Con le circa 270 specie note alla scienza il discorso tassonomico sugli esseri che hanno perfezionato il consumo di altre creature può sembrare spesso un discorso chiuso da tempo. Con il sistema ecologico della catena alimentare, in cui ogni piramide prevede al suo vertice soltanto un numero limitato di nicchie disponibili, la differenziazione degli stili di vita prevede d’altro canto dei confini chiaramente definiti, oltre i quali si tende a spingersi entro il reame della pura e imprescindibile fantasia. È perciò molto raro, con l’ultimo esempio americano risalente a 25 anni prima di quella data, che i libri dell’archivio vengano di nuovo aperti, per apporre il nuovo nome di qualcosa che si muove, respira e agguanta le sue prede con famelica chiarezza d’intenti. Fino all’inizio degli anni 2000 quando, osservando attentamente alcuni reperti custoditi al museo dello Smithsonian, il curatore della sezione dei mammiferi Kristofer Helgen non avrebbe notato una discrepanza per dimensioni, forma e dentatura nei crani a sua disposizione dei procioni di provenienza sudamericana. Particolarmente per taluni esemplari provenienti dalla Colombia, che parevano invariabilmente più piccoli degli altri appartenenti al genere Bassaricyon (bassaricione) alias olingo, abitante arboricolo della foresta nebulosa subtropicale. Il che avrebbe dato luogo ad una rapida presa di coscienza, seguìta dalla raccolta di dati e misurazioni accurate delle svariate centinaia di campioni presenti nei musei di tutto il mondo, per un periodo che avrebbe richiesto alla squadra di ricercatori da lui coinvolta un gran totale di 10 anni. Per giungere infine al consenso che una spedizione in loco, attentamente organizzata con l’obiettivo di trovare un esemplare vivo, avrebbe finalmente permesso di chiarire l’ipotesi latente. Opportunità ulteriormente sostenuta dalla comparsa online di una fotografia, scattata da un abitante del luogo nel 2013, che pareva discordante dall’esempio di una delle tre specie principali di bassaricioni già note. Un arrivo dell’intera equipe che avrebbe permesso, in breve tempo, non soltanto di confermare l’esistenza del “nuovo” animale chiamato scientificamente Bassaricyon neblina, ma addirittura caratterizzarne l’effettiva diffusione come relativamente frequente, a partire da altitudini remote tra i 1.500-2750 metri dove precedentemente i suoi parenti più stretti mancavano di attestazioni precedenti. Una delle ragioni per cui agli abitanti nella zona pedemontana delle Ande, fin da tempo immemore, era mancata l’opportunità di conoscerli approfonditamente. Assieme al fatto che questi animali assomigliano notevolmente, se visti da lontano, ai semplici esemplari giovani o più piccoli del comune olingo. Ma l’apparenza, come è noto, può frequentemente trarre in inganno…
evoluzione
La rivoluzionaria scoperta etiope del primo ed unico lupo impollinatore
Oggetto piramidale dai colori vivaci, l’infiorescenza iconica della Kniphofia o giglio torcia è una visione ricorrente sugli altipiani rigogliosi che vengono comunemente identificati come il tetto del continente africano. Isole sopraelevate, dotate di una propria fauna, un ecosistema indipendente ed un singolo, temuto superpredatore: il lupo etiope, Canis simensis. Qualifica che indubbiamente stride, a conti fatti, con la relazione mutualmente utile identificata tra queste due specie, ad opera dei ricercatori facenti parte del programma per la conservazione di questo canide endemico, di cui restano allo stato brado solamente 500 esemplari. Immaginate dunque la sorpresa di questa equipe guidata dalla biologa di Oxford, Sandra Lai, all’avvistamento di uno di questi ultimi alle prese con un’attività più tipica di api, vespe o farfalle, consistente nel recarsi in rapida sequenza tra i punti popolati dalle piante dell’erba sopracitata. Infilando a turno il proprio naso tra quei petali, per suggere il dolce nettare contenuto all’interno. Un processo di foraggiamento già abbastanza raro per i mammiferi, praticato solamente dai più piccoli in contesti vari, tra cui pipistrelli, marsupiali, roditori, ma letteralmente inaudito nel caso di un grande carnivoro, per di più specializzato in uno stile di vita che si riteneva ormai acclarato da moltissimi anni.
Grande all’incirca come uno sciacallo, e con un manto rosso e bianco che ricorda quello di una volpe, tale coabitante di babbuini e antilopi di montagna era stato in effetti originariamente studiato da Charles Darwin in persona, che osservando la caratteristica lunghezza del muso, lo aveva identificato come possibile antenato remoto delle razze di levrieri. Notando inoltre come un simile fenotipo avesse in realtà lo scopo di facilitare l’animale nello svolgimento della sua principale attività di predazione, praticata nei confronti del roditore Tachyoryctes macrocephalus o ratto talpa dalla testa grande, inseguito con sveltezza fino alle buche camuffate tra l’erba entro cui “tuffarsi” con un salto mirato del tutto simile a quello della volpe artica del remoto Nord del mondo. Una propensione agevolata da ulteriori accorgimenti strategici per la sopravvivenza, tra cui una vita in branchi di fino a 20 esemplari formati da più maschi ed una singola femmina dominante, unica partner attiva dal punto di vista riproduttivo. Con un conseguente rischio non trascurabile di consanguineità, combattuto dai lupi mediante l’interscambio dei membri dei diversi gruppi, nonché l’accoppiamento occasionale con cani domestici ritornati allo stato brado. Il che costituisce, come potrete facilmente immaginare, un problema non da poco per le attività di chi vorrebbe preservare la purezza di una specie ormai tanto rara…
Osserva i fuochi azzurri nella notte, d’insetti che risplendono come fatui fantasmi
L’approccio logico a fare di tutta l’erba un fascio, tipico eufemismo per semplificare i discorsi, porta a immaginare che possa esistere una singola “versione” di ogni essere, cosa o concetto. Così che specie tipiche, singole classi di creature, diventano rappresentanti di un’intera categoria, annullando differenze spesso significative al mero servizio di un’astrazione. Cos’è una “lucciola”, d’altronde, se non un fuoco fatuo che si aggira fluttuando tra gli oscuri alberi della foresta? Sebbene simili scintille lampeggianti, abbiano un colore diverso, un’agilità maggiore, una frequenza, che in alcun modo corrispondono al comportamento degli accumuli di gas metano che ardono sopra il terreno umido di torbiere o paludi. In ogni caso tranne questo. Altrove, ma non qui: nella zona di Asheville o nella foresta di DuPont, in North Carolina; presso il parco di Rocky Fork State, in Ohio; e innumerevoli altri luoghi citati meno spesso nell’ampia fetta di territorio corrispondente alla definizione generica di Appalachia. Luoghi sufficientemente incontaminati e per questo in grado di mantenere un’appropriata biodiversità animale, che è poi la principale risorsa necessaria perché simili entità possano trovare la ragion d’essere dei loro agili volteggi notturni. Stesso modo in cui gli uccelli risultano maggiormente colorati ove ce ne sono in quantità maggiori, o i fiori diventano più colorati nei paesi principalmente coperti di vegetazione, poiché l’evoluzione tende ad individuare un beneficio nel possesso di un metodo per evitare i fraintendimenti dell’identità di una tipologia tra le presenze adiacenti. Da cui l’impegno singolare della Phausis reticulata, specie di coleottero appartenente alla famiglia delle Lampyridae, anche noto localmente come fantasma azzurro. Per la sua distintiva bioluminescenza, frutto del solito enzima luciferase contenuto nell’addome, ma qui capace di emettere una luce fissa che ricorda quella di un fornello impossibilmente sospeso. tra i segnali delle altre lucciole dal metodo più stereotipico ed intermittente per individuare i propri partner riproduttivi. Affinché gli errori tra i dissimili possano essere evitati. E le generazioni dei fantasmi cerulei, finché possibile, perpetrare il proprio teatrale stile di vita…
Sognate serpenti, disse la falena. Sarà nettare, la lacrima che bagna piume dormienti…
Incubus è il nome di creature che soggiogano i pensieri vulnerabili, si aggirano nel buio alla ricerca di sinapsi da fagocitare con le proprie bocche simili a proboscidi uncinate notturne. Mostri della fantasia dell’uomo, che risiedono dove la fantasia è reale; in quello spazio tra il sonno e la veglia in cui qualcosa si agita dinnanzi alle nostre pupille. Abbastanza solido, sufficientemente tangibile perché l’idiosincrasia diventi carburante dello spostamento tra i regni. Di un’infinità di universi possibili, tutti egualmente terrificanti. Ed Incubus è anche il soprannome, liberalmente assegnato online, ad una particolare categoria di esseri soggetti a metamorfosi, creature che strisciano verso il tramonto, si librano quando la Luna è alta ed in prossimità dell’alba, prima di cercare con chi riprodursi, suggono la risultanza dell’altrui perdita transitoria di coscienza. Sono di volatili diversi, figli di una discendenza più antica, dinosauri che da tempo hanno raggiunto la grandezza di un chihuahua. Per poi continuare a rimpicciolirsi. Finché sopra un ramo di quella foresta in Sudamerica, non dorme appollaiato il Tamnofilide o antbird dal mento nero, passeriforme lungo una dozzina di centimetri che si ciba abitualmente d’insetti tra cui formiche, ragni e beh… Farfalle. E che non penserebbe mai, durante le ore di veglia, di ritrovarsi a dare nutrimento ai suoi stessi ancestrali nemici. Semplicemente, piangendo! Una scoperta non del tutto sorprendente, pur essendo infusa di un carattere decisamente surrealista, quella fatta dal naturalista Leandro Moraes qualche anno fa nell’Amazzonia, ove scorse con i propri occhi la questione in corso d’opera. Il frangente senza precedenti registrazioni note, di un lepidottero posato sulla testa dell’uccello ormai sopito, che succhiava in mezzo alle palpebre dal pozzo umido del bulbo oculare contenuto all’interno. Gesto alquanto terribile a vedersi… Eppur totalmente privo di conseguenze; se è vero che il pennuto non soltanto evitava di ribellarsi. Bensì mancava, addirittura, di risvegliarsi!
È una tecnica ben collaudata, d’altra parte, quella della erebide del genere Gorgone, qui documentata in una pratica d’insetti vari che già sapevamo coinvolgere mammiferi, rettili e persino persone. Il cui nome sufficientemente descrittivo risulta essere “lacrimofagia”. Mangio tristezza in altri termini, o più semplicemente la conseguenza collaterale dell’azione umettante, che ogni essere dotato di organi per la vista ben conosce come necessariamente continuativa per l’esigenza protettiva dell’organismo. Risultando al tempo stesso, così deliziosamente salmastra, tanto saporita e gustosa…