere abbastanza udibile tra lo scroscio incessante degli elementi. Poi, lo vide. Dal fondo della sua imbarcazione, l’amico aveva sollevato un lungo tubo metallico, l’arma tonante dei bianchi provenienti da Est. In qualche modo, in qualche momento, Piccolo-lupo si era procurato un fucile. E non avendo ancora compreso l’effettiva situazione in essere, aveva tutta l’intenzione di usarlo! Mentre si apprestava ad allineare quel bastone demoniaco al sovrano, Fulmine-che-cresce gridò ancora, capì di non essere stato udito. In un ultimo gesto disperato, lasciò cadere l’arpione in mare ed impugnò con entrambe le mani i remi. Se quello che temeva fosse capitato, molto probabilmente, il suo intero popolo ne avrebbe pagato le conseguenze…
Lungamente si era discusso secoli prima di quel momento, nella teologia, di un mondo all’altro capo dell’Atlantico, del serpente marino o manifestazione subacquea dell’Apocalisse. Fino a raggiungere il consenso che sebbene fosse impossibile verificare i racconti dei pescatori, qualcosa d’ineffabile ed inconoscibile la sotto persisteva realmente. Una creatura che attorno alla metà del XIX secolo, fu possibile identificare nei mega-pesci lampriformi della famiglia Regalecidae, capaci di raggiungere la lunghezza di 8 metri. Sulle coste del Pacifico, dell’Atlantico e di più distanti oceani più recentemente raggiunti dalla società dei Lumi, ne persisteva tuttavia un possibile fratello minore, quello che nel 1859 sarebbe stato classificato dall’austriaco Kner come il Trachipterus altivelis o pesce a nastro gigante. Fino a 2 metri (sebbene persistessero esemplari più imponenti) di assoluto e strabiliante Terrore…

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Miceti romani: la cesta magica d’iniqui aromi tra i verdeggianti prati di Villa Ada

Passeggiare per un grande parco della Città Eterna è un’esperienza potenziale di scoperta che conduce l’intelletto ai gusti e logiche dei secoli trascorsi. Così Villa Ada, lungo la Salaria tra i quartieri Trieste e del Pinciano, mostra eclettici edifici del ‘700, i resti di antiche torri di guardia e la famosa palazzina in stile neoclassico, appartenuta per due periodi distinti alla famiglia Savoia. Ma ciò che in molti tendono a dimenticare, per quanto concerne luoghi come questo la cui estensione raggiunge e supera i 150 ettari, è fino a che punto internamente a un simile distretto urbano possa figurare la natura selvaggia ragionevolmente incontaminata, in una finestra così straordinariamente vicina su quello che può essere ampiamente definito come il vero e proprio ecosistema italiano. Finché in mezzo all’erba ed i cespugli, mentre ci si aggira chiamando a se cani o bambini, non si scorge la scintilla variopinta di un qualcosa di… Sbalorditivo. Così titolano i portali di notizie cittadine, facendo riferimento allo sferoide reticolare, rosso fuoco e ricolmo di gelatina, che a quanto parrebbe si è d’un tratto palesato entro i confini di un siffatto luogo ameno. Senza mancare di far menzione del suo catartico “odore cadaverico”, dopo l’apertura ed apparente mutazione mistica da un uovo bianco alla temuta forma finale. Il cuore della strega, scelgono di definirlo con vago riferimento alla vigente stagione di Samhain, benché tale di definizione abbia un carattere di tipo folkloristico dalle acclarate origini mitteleuropee. Laddove nella nostra terra abbiano un’etimologia più chiara appellativi quali clatro, gabbiola, fuoco selvatico o perché no, fungo lanterna. Giacché non siamo innanzi, nonostante l’aspetto artificiale all’apice dell’emersione riproduttiva, ad un giocattolo o una palla di qualche arcana tipologia, bensì l’espressione visibile di quel micete che in particolari circostanze, non desidera altro che essere notato, invaso, consumato da creature artropodi di superficie. Facendo uso di quel particolare carattere, che a noialtri pare disgustoso ma per mosche, lepidotteri e scarabei costituisce l’oggettivo invito ad una festa, che possa condurre alla successiva diffusione delle salienti spore. Non è pianta, non è abile creatura, non ha mente e non ha organi per percepire il mondo. Eppure il Clathrus ruber, membro cosmopolita della famiglia dei basidiomiceti fallacei può contare sugli incalcolabili millenni d’evoluzione, che come le altre specie simili riesce a concedergli la prosperità in un’ampia varietà di contesti. Incluso quello, sotto l’occhio scrutatore di chi abita le moltitudini di case, che ne fa un’intruso irregolare del preciso piano dei luoghi di tranquillità ed introspezione romani…

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Un ufo alla deriva e la difficile missione per stimare il tempo di estinzione del Polo Nord

Spiacevole ma significativo si sarebbe rivelato il fato degli equipaggi della Erebus e la Terror, le due navi partite nel 1845 dall’Inghilterra, nella ricerca del leggendario passaggio a nordovest che avrebbe eliminato la necessità tanto frequente di circumnavigare il globo. Quando in agosto di quell’anno i rispettivi capitani, certi di poter varcare la baia di Baffin, rimasero bloccati in mezzo ai ghiacci. Trovandosi a dover abbandonare i rispettivi scafi, intraprendendo un viaggio a piedi destinato a culminare con il proprio annientamento tra i ghiacci dell’estremo settentrione terrestre. E non si può fare a meno di tornare con la mente, almeno in parte, a quel drammatico inizio della storia delle esplorazioni polari, quando si apprende il progetto intrapreso ormai da oltre mezza decade ad opera della fondazione francese Tara, tra gli ultimi “guardiani dell’oceano” che riescono a ottenere fondi dalle commissioni per il clima nazionale ed europea. Un’evoluzione, se vogliamo, dei viaggi ad alto rischio già compiuti nel 2004 e nel 2006 oltre la linea del 66° parallelo, dove gli alberi smettono di crescere, a bordo dell’eponimo schooner varato nel 1987 dal grande marinaio Sir Peter Blake. Grazie ad un’imbarcazione progettata dallo stesso architetto navale, Olivier Petit, ma in base a crismi totalmente diversi. Via lo scafo col profilo di un nocciolo di oliva, verso l’adozione di una forma ellissoide che assomiglia vagamente al cerchio di una stereotipica nave spaziale. Sormontata da una cupola geodetica, con significative strategie d’isolamento termico per l’equipaggio di 18 persone contenute all’interno. Questo per l’idea alla base dell’effettivo impiego futuro di tale implemento, ispirato a una tipologia di tradizionali, ed ormai quasi secolari missioni organizzate dagli scienziati russi; allorché come l’originale Papanin del 1937, e come la recente Severny Polyus, la nuova stazione polare francese impiegherà il proprio motore e 130 metri cubi di diesel prodotto sostenibilmente al fine di raggiungere i confini della compatta calotta glaciale artica. Incagliandosi intenzionalmente, non al fine di procedere, bensì trascorrere fino a 18 mesi in tali condizioni estreme trasportata dalle correnti oceaniche, senza la possibilità di ricevere rifornimenti e con temperature in grado di oscillare tra i 30 e 50 gradi sotto lo zero. Un’opportunità unica, e altrettanto rischiosa, di approfondire in modo straordinario le regole di un tale ecosistema, facendo il possibile per individuare un modo utile a fermare l’attuale processo di deriva climatica. Che potrebbe trasformare tutto questo, entro pochissime generazioni, in un ricordo lontano…

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