Armi antiche e moderne, strumenti di battaglia, metodi affilati per provare le proprie ragioni o deviare l’impassibile progresso degli eventi. Recidere il pesante velo che talvolta, nonostante l’incessante impegno, può coprire l’effettiva verità delle cose. Quale metodo migliore da impiegare, a tal fine, che una spada? Il naturale prolungamento del braccio umano, impugnato fin da tempo immemore per segnare l’ascesa e la caduta degli Imperi. Tra cui uno dei maggiormente duraturi e vasti, soprattutto nel contesto dell’Asia Orientale, sarebbe diventato per tre secoli a partire dal XIV quello solido dei Ming, discendenti dell’etnia “cinese” per eccellenza, fondata sul rispetto di determinate cariche e valori, tra cui il rispetto dei propri antenati e tutto quello che si erano prefissati di riuscire ad ottenere in merito all’estensione del Celeste Impero. Ma non è mai stato possibile perseguire obiettivi di un simile tipo territoriale, nel corso serpeggiante della Storia, senza incrociare sul proprio cammino gruppi sociali o alterne fazioni, a loro volta dotate di aneliti diametralmente opposti, ovvero in diretta contrapposizione col sacro volere del Figlio dei Cieli. Così a partire dal 1441 il potente generale Mu Ying ricevette l’incarico e le risorse, egualmente necessari, al fine di condurre l’ambiziosa tripla spedizione di Luchuan, al fine di consolidare il turbolento confine tra la Cina e il regno di Birmania, attuale Repubblica del Myanmar. Ritrovandosi a dover fare i conti con la problematica assenza logistica di materiali per poter rimpiazzare le armi perdute o consumate, almeno fino alla creazione di una solida alleanza con il popolo locale degli Achang, genti in grado di sopravvivere quasi esclusivamente tramite la pastorizia ed il commercio dei metalli estratti dalle proprie antiche miniere sui rilievi limitrofi dell’entroterra continentale. La storia cinese risulta essere, in effetti, piena di situazioni simili: gruppi sociali o etnici considerati “distinti” poiché paralleli storicamente dalla discendenza dei grandi Han, disposti di volta in volta ad allearsi con il potere costituito in cambio di uno status migliorato o i diritti commerciali lungamente rifiutati ai propri antenati. Questo particolare caso nella contea di Longchuan, tuttavia, avrebbe assunto tinte atipiche quando i fabbri al seguito dell’armata imperiale scoprirono, tra le genti locali, un talento pluri-secolare nella costruzione d’implementi metallici, sebbene tradizionalmente appartenenti alle sole categorie normalmente prosaiche di rozzi attrezzi per l’agricoltura ed altre pacifiche attività umane. Non per molto ancora: così narrano le cronache, redatte da ambo le parti, che i tecnici discesi dall’allora capitale di Nanchino avrebbero insegnato tutto quello che sapevano ai fabbri degli eremi elevati, ottenendo da loro un ritorno considerevole per l’investimento di tempo e competenze, consistente in un tipo di lama tra i più formidabili che il Regno di Mezzo avesse mai conosciuto prima di allora: “Capace di tagliare il ferro come fosse fango, e arrotolarsi attorno alle dita.” Un’iperbole, quest’ultima, allusiva all’alto contenuto carbonifero e conseguente flessibilità del metallo impiegato, fin dai tempi immemori, dagli Achang per costruire implementi che potessero essere nascosti all’interno della cinta dei pantaloni. Eppure ciò che avrebbe avuto modo di scaturire dalle loro forge a partire da quel momento, in più di un singolo modo, sarebbe stato in grado di cambiare il corso stesso della Storia…
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La storia sotterranea del sussidio che portò alla democrazia del formaggio di stato
È abbastanza normale per un’amministrazione presidenziale statunitense trovarsi a risolvere, poco tempo dopo l’insediamento, un qualche tipo di problema ereditato a causa delle scelte politiche ed organizzative del predecessore. Nel caso di Ronald Reagan, tuttavia, tale casistica sembrò assumere proporzioni del tutto nuove, quando gli amministratori dell’erario si trovarono a fare i conti con l’esistenza di circa 1,3 milioni di Kg di formaggio proprietà dello Stato, lentamente avviato ad ammuffirsi in una vasta quantità di siti di stoccaggio segreti. Letterali caverne sotto il suolo del paese, concettualmente non così dissimili da Fort Knox se solo “l’oro” fosse visto, ed allo stesso tempo ridefinito, dalla prospettiva di un roditore. E per capire come si sia giunti a questo, sarà dunque opportuno ritornare indietro di ulteriori 32 anni, quando nell’immediato dopoguerra la produzione agricola statunitense parva risentire di un significativo rallentamento del mercato, causato almeno in parte dall’introduzione di una dieta maggiormente diversificata ai molti dei livelli della società contemporanea. Ragion per cui venne deciso con l’Atto Agricolo del 1949, ultima conseguenza della strategia economica varata da Roosevelt con il suo New Deal, che lo stato avrebbe mantenuto stabili i prezzi di determinati prodotti, non calmierandoli dall’alto bensì acquistandone delle quantità variabili secondo le leggi del libero mercato, nella convinzione di poter in seguito trovargli un qualche tipo di destinazione. Prospettiva valida per molti aspetti, tranne quella del fluido al tempo stesso più prezioso e deperibile proveniente dai copiosi allevamenti dell’America rurale: il latte bovino. Che ben presto venne trasformato in burro, latte in polvere e… Formaggio, per l’appunto, nella ragionevole speranza di riuscire a conservarlo più a lungo. La situazione non sarebbe tuttavia davvero sfuggita di mano fino agli anni ’70, quando un generoso programma di sussidi venne implementato durante il mandato di Jimmy Carter, nella ferma convinzione che l’investimento di circa due miliardi di dollari in un periodo di 4 anni sarebbe stata l’unica maniera per contrastare la crisi economica e dei carburanti. Il risultato, non del tutto prevedibile, sarebbe stata una letterale esplosione di produttività. Ogni ranch, fattoria ed allevamento bovino si trovò a nuotare letteralmente nella preziosa e nutriente bevanda, affrettandosi quindi a rivenderla alle autorità sfruttando i metodi creati svariate decadi prima. Così il surplus di formaggio continuava ad aumentare e nella speranza di riuscire a conservarlo più a lungo, l’erario si affrettò a procurarsi spazio in magazzini dalle condizioni climatiche il più favorevole possibili, inclusi quelli situati sotto molti metri di cemento e terra. Era iniziata l’Era del formaggio nascosto e nulla, caso vuole, sarebbe stato più quello di prima…
L’incongrua tradizione della botte immensa e il suo guardiano di-vino
Quando vide l’espressione del suo Principe all’uscita della stanza, il cuoco di palazzo seppe subito cos’era successo. I segnali d’altra parte erano chiari ed il lutto, già nell’aria da diverse ore. Persino la chiave gigante della cantina, era stata riassegnata ad un armigero nei pressi del cortile interno. Proprio mentre lui, l’amico di tutti, l’uomo che sapeva farti ridere anche nei giorni più cupi, l’unica persona cui ognuno, nell’intero borgo di Heidelberg, avrebbe desiderato stringere la mano, aveva lasciato questa valle di lacrime, stava passando all’altro mondo. Probabilmente di cirrosi epatica. Oh, perché! Perché era successo? Perché, no? Perkeo? Se soltanto quel dannato medico, pensò l’osservatore in uniforme candida e l’alto cappello simbolo del suo mestiere… Se soltanto ci avesse ascoltato. Il nostro amico, la fantastica mascotte, il personaggio delle fiabe costruite da casuali circostanze, un nano, un titano. Che mai aveva bevuto nulla che non fosse alcolico. Sul letto della malattia, per tanti anni ricacciata indietro coi suoi metodi, era stato dissetato con un singolo bicchiere d’acqua. Per la collettività, una sostanza portatrice di sollievo. Ma per lui, anatema. E così meno di 24 ore dopo, i brividi, le convulsioni e il decesso. Chi potrà, adesso, fare le capriole beffeggiando i granatieri, con gli stivali troppo lunghi ed alti per percorrere in avanti le scale conducenti verso il suo reame? Chi porterà all’esimio Carlo III Filippo del Palatinato il suo cicchetto mattutino, nella bottiglia dal lungo collo tipico del Baden-Württemberg e il resto dell’Alto Reno? E soprattutto, chi farà la guardia al Großes Fass, il quasi leggendario scrigno del tesoro alcolico creato con la stessa quantità di legno di una piccola corvetta di linea. Per 221.726 litri, pompati all’interno tramite ingegnosi meccanismi e dal nel gran salone dei ricevimenti. Benché fosse raramente del tutto piena, con il piccolo Perkeo a fargli la guardia…
Nessuno sapeva esattamente da dove e in quale circostanze fosse stato reclutato il beneamato giullare di corte del castello di Heidelberg, ivi comparso nel 1718, all’età di soli 17 anni tra la quieta gioia e il reiterato giubilo dei cortigiani. Benché il Principe Elettore del Sacro Romano Impero, che l’aveva conosciuto a quanto pare presso un opificio per la fabbricazione dei bottoni, amasse ripetere che proveniva da Tirolo italiano, ipotesi avvalorata dalla celebre abitudine del basso individuo a rispondere “Perke no?” Ogni qual volta gli veniva offerto un bicchiere di vino. Per cui parve assolutamente naturale, e per molti versi inevitabile, assegnargli la custodia della cantina. Un compito di responsabilità maggiore rispetto a quanto si potesse pensare, in un luogo come questo dove le antiche tradizioni venivano tutt’ora praticate. Inclusa quella di disporre di una grossa, grossa botte per il vino del suo signore. Una questione di prestigio, se vogliamo, così come esemplificato dai tradizionali duelli risalenti alla fine del XVII secolo, quando i sovrani dei diversi feudi dell’area germanica erano soliti combattersi a colpi di status symbol. E non ce n’era alcuno più magnifico, imponente e accattivante di questo…
L’aroma imponderabile del “frutto” più bizzarro dell’Asia Orientale
Banco attraente della fiera sulla strada di un quartiere di periferia, il sole prossimo al tramonto in grado di accentuare i margini e i colori delle cose. Rosso, giallo, il verde smeraldino delle insegne issate dal vicino templo degli antichi Dei della fortuna. “Venghino signori, venghino” [in cinese] “Prezzi convenienti, efficacia garantita. Soltanto i migliori ingredienti, provenienti dai quattro angoli del paese.” Una frase, quest’ultima, di difficile interpretazione. Poiché l’unica pietanza posta sul suo piano di lavoro, alquanto inaspettatamente viste le circostanze, sembrano essere dei grossi pomi dalla forma ovoidale ed un colore tendente al marrone. Che qualcuno chiamerebbe delle zucche, se non fosse per la buccia lievemente bitorzoluta. Quasi come un agrume! Ogni tenue barlume o ereditata aspettativa, d’altra parte, tendono a sparire nel momento in cui l’addetta volta quella cosa e con la massima attenzione, inizia a penetrarne l’inconsueta scorza con un grosso ed affilato coltello. “Quella cosa… È dura.” Viene da pensare tra se e se. Molto più di quanto si potrebbe tendere a pensare. Ma la meraviglia più definitiva doveva ancora palesarsi, così come nel momento in cui portato a termine quel taglio, la superficie mezza sfera risultata fu voltata contro me, il pubblico [potenzialmente] pagante. Eccolo, guardalo, pensalo, credici: marrone come mallo di noce, ed altrettanto liscio e compatto. Quale frutto a questo mondo può essere del tutto secco e privo di polpa? E a dirla tutta, chi mai potrebbe immaginare di riuscire a consumarlo in quello stato? Una risposta presto posta in secondo piano, nel momento in cui il coltello sibila di nuovo. Tagliuzzando le due fette ancora e ancora, in plurime strisce parallele, quindi dei cubetti dalla forma totalmente artificiale. Gli spigoli perfetti, la sostanza intonsa come quella di un cubetto zuccherino. “Oh, Dea della Misericordia!” Continua il filo del ragionamento necessariamente astruso: “Chi di voi ha creato l’assurdo Frutto degli Otto Immortali?”
“Il bāxiān guǒ (八仙果) mio caro atterrito partecipante all’infinita ruota della Vita, e puro appannaggio della parte della Triade che appartiene alla vostra esplicita competenza. Né Terra, né Cielo. Solo e soltanto te, l’Uomo.” Verità rivelata: qualcuno in base ad un’antica procedura, nella grande sala di uno spazio deputato, ha separato la parte superiore della buccia di un grosso pomelo (benché un tempo pare che si usassero i cedri o limoni giganti). Quindi ne ha tirato fuori, un pezzo alla volta, l’interezza della polpa aspra e dal sapore astringente. Per mescolarla e prepararla, assieme ad un intruglio che non avrebbe fatto sfigurare il Primo Alchimista della storia, Zhang Daoling. Operazione a seguito della quale, con contegno quasi tipico di un rituale sacro, ha riversato dentro il recipiente la sostanza risultante. Prima di portare il tutto in un luogo asciutto e caldo, per favorirne l’asciugatura. Oh, stupore. Accompagnato dalla comprensibile domanda di che cosa diamine sia, esattamente, l’assurdo Frutto degli Otto Immortali bāxiān guǒ?