La lunga strada di Rosetta verso la cometa

Rosetta

Essere umani fino a quello, giungere ad un punto tanto estremo e divergente. Di ricordarci, all’improvviso, della cosa che avevamo perso, volontariamente, quasi 11 anni fa. Tra un vortice di fiamme! Oltre il velo delle nubi! Lungo l’aria rarefatta e infine, molto-molto dopo, al di là di corpi cosmici e pericolosi bolidi interplanetari. È questo il metodo, d’altronde, in cui si svolge ciascun viaggio. L’entusiasmo che monta, gradualmente, fino al giorno lungamente atteso e poi la noia. Per ore ed ore, di aeroplano, automobile, biscia di vagoni su rotaie senza fine. Verso quel momento memorabile della giunzione, ovvero quando si uniscono le aspettative, con la verità finale. Sarà all’altezza, il rosso Marte, dei tre o quattro anni che ci metteranno ad arrivarci? Tanta vita, messa al servizio di un’ipotesi, soltanto. Potranno i nostri eroi futuri, tanto probi e così sfortunati da essere i prescelti, edificare, costruire, preparare la colonia dell’umanità esodata del domani…Tali ed altri orridi quesiti, resteranno misteriosi, fino alla realizzazione dell’Ipotesi, la messa in opera dell’Obiettivo. Ma una cosa è certa: ci dimenticheremo di loro, prima dell’arrivo, esattamente come abbiamo fatto con Rosetta, l’infiocinatrice intelligente.
Immaginate di svegliarvi una mattina, fra il lusco e il brusco, con un sogno ancora nella mente: “Capitano Achab, baleniera Pequod. Quanto è vero il soffio caldo dei Monsoni, prenderò l’aringa bianca che ho avvistato col mio cannocchiale. Dovessi metterci l’intera vita, arr!” Pressappoco questo, meno il pappagallo e la gamba di legno, fecero i maggiori esponenti del management dell’ESA (l’agenzia spaziale europea) nel 2000, alla stesura teorica delle quattro cornerstone missions per i successivi 15-20 anni: SOHO, l’osservatorio destinato alla superficie fiammeggiante della nostra stella, il grande Sole, da usarsi assieme a Cluster II, un gruppo di sonde lanciate ai margini della magnetosfera; XMM-Newton, cannocchiale orbitante a raggi X rivolto ai confini dello spazio più profondo; l’intrepida Rosetta, di cui sopra/sotto; e infine INTEGRAL, un satellite per lo studio dei fenomeni dei raggi gamma. Proprio come il sogno. Anzi, c’era un’altra differenza: il pesce si chiamava 67P/Churyumov–Gerasimenko, dai suoi scopritori che riuscirono a scorgerlo nel 1969 per caso, mentre osservavano le lastre fotografiche di un’altro macigno rotolante con la coda di cometa: 32P/Comas Solà. Fast-forward di 45 anni, cosa vuoi che sia.
Perché questo fanno, gli scienziati ingegneristici al servizio dell’esplorazione cosmica: pianificano con estremo anticipo, emulando i tempi dilatati dello spazio siderale. Altrimenti come potremmo mai venire a patti col concetto di una sonda, lanciata da 10 primavere a questa parte, che soltanto adesso potrà dare i frutti di una scienza tanto lungamente attesa! Decodificando, come da nome rilevante, l’antica stele multi-lingue, che da un decreto del faraone Tolomeo V Epifane (196 a.C.) ci svelò il segreto degli eterni geroglifici egiziani.

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Sembra un fiore, invece è ferrofluido

Ferrofluido

Porcospino nero liquido che scorre. Ma non verso il basso, all’incontrario! Su per la salita e fino in cima, ad acquosa mimesi dei capelli, dove sboccia fior di cardo, senza freni gravitazionali. Se lo tocchi, la mano ti diventa nera. Non lo fare. Un liquido ben saturo di particelle di metallo, ecco che cos’è. Già piuttosto fuori dal comune, come sostanza, senza andarci a mettere anche la forza motrice dell’elettro-magnete. Nascosto, come in questo caso, sotto a una scultura dalla forma funzionale, eccezionale. Nel creare uno spettacolo perfettamente logico e fisicamente saldo, eppure innaturale. Guarda: pare proprio un gioco di prestigio.
Questi fluidi misteriosi, una vecchia conoscenza dei video virali internettiani e diversi gruppi d’artisti, derivano dall’agglomerato di innumerevoli minuscole particelle (anche meno di 10 nanometri ciascuna) di ematite, magnetite o ferro, diluite all’interno di un liquido che ne annienti la viscosità. Olio, possibilmente, o un qualche tipo di solvente organico. Altrimenti, altro non diventerebbero che sabbia bagnata. Mentre da tale commistione nasce l’incontro fortunato qui messo in mostra, che dimostra chiaramente le caratteristiche del secondo stato della materia, liquidità, eppure ha una sua forma corrugata e incancellabile. Pronta a riapparire, nel momento della verità: ovvero quando si accendono le telecamere, tu guarda il caso. Il fenomeno si chiama Normal-field instability benché non abbia, all’apparenza, proprio nulla di normale. Avevate mai visto l’acqua, quel preponderante re dei fluidi, disporsi nell’apparente susseguirsi di picchi e valli, picchi e valli, in un modo tanto carico di sottintesi, interessante al tocco e affascinante per lo sguardo… Forse, se vivete su Titano, sesta luna di Saturno. Oppure, in altri luoghi ultramondani. Qui da noi, questa è l’unica maniera, che fa capo a quello che si chiama, per l’appunto, ferrofluido. Non certo ferro, fluido.
Il suo comportamento nasce dall’incontro di diverse forze contrastanti. La maggiore, chiaramente, è quella della potente calamita, generalmente al neodimio, usata per sollecitare il movimento. Come in un motore d’altro tipo, questa pone le basi della scena, a partire da quel gesto quasi universale, la pressione di un interruttore. Ma non c’è niente di indotto, in quello che succede dopo; ebbene si, contrariamente all’apparenza, questo succedersi di bitorzoli è la forma che garantisce la migliore conservazione d’energia. E dunque, ciò che l’ordine prestabilito del cosmo impone per definizione, addirittura in tali assurde circostanze. In cui la gravità deve combattere con quell’unico nemico che conosce, il magnetismo, e nel farlo stabilisce la surreale forma d’armistizio.
L’energia percorre il fluido, tendendo a disperdersi. Ma poiché l’aria è meno invitante, a tale scopo, di quest’acqua nera, per ciascuna propaggine l’endemica viscosità interviene sulla linea di ritorno, creando l’avvallamento dell’onda. In un perfetto susseguirsi regolare, fino al ritorno sospirato di uno stato di equilibrio, semplice e apparente. Imposto al mondo per il pubblico ludibrio di colui che lo comanda.

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La cavalletta grande come il Texas

Neobarrettia Spinosa

Trentasei telecamere, ciascuna posta sopra il ramo di un albero e chi ce l’ha messa? Quale sciocco mai vorrebbe assistere a delle scene tanto sconvolgenti…I virionidi sono un gruppo di cinguettanti passeriformi, lunghi al massimo una decina di centimetri, davvero graziosi e variopinti, che negli ultimi anni stanno lentamente scomparendo dall’intero meridione degli Stati Uniti. A partire dal 2010 un gruppo di studiosi della University of Notre Dame, tra cui Kathryn N. Smith e James W. Cain III, ebbe a mettere su carta e memoria digitale il modo in cui, un po’ come la tipica gazzella nella savana, i piccoli di questi uccelli fossero appetibili ad un vasto ventaglio di affamati predatori. Come previsto dal nutrito gruppo di scienziati, ben presto, ci si rese conto che i nidi di questi uccellini, pesanti qualche grammo appena, erano più affollati di un fast-food la sera di Natale: i serpenti americani dei topi (Elaphe obsoleta lindheimeri), tendenzialmente, proprio lì venivano a servirsi per la colazione. Giusto un uovo o due, niente di che. Qualche uccello vaccaro (Molothrus) al primo sopraggiungere di un vago languorino, allargava il suo grosso becco, facendo sparire un povero pulcino. Oppure tutti quanti, perché no. Stuoli di formiche, addirittura, si aggiravano per quei luoghi alquanto sfortunati, marciando in file parallele, nella speranza di trovare piccoli morti o vaghi rimasugli dell’altrui spietata libagione. Teschi già scarnificati, becchi ancora saporiti…
Ogni qual volta uno dei nidi sotto osservazione subiva un attacco, gli scienziati continuavano ad osservare i genitori degli uccelli, finché questi ultimi non tornassero a un comportamento normale, come se nulla fosse mai accaduto. Solo così, la natura poteva continuare sulla sua strada. Ma l’evento più incredibile l’avrebbero registrato il 10 luglio del 2010, verso le 11 di sera, da un obiettivo posto sopra un albero di Sophora secundiflora – E meno male, altrimenti chi ci avrebbe mai creduto! Qualcosa entrava dai confini dell’inquadratura, con lunghe zampe dalle molte spine…
I diavoli con gli occhi rossi, secondo un modo di dire popolare, sarebbero questi spettacolari appartenenti alla famiglia dei Katydidi, anche detti Tettigonidi o cavallette dalle corna lunghe. Al contrario della maggior parte dei loro parenti europei, questa particolare tipologia di insetto è voracemente carnivora e notturna, essendosi adattata, attraverso gli anni della sua vertiginosa evoluzione (ogni anno, due generazioni) a divorare qualsivoglia essere si muova, emetta suoni o vibri leggermente ad ogni singolo respiro. L’esemplare oggetto di questo spettacolare video, per l’appunto, è una Neobarrettia spinosa maschio, presa nell’atto di arrampicarsi sopra il ramo di un terrario, dalla sapiente telecamera di Precarious 333, autodefinitosi: “L’uomo con la telecamera e una relazione d’amicizia con gli insetti”. Il sesso della bestia, in questo caso, è facile da definire, visto che la femmina, oltre alla ricca selezione di zampe, ali, antenne, spine etc. presenta una vistosa spada posteriore, null’altro che, in effetti, lo strumento usato per deporre le sue uova, sotto un rassicurante manto di terriccio smosso.
Un privilegio, chiaramente, negato ai virionidi, volatili nidificatori, l’involontario oggetto di un simile sguardo, rosso e preoccupante…

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Spirito di un flipper, lascia queste penne!

Lyrebird

PEW! PEW! In Australia, certe foreste suonano come una sala giochi. E la colpa è soprattutto sua, di questo uccello elettronico. SWIIISH! Con il dietro tecnologico, simile a un’antenna, e altoparlanti ben nascosti, nel profondo di… Un siringe molto sviluppato, al suddividersi della trachea. Non c’è neanche la laringe. Nell’uccello (superbo) della lira. Che non è un galliforme, né un fasianide, né tanto meno un pappagallo, nonostante le sue doti di perfetto imitatore auditivo, di ogni cosa che squilla, romba, trilla o cigola distante. Bensì un passeriforme, o per meglio dire, il terzo più grande al mondo, dopo il corvo imperiale e il corvo avvoltoio dell’Africa Nord Orientale, bestione dal cipiglio minaccioso. Mentre lui invece, ispira simpatia. Preferisce correre, piuttosto che volare. È lungo quasi un metro al massimo, dal termine della maestosa coda fino alla minuta testa, dotata di due buffi occhi tondeggianti e un sottil becco grigio, oggetto di ben poca attenzione. Ma quando lo apre, con esso si apre il Cielo. Inizia la festa, perché non c’è limite ai rumori che l’uccello può produrre: si ritiene, in effetti, che il Menura (questo il nome scientifico) sia l’uccello con l’apparato fonatorio meglio sviluppato in assoluto, strumento che utilizza spesso e con impavido entusiasmo, al fine di chiamare la sua lei-senza-una-coda, presso una radura e sotto il sole della primavera. A quel punto, come da copione, si applica nel suo abile pavoneggiarsi, una vera e propria danza seducente. Coronata dal momento in cui, alla fine, alza in verticale le due lunghe penne mediane, le dispone con le tredici filamentarie in un accenno di raggiera e poi le porta innanzi, per correggere la ricezione? Per deviare il vento del mattino? Per finire sulle banconote, i francobolli? L’effetto complessivo, ad ogni modo, resta straordinario. E conduce immancabilmente alla deposizione di quell’uovo nel suo nido, uno solo, da covare per un tempo di 50 giorni. Prima di ricominciare.
E si può ammirare un simile spettacolo, dall’inizio alla fine, nell’incontro qui video-documentato con quell’uccello marroncino che dovrebbe avere, stando all’utente redditiano Ornate Giant, nome e cognome. Sarebbe infatti Nova, l’uccello lira maschio del santuario di Healeswille, nel piccolo stato meridionale di Victoria, posto ad affacciarsi sull’oceano verso la Tasmania. Non proprio uno zoo, quindi, ma comunque un luogo che gli ha consentito di conoscere gli umani. E ascoltando i suoni di quel variegato ambiente, assumerli ed incorporarli nel suo repertorio. In natura, questi uccelli soprattutto fanno questo: costruiscono sequenze. Hanno già in mente, nel momento in cui si mettono all’opera, il preciso medley da produrre, sulla base di chi hanno di fronte.
Ed è buffo, perché dal nostro punto di vista umano, sembra quasi una presa in giro: quell’uccello che ti fissa, gorgheggiando, facendoti dei versi strani. Mentre invece, quello, chiaramente, è puro amore!

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