Breve viaggio tra le pistole più piccole del mondo

kolibri-gun

Verso la fine del suo turno di lavoro, l’atmosfera fumosa del saloon pesava sulla testa di Abigail come le corna di un bufalo dell’Alabama. “Cameriera, che dobbiamo fare un altro whiskey a questo tavolo? Mandarti un bel baa-acino? Ahr, Ahr, Ahr!” Con un rapido sguardo, la ragazza poco più che ventenne prese le misure del proprio interlocutore, seduto al tavolo dei giocatori di poker: un mandriano bello grosso, col cappello messo di traverso, gli speroni d’argento ed un vistoso cinturone, appesantito da un vistoso pezzo .38; alzando la voce al massimo, per farsi sentire sopra il chiasso della stanza ed il suono del pianoforte di Stephen, il nipote del becchino, lei rispose in modo neutrale: “Arriva subito, signore!” Quindi si diresse verso il bancone. Olivia, la sua amica d’infanzia e collega di lavoro, le rivolse uno sguardo a metà fra l’intesa e la preoccupazione, ma lei scrollò le spalle: ormai ci era abituata. E non c’era verso di far capire al vecchio Carter, proprietario del locale, l’importanza di una regola del tipo “niente armi sotto il mio tetto” alla maniera di quelle in uso in cittadine più civili, come il vecchio centro abitato di Huntsville. Tanto, cosa importa? Lei conosceva quel tipo, anche vedendolo per la prima volta. Nel giro dei prossimi 15 minuti, la ragazza priva di risorse finanziarie sarebbe ritornata ciò che era, libera dal grembiule e dal cappellino con il fiore finto d’importazione. Al contrario di questi uomini del tutto privi, fin dall’ora della propria nascita, del buon senso che proviene dall’educazione.
La luna piena splendeva già alta nel cielo, mentre il frastuono del locale spariva alle sue spalle. Tra i cavalli nella stalla, prossimi ad addormentarsi, si udì appena il cenno di un fruscìo. Quando d’un tratto, lui era lì: visibilmente ubriaco, l’espressione distorta dalla cupidigia, una mano sul calcio dell’arma e l’altra tesa in avanti per darsi un tono: “Be-bella, hic! Dove te ne vai a quest’ora di, hic! Notte?! Ho detto al mio caro amico John che avresti fatto qualcosa, hic! Per me. Non vorrai certo farmi passare per un bugiardo, uhuhuh…Perche VEDI…” Il sangue di Abigail sembrò fermarsi e scorrere al contrario, mentre le parole del suo povero padre le ritornavano chiaramente in mente: “Quando ti trovi di fronte al puma di montagna, non fargli vedere che hai paura. Non tentare di spaventarlo. Punta subito il fucile, e fai fuoco piccola mia!” Certo lei non portava sulla spalla destra, in quella cupa sera d’aprile, il Winchester con caricatore interno a 15 colpi acquistato con i soldi di un ranch ormai perduto, preso in carico dai creditori assieme al resto delle sue pregresse proprietà. Ma le restava ancora… Qualcosa. Mentre il mandriano continuava nel suo discorso sconclusionato, Abigail scostò di lato la lunga gonna rossa, raggiungendo il laccio della giarrettiera. Il familiare gelo del metallo accolse le sue dita ferme, quindi, in un lampo, la Derringer a sei colpi fu nella sua mano, puntata ad un’altezza di 45° sopra la testa del buzzurro campagnolo. BAM! Un colpo in aria: “AAAH, COSA…Dannata meretrice!” BAM! Un’altro a lato dell’orecchio destro: “Vuoi spaventarmi? Credi di farmi paura con quel…Giocattolo?” L’uomo, fumante dalla rabbia e con gli occhi iniettati di sangue, aveva alzato entrambe le mani in aria d’istinto, ma ora le stava avvicinando al collo della sua vittima presunta. “Dannato idiota…” Sibilò tra i denti la figlia disillusa della Frontiera, quindi abbassò il tiro, e fece fuoco ancora un’altra volta.
Il XIX secolo fu un’epoca di grandi disuguaglianze, in cui il mondo era diviso dalle dinamiche sociali della transizione. Da una parte l’Europa popolata da un’aristocrazia ormai decaduta, che però manteneva ancora le antiche risorse e le spaziose proprietà ereditarie. Dall’altra il mondo degli esploratori, degli avventurieri e dei fanatici recatosi dall’altro capo dell’Oceano, per dare un senso a quelle terre inesplorate che avevano preso il nome di Nuovo Mondo. Ma dall’uno all’altro di questi due estremi, e fino alle distanti terre dell’Oriente di Marco Polo, c’era una norma assolutamente data per scontata: le donne non portavano pistole. A vista. Il che naturalmente, implicava tutta una serie di soluzioni alternative, giacché non esistette mai un’epoca sufficientemente remota, come alcuni vorrebbero purtroppo pensare, in cui l’altra metà del cielo fu portata ad accettare, a tutti i gradi della scala sociale, il ruolo subordinato tratteggiato per la prima volta dal filosofo Confucio. Così nacquero, ad esempio,, le muffole, scaldamani di pelo a forma di sacco, e l’accessorio perfetto da nascondervi all’interno, ovvero un’arma invisibile e perfettamente funzionante. Nell’immaginario popolare moderno, la muff pistol (questo il nome dato per antonomasia alla categoria) sarebbe provenuta dalle fabbriche di Henry Deringer, famoso produttore, industriale e mercante d’armi della Pennsylvania. Ma la realtà è che lui, o per meglio dire i suoi diretti eredi, non avrebbero più costruito di lì a poco le più piccole, né le più segrete pistole in miniatura. Questo record spettava, infatti, ad un costruttore di orologi austriaco: Franz Pfannl.

Leggi tutto

Un bulbo artificiale può risolvere la sete nel mondo?

waterseer

Tutti conoscono, o per lo meno hanno sentito parlare, della leggendaria rosa del deserto. Un fiore nascosto sotto la sabbia delle dune, racchiuso in forma dormiente all’interno di un agglomerato di cristalli di gesso, che per innumerevoli anni e secoli può attendere il suo momento. Finché un giorno, per ragioni incomprensibili, la strana pietra si fessura, e da essa sorge uno svettante fusto del colore di una quercia. Che cresce, e cresce verso il cielo, fino a spalancarsi in un tripudio di sfaccettature frastagliate. Ed è a quel punto, dai suoi petali, che sgorga la più preziosa tra le ricchezze dei viaggiatori: copiosa, rinfrescante, chiara e dolce… Certo, lo scienziato non può che restare perplesso. Niente di simile ha ragion d’esistere in alcun ambiente, e la strana pietra , ce lo insegna la geologia, non è in realtà altro che un litotipo formatisi presso una riserva evaporitica nel sottosuolo. Ma l’ingegnere aggiungerebbe: si, una cosa simile possiamo costruirla. Si, una cosa simile l’abbiamo GIÀ costruita. Si chiama Waterseer, e potete finanziarla (nonché prenotarla) qui.
Fondamentalmente, l’avevamo sempre saputo: per assicurare la prosperità dell’intero consorzio umano, senza limiti di geografia o confini, è assolutamente necessario fare affidamento sulla tecnologia. Non è purtroppo possibile, preso atto dell’attuale numero di individui che vivono nel mondo, per non parlare delle prospettiva della loro crescita futura, pensare di accontentarsi delle sole naturali risorse del pianeta Terra. Il cibo non è infinito, il carburante non è infinito. E per quanto concerne l’acqua… Come probabilmente ben saprete, il liquido per eccellenza è una delle sostanze più comuni presso lo sferoide che chiamiamo Casa. Il 70% del mondo ne è ricoperto, mentre il nostro stesso organismo, che si è evoluto a partire da un simile brodo primordiale, ne è composto al 50-60%, fino al 78% nei neonati. Ma volete sapere quanta dell’acqua che vediamo con i nostri occhi è in percentuale adatta al consumo da parte da nostra? In effetti, non più del 2,5%. Ed è per questo che ogni giorno 8.000 persone muoiono di sete, mentre altre 1.000 subiscono le conseguenze di una delle molte malattie a cui si è soggetti tentando di dissetarsi da una fonte inadeguata.
Fino a un tal punto, è forte il nostro istinto di sopravvivenza: bastano poche ore senza bere, oppure un singolo giorno, perché la disperazione possa portarci a ricercare la potabilità dove in realtà, essa non sarebbe mai potuta esistere, a causa dell’inquinamento, dei microbi o della sporcizia. Come altrettanto celebre è l’immagine, più volte messa in evidenza per stimolare le nostre coscienze, delle madri o padri in determinati paesi aridi che devono percorrere, ogni giorno, numerosi chilometri per raggiungere un distante pozzo e assicurare la sopravvivenza della propria famiglia. Il che, in luoghi che risultano il più delle volte disagiati anche dal punto di vista economico e dei servizi, assicura l’impossibilità di svolgere un lavoro edificante, acquisire nuove capacità o semplicemente passare del tempo con i figli. Ed è per far fronte ad una tale spiacevole situazione, che ormai da svariate decadi diverse organizzazioni umanitarie stanno ricercando lo strumento risolutivo, un apparecchio che permetta, in qualche modo, di incrementare la quantità di fluido dissetante disponibile dove gli acquedotti civici non sono mai esistiti, e mai potranno farlo in futuro. Gli approcci sono molteplici: filtrare l’acqua non potabile o depurarla, per renderla tale, permettere di trasportarla in modo più efficiente, ad esempio attraverso dei serbatoi portatili concepiti per rotolare sul terreno, oppure crearla dall’aria stessa, attraverso il processo della deumidificazione. Proprio questo ultimo metodo, sulla carta, potrebbe sembrare il migliore, benché tenda a richiedere dei ponderosi, costosi macchinari, nonché l’ancor più problematica risorsa dell’energia elettrica. O forse sarebbe più corretto dire, che così è stato fino ad oggi.

Leggi tutto

Un trattore che si avvia con le cartucce di fucile

marshall-tractor

Scenario: l’immediato periodo successivo al termine della seconda guerra mondiale. In un mondo stanco e ferito, sostenuto da un senso di latente sollievo, provato nell’anima ma lieto di voltare finalmente pagina, l’economia e l’industria cominciavano a tornare lentamente sul binario principale. E tutte le industrie, da Oriente ad Occidente, che per tanti anni avevano prodotto soltanto aeroplani o carri armati, avrebbero fornito gli strumenti stessi per cercare la normalità. Niente più cannoni ma tegami, aratri al posto dei fucili ed i motori potenziati dell’ultima generazione, vincitori di campagne combattute fino all’ultima goccia di carburante, che per la prima volta si trovavano applicati in ambito civile, servendo a svolgere mansioni maggiormente edificanti. Il che non significa, del resto, che le fabbriche di munizioni avrebbero dovuto chiudere del tutto. C’era, dopo tutto, ancora la necessità di andare a caccia, ed esisteva pure un certo di tipo di agricoltore. Il quale i propri colpi, li sparava col trattore. Anzi, DENTRO il trattore. E non soltanto perché il gesto risultava… Straordinariamente divertente!
Il particolare approccio era mutuato anch’esso, guarda caso, dall’ambito dei mezzi militari: perché all’epoca non c’era proprio niente di meno pratico, ponderoso e inaffidabile, che un sistema d’accensione elettrica, che richiedeva grosse batterie da mantenere cariche grazie ad attrezzature specializzate. Mentre il metodo dell’avviamento per inerzia, tramite l’impiego di un volano con o senza la stereotipata manovella, risultavano ingombranti, lenti e faticosi. Provate, a tal proposito, a vedere la questione dalla prospettiva degli anziani, che per anni avevano dovuto mantenere attivi i campi, mentre i loro figli, generi e nipoti, combattevano sui fronti più lontani e disperati. Uomini dai molti anni e qualche volta le afflizioni dell’età, piegati dolorosamente, per roteare il meccanismo ancòra e ancòra, finché a un certo punto finalmente l’accensione del veicolo giungeva a compimento. Così quando nel 1945 la Marshall, Sons & Co. di Gainsborough, nel Lincolnshire inglese, uscì sul mercato col suo ultimo e più rivoluzionario modello di veicolo agricolo, lo fece dando la più alta rilevanza pubblicitaria ad una particolare, fantastica funzione: il sistema di avviamento con cartuccia di fucile. Per cominciare la giornata di lavoro con un solo gesto, in pochi attimi, e passare subito al paragrafo più rilevante. Osservare con ammirazione, oggi, una simile prassi desueta, può sembrare un mero passatempo nostalgico. Ma la realtà è che il funzionamento di questi motori a diesel, tanto diversi da quelli attuali, potrebbe offrire un utile metro di paragone, per cercare nuove strade evolutive, potenzialmente meno problematiche o inquinanti.
A spiegarci il funzionamento del miracoloso meccanismo, ci pensa l’agricoltore veterano Pete, orgoglioso proprietario di un modello Field Marshall tirato a lucido fin quasi alle condizioni del nuovo, in questo video all’apparenza girato durante un qualche tipo di concorso per veicoli di un altro tempo, probabilmente tenutosi nel 2011 in un luogo d’Inghilterra. Il tutto ci giunge grazie al nostro relatore John Finch, autore e cameraman del video, che ci fa notare di aver “saputo porre le domande giuste al momento giusto” complessa operazione che lui definisce non senza ironia il “punto primo” dell’intera procedura. Mentre è ciò che viene subito dopo, a catturare l’attenzione e l’immaginazione…

Leggi tutto

Lo scorpione finlandese, mostro metallico nella foresta

walking-forest-machine

Nella storia di una compagnia che presto compirà due secoli, è inevitabile il figurare di prodotti strani e dimenticati, che nonostante le premesse avute in fase di progettazione, non riescono a raggiungere lo stato necessario per venire fabbricati in serie. Così nel capannone espositivo della John Deere a Moline, Illinois, virtuale sinonimo statunitense del concetto stesso di trattore, campeggia dal 2012 uno strano veicolo, caratterizzato da diversi aspetti inusuali. Primo fra tutti, il suo fare a meno di un concetto ritenuto fino ad oggi pressoché inscindibile dalla necessità di far spostare grossi carichi, o svolgere un qualsivoglia compito veicolare: le ruote. Intese sia come pneumatici, nella semplice interpretazione che risulta comune alle automobili di tutti i giorni, che come i componenti di quell’altro metodo locomotìvo d’elezione, il cingolo da carro armato. Roba vecchia, superata, ormai desueta (o così pensavano) nel 1994, epoca della creazione dei due prototipi di questa cosiddetta Walking Forest Machine, letterale precursore degli attuali robot-muli o robo-ghepardi che fuoriescono annualmente dai laboratori della Boston Dynamics, senza mai farsi mancare un ottimo successo mediatico nei paesi di mezzo mondo. Quindi, chi l’avrebbe mai detto? La strada che oggi sembra nuova e futuribile, era stata in realtà già percorsa oltre 20 anni fa. Con un intento, per una volta, estremamente immediato: agevolare l’industria della raccolta meccanizzata di legname.
Silenzioso ed immobile, l’animale artificiale scruta gli spettatori sotto l’alto tetto dello spazio espositivo. I suoi fari sembrano occhi sotto la rigida griglia del radiatore. Il lungo braccio, un tempo dotato della più sofisticata testa di raccolta tronchi concepita fino ad allora, appare ripiegato su se stesso, in posizione di riposo. I muscoli idraulici delle sei zampe, ipoteticamente capaci di spostare tonnellate, attendono del nuovo fluido ri-vitalizzante… L’impressionante oggetto, nonostante le 2.000 ore di utilizzo all’epoca per effettuare i test e stilare un piano ingegneristico completo, non è attualmente più in grado di mettersi in moto. O almeno questo lasciava intendere una press-release ufficiale, rilasciata al pubblico all’epoca del trasporto in loco e l’apertura dell’expo ed attualmente reperibile soltanto tramite l’Internet Wayback Machine. Mentre per quanto concerne  il suo unico parente, dall’aspetto più futuribile e simile ad un ragno, sappiamo soltanto che oggi è custodito presso il Museo della Foresta di Lusto, in Finlandia. Questo perché entrambi i veicoli, in effetti, non furono il prodotto dell’ingegneria e creatività americane, bensì l’invenzione di una compagnia di quel paese, la Plustech Oy. Che era stata acquistata a suo tempo dalla Timberjack dell’Ohio, produttrice di macchinari agricoli, poco prima che il pacchetto completo, tutto incluso, fosse rilevato dal colosso John Deere. E fu soltanto allora che un simile strano sogno, di cui tutt’ora sappiamo ben poco oltre a ciò che ci è possibile trovare in vecchi video di YouTube, iniziò a prendere una forma materiale, nella speranza che l’approccio rivoluzionario permettesse di prendere possesso del mercato.
I vantaggi di una soluzione come questa, dopo tutto, sono notevoli: un taglialegna con propensione deambulatoria, benché molto lento, può muoversi in qualsiasi direzione senza girarsi o ruotare facilmente su se stesso. Grossi vantaggi, nello spazio angusto che si crea tra i tronchi di una foresta. Gli è inoltre possibile, senza alcun tipo di difficoltà, scavalcare qualsivoglia ostacolo mantenendo la cabina di guida in posizione livellata e stabile, per un massimo comfort di utilizzo. Ma il punto principale, potenzialmente ancora più importante, è il suo minore impatto ambientale: perché un mezzo dotato di cingoli, capace di spalmare il proprio peso su di un’ampia area e proprio per questo in grado di operare sulla terra soffice di tali luoghi, ha il problema derivato di compattare quest’ultima, premendo con forza sulle radici di un’ampia area. Il che, come potrete immaginare, non fa esattamente bene agli alberi, neppure quelli giovani destinati a salvarsi dall’abbattimento, almeno fino ad un momento successivo della loro condanna. Mettete a confronto, quindi, un tale approccio con quello di zampe che distribuiscono l’impatto solo in punti ben precisi e limitati: è chiaro che l’idea di reinventarsi come un MechWarrior della nostra epoca preliminare inizia a farsi allettante per qualsiasi coscienzioso boscaiolo…

Leggi tutto