Erba che rotola nel turbine di fuoco

Tornado Tumbleweed

Talvolta, senza neanche nubi o fenomeni d’interferenza tra i diversi strati gassosi ad alta quota, né un singolo cumulonembo, nasce dal nulla una trombetta in miniatura, di un’altezza massima di 500 metri. È dovuta, tale roteante dannazione, al calore del suolo di una regione veramente secca che, spingendo l’aria verso l’alto, si crea tutto intorno un vortice di vuoto. La zona a bassa pressione risucchia quindi l’atmosfera, generando a sua volta un forte mulinello di compensazione, che gradualmente si alimenta e cresce, per 30 minuti o poco più. Poi sparisce all’improvviso, come se non fosse neanche nato. Si chiama il demone di polvere, o mini-tornado, ed è una vista non particolarmente rara, per lo meno in certe località aride dei vasti Stati Uniti, nel Sahara e tra le vaste distese del remoto Gobi. Tale strano fenomeno si verifica, sporadicamente, anche nelle nostre Puglia ed in Sicilia. Zone, queste, in cui tendono a verificarsi spesso incendi accidentali. Si dice: il diavolo è nei dettagli, come la minuzia, insignificante, di dove un automobilista getti la sua cicca, soprattutto vista l’esistenza delle forze che sarebbe meglio relegare ad universi paralleli. Gli elementi scatenati si avvicinano tra loro, generano un figlio… Aria+fuoco+terra=? Quando il mondo ha sete, tutto può accadere.
Il turbine di furia fiammeggiante ed erba rotolante, uno spauracchio niente male. Lo scorso 14 marzo, il pompiere di Adams County, Thomas Rogers con i suoi colleghi, si trovava presso il vecchio territorio del Rocky Mountain Arsenal, terreno militare fino al 1992. Stava mettendo in pratica la più conosciuta delle tecniche di prevenzione: l’incendio controllato. L’esperienza genera nuove metodologie, utili per allontanare i rischi del mestiere; ma non puoi prevenire ciò che non si era mai verificato prima, neanche tra le ultime battute di un pazzesco videogame. L’impossibile in agguato, uno scherzo niente affatto divertente del destino. La visita dello straniero marroncino.

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Il fenomeno dei dischi dentro ai fiumi

Ice circle

È un procedimento misterioso, quello attraverso cui le cose ignote si trasformano in desiderabili opportunità. Ma si è verificato di continuo. Sia lungo le ripide pendici della storia proto-umana che (strano a dirsi) ancora oggi, ieri e l’altro giorno, benché meno di frequente: il sottile velo della quotidianità che si dissolve, per un’attimo soltanto, mostrando  strade oblique da seguire, verso nuove concezioni e strane idee. Era stato, per esempio, questo il caso pleistocenico, dell’ominide che prese in mano il suo bastone, strumento principe della sapienza, imbrigliando un fulmine celeste al suo inarrestabile bisogno. Fame, calore; fuoco! Disse quello dunque, ed a seguire, gradualmente, vennero l’ascia, il dardo, il sacro, il capo col suo trono, la corona, il campo arato, il segno e il carro. Portali metafisici dell’invenzione, valicati l’uno dopo l’altro, verso il soave regno del progresso. Ciascuna cosa, pura evoluzione tranne l’Ultima, questo Cerchio per viaggiare innanzi, un mezzo che apparentemente non aveva precedenti, perché gli animali raramente vanno in giro rotolando, bensì nuotano e zampettano, volano nel cielo. La spirale, il tondo che impossibilmente ruota?! Possibile che tali… Diametro e circonferenza, con il centro equidistante dal perimetro, fossero esistiti, innanzi tutto, in questa stessa forma? Con un gran tondo, dal moto perpetuo, precariamente in equilibrio, tra le pieghe tumultuose di un antico fiume…Forse l’ominide sapeva, soprattutto perché aveva uno strumento: gli occhi per vedere. Noi, comunque, facciamo un salto nel passato molto più recente.
26 novembre 2013: George Loegering, ingegnere in pensione del Nord Dakota, era a caccia di cervi con dei suoi parenti, presso le alte rive del fiume Sheyenne, dal corso semi-ghiacciato per il lungo inverno nordamericano. Tutto appariva normale, in quella tranquilla giornata fra molte meraviglie naturali, in cerca di gustosa selvaggina se non che… D’un tratto l’uomo si ritrova innanzi ad una scena singolare. Un perfetto disco bianco, largo circa 15 metri, che ruotava indisturbato in mezzo alla corrente. Fu allora, che lui ebbe due trovate molto intelligenti – la prima quella classica dei nostri giorni, prendere il telefono, accenderlo e inquadrare. La seconda è stata scegliere un così perfetto appellativo, per il curioso cerchio che l’avrebbe reso celebre sul web: amazing wonder of nature, l’incredibile meraviglia della natura.

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L’acqua che non poteva galleggiare

Cenote Angelita

Che strana sensazione. Sospeso silenziosamente a 4 metri dalla superficie, scruto verso la cupezza di un fiume abbandonato. Nessun pesce sembra muoversi tra le sue acque, ma rami secchi, alberi e sterpaglie putrescenti ne marcano la riva, freddamente. Pare quasi di volare. Dopo un breve attimo di confusione, rivolgo lo sguardo verso l’alto: 22 densi metri mi separano dall’aria respirabile. Sono dentro un lago, coperto da una grotta, sopra un corso d’acqua del tutto indipendente. Questa è la profonda cenote di Angelita, con il suo pozzo di brina turbinosa. L’assurda meraviglia liquefatta dello Yucatan, penisola del Messico sud-occidentale, che attira gli speleologi subacquei da ogni angolo del mondo, con quel suo fascino sinistro, l’emblema di un supremo luogo misterioso. Percepisco già il pericolo di un orrido veleno, l’idrogeno solforato; sarà meglio risalire. Dissolvenza… In blu.
Non è, tale resoconto, soltanto il soggetto di un quadro surreale, ma storia vera di un vasto e sorprendente mondo. Sarà, dunque, molto meglio approfondire. Il fatto è che nell’antichissima regione mesoamericana, resa prospera dagli ancestrali centri dell’Impero Maya, per ciascuna ziggurat che si protendeva dalla terra, c’era sempre stato un buco, grossomodo equivalente. L’antitesi del monte Purgatorio, girone dell’eterna conseguenza, timida trivella di un mantello lavico e perduto. Che poi si trattasse di un semplice cratere, come quello generato dal meteorite dei compianti dinosauri, di una voragine carsica, una caverna oppure un lago sotterraneo… Ce n’erano di ogni foggia e dimensione. Qualche volta, come nel caso specifico, dentro al foro c’era pure il mare. Che c’è ancora. Stiamo parlando, per l’appunto, dei cenote, ovvero le grotte sommerse risalenti al Pleistocene, simili a dei profondi laghi circolari. Come lagune segrete, le loro polle d’acqua dolce furono rese impermeabili da strati di calcare, residui delle vaste glaciazioni. E in alcuni casi, vista la vicinanza con la costa, ricevettero pure il dono di affluenti, fiumiciattoli con l’acqua salata dell’oceano. Un vero maelstrom d’opportunità.
La casta sacerdotale dei popoli pre-colombiani, che ben conosceva queste grotte, usava definirle ts’onot, oppure “un chiaro segno degli dei vendicativi”. Vi gettava dentro statue sacrificali, con finalità di offerta placatoria. Qualche volta, se ce n’era donde, le accompagnava con gustose teste umane. Del resto i luoghi di passaggio, da quando esiste la cultura umana, furono sempre collegati con la morte. Persino tra le sue simili, tuttavia, la cenote di Angelita fa eccezione.

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L’enorme macigno autografato della città di Guatapé

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Tra le formazioni monolitiche più grandi al mondo, forse nessuna può vantare una storia più movimentata e strana di El Peñón de Guatapé, massiccia roccia granitica risalente a ben 70 milioni di anni fa. Con i suoi oltre 200 metri di altitudine, costituenti il solo 70% emerso dell’intera mastodontica pietra, nonché un peso stimato di 11 milioni di tonnellate, l’atipico rilievo costituisce indubbiamente il più importante e celebre punto di riferimento della regione di Antioquia, nella Colombia settentrionale. Gli indiani Tahami, antichi abitanti del luogo, la veneravano come divinità chiamandola mojarrá o mujará (la pietra) mentre il conquistadores spagnolo Francisco Giraldo y Jimenez, visitando la zona nel 1811, scelse di identificare la comunità locale con il termine in lingua Quechua Guatapé, ovvero Rocce e Acqua. Perché poderoso masso poggia sull’antichissimo batolito antioqueño, uno strato geologico tanto solido da riuscire a sostenerlo e al tempo stesso non del tutto permeabile, sede di un grande lago, sfruttato dall’inizio del XX secolo per la generazione di grandi quantità di energia idroelettrica. E fu proprio il desiderio di sfruttare in esclusiva la preziosa risorsa che portò nei primi del ‘900 la municipalità di Guatapé ad intraprendere un progetto bizzarro e mai portato a termine, ovvero la personalizzazione della pietra firmandola, mediante l’impiego di candide e indelebili lettere cubitali.

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