“Dannato Zardoz, questa volta non mi sfuggirai!” Esclamò Gordon fra se al semaforo, mentre si guardava attorno circospetto, prima di attraversare la trafficatissima Rodeo Drive, la sua micro-astronave sfavillante sotto il caldo sole della California verso l’inizio della primavera. Cromature, dietro al suo sellino, cromature sul manubrio e le fiancate, cerchioni cromati e neanche a dirlo, un casco degno di far parte di un servizio in silverware, con tanto di coda aerodinamica appuntita, per incoraggiare l’aria a far la scia. E in tasca un foglio consegnatogli direttamente dal sovrano direttorio della Federazione dei Pianeti, con sopra l’identikit, la descrizione e l’itinerario del nemico pubblico numero 1, un uomo incauto e disattento, che per l’ultima volta aveva messo i suoi bastoni tra le ruote del club dei potenti della vecchia Terra, John, Jim, Jackson e Lorelene (l’unica donna dell’intera cintura alcolico-asteroidale!). D’improvviso, i pirati della Sesta Luna palesarono il consueto attacco aurale, sul momento della curva delicata per immettersi su Carmelita Avenue per dirigersi verso i territori periferici di Santa Monica, quando un grosso Hummer-tron, veicolo tutt’altro che inusuale in tali luoghi, suona il clacson disturbante all’indirizzo del centauro spaziale. Con la mano destra che già lascia il suo manubrio, per stringersi sul calcio della piccola pistola a raggi in dotazione dal consueto sferoide rosso in punta, come le ray-gun dei vecchi film di fantascienza, Gordon guarda chi c’è a bordo della minacciosa fuoristrada; ah, ok! Di nuovo! È soltanto un giovane che lo saluta, sorridendo. Ah, questi terrestri… Non avete mai neppure visto, un’astro-personal-motorbike-aerodynamic-Decoson? Sollevando momentaneamente gli occhialoni da aviatore, l’eroe galattico si solleva in alto sul sellino, quindi compie un gesto di spontanea simpatia. Ma l’attimo di relax è già trascorso, mentre i letterali metri al secondo scorrono sotto di lui, assieme all’asfalto e a ogni residuo di tranquilla umanità. Le ingiustizie devono essere contrastate. E il fattorino-criminale, questa volta, porterà la pizza al giusto club dei giocatori di ruolo fanta-stellare. La “Federazione”, per l’appunto, dei Pianeti. “Dannato Zardoz!”
Strani veicoli si aggirano per le strade degli Stati Uniti occidentali: non sono molti, ma colpiscono immediatamente l’immaginazione. L’opera complessiva del glitterato garage di Green Pass di Randy Grubb, nel verdeggiante Oregon dei parchi naturali e della Cascade Range, costituisce l’insolita dimostrazione di quello che succede quando il buon gusto (piuttosto raro) incontra la tipica passione statunitense per i mezzi di trasporto personalizzati, costruiti generalmente con finalità meramente utilitaristiche, come le classiche hot-rods prive di cofano, o votate agli eccessi ad ogni costo, vedi tutti quei rombanti monster trucks con ruote giganti, oppure i dragsters, veicoli sottili quanto un freccia, ed altrettanto abili nel curvare. Mentre qui siamo di fronte ad un qualcosa di generalmente utilizzabile, benché non proprio limitato da un design che si possa realmente definire, minimalista. Ed è proprio dalle misurate vie di mezzo, ancora una volta, che nasce un principio totalmente oggettivo di assoluto ed armonia. Le sue creazioni più recenti, coronamento di un progetto nato attorno al 2012-13, meritano poi un paragrafo del tutto dedicato: visto che costituiscono, per la prima e speriamo non ultima volta, l’applicazione del suo metodo al mondo delle due ruote, con tre classi ben distinte di scooter e moto, ciascuna, di per se, degna di guidare sugli anelli di Saturno. In primo luogo abbiamo il deco-bipod, sostanzialmente nient’altro che un motorino Piaggio Fly 150, al quale è stata rimossa interamente la carrozzeria, per sostituirla con…Qualcosa…Di unico. Un vero e proprio guscio aerodinamico in alluminio, del tipo che lo stesso Randy sa creare, un singolo pezzo alla volta, ribattendo il malleabile metallo con i suoi strumenti, tranquillamente degni di trovare posto nell’officina di un fabbro. L’oggetto è organico e flessuoso, con un corpo a forma di goccia che si stringe nella parte posteriore, un singolo faro frontale e due luci di posizione montate su gondole rialzate, simili agli ugelli di un razzo spaziale. Le rivettature delle singole piastre, incastrate tra di loro a formare una serie di linee organiche ed attraenti, non vengono nascoste, ma piuttosto sono messe in evidenza, come previsto da uno stile che enfatizza il ruolo tecnologico dei suoi singoli elementi (chi non ricorda Metropolis del 1927, il film muto capostipite del genere raygun-punk). Ma la storia, chiaramente, non finisce qui. Nei primi mesi del secondo anno, infatti, l’artista si è procurato un altro motociclo della piaggio, nient’altro che il popolare scooter a tre ruote denominato “MP3”. Un mezzo certamente più pesante, e stabile, più che mai adatto a sorreggere una sovrastruttura di alluminio ancor più stravagante. Dotata, questa volta, di ben due sportelli, e persino una griglia da radiatore degna di una Bugatti degli anni ’20 e ’30. E non siamo ancora giunti al non-plus ultra: immaginatevi cosa potrebbe fare un’individuo simile, trovandosi a disporre di una Harley-Davidson Sportster del 1984…