Arma finale contro la ruggine e la corrosione

Splendente materiale indistruttibile, il prodotto di un reticolo cristallino talmente fine, e così solido, che nulla sembra in grado d’intaccarlo. Niente, tranne  l’aria che respiriamo e l’acqua che beviamo. È una strana giustapposizione di fattori, quella secondo cui qualsiasi cosa che sconfigge l’organismo umano, non può fare quasi molto ad un metallo (fori di proiettile, fuoco intenso, 4 tonnellate di peso… Il colesterolo…) mentre basta il fluido stesso della nostra semplice esistenza, ad un livello puramente elementare, per rovinarlo a medio termine ed infine, lentamente, disgregarlo come polvere nel vento. Tutta colpa del Fe(III), l’ossido presente sulla superficie, che reagendo con le anidridi carbonica e solforosa, forma un’antiestetica patina rossiccia o di altre tonalità. Ora, per quanto concerne il bronzo, la questione non sarebbe un gravissimo problema. Caratteristica pregevole ad esempio, resta la patina verde degli antichi manufatti ritrovati dentro i tumuli e le tombe dell’Asia, ancora solidi come il giorno in cui furono sottoposti alla fusione. Ma il problema del ferro propriamente detto, materiale più moderno e dall’ingegneria virtuosa, è che le molecole così trasformate modificano le loro caratteristiche chimiche, e quindi smettono di aderire alla superficie. Una volta iniziato tale processo, quindi, esso continua indisturbato fino al nocciolo della sua esistenza, e molto prima di raggiungerlo, generalmente, il pezzo colpito si spacca e sfalda, incapace di sostenere il suo stesso peso. Che cosa può fare, dunque, il proprietario? La rimozione della ruggine è un’importante mansione. Nonché la condanna quotidiana, in molti tipi di mestieri. Fra chi restaura le vecchie automobili, ad esempio, è assai noto il gesto di passare uno straccio imbevuto di solventi sopra la carrozzeria di un vecchio macinino, facendo il possibile per restituirgli lo splendore dei suoi anni migliori. Non abbiate dubbi, tuttavia: si tratta di un proposito ingrato, che richiede olio di gomito, grande fatica, e non sempre ottiene l’effetto sperato. Tanto che spesso la superficie del metallo stesso ne esce rovinata, e questo senza considerare il problema dell’odore nauseabondo e l’inquinamento causato da tali sostanze. Certo, l’alternativa elude il portafoglio degli hobbisti e degli amatori. Ad un prezzo minimo di 80.000 dollari, con i prodotti di punta che si aggirano sui 480.000, le soluzioni di pulitura della P-Laser si rivolgono quasi esclusivamente ad un utenza B2B, mostrando un occhio di riguardo in modo particolare alle grandi officine o fabbriche di ricondizionamento. A nessuno potrebbe venire il dubbio, tuttavia, che non ne valga la pena.
L’operatore impugna saldamente l’oggetto simile a una torcia da speleologia (non che il paragone sia del tutto privo di basi) per puntarlo saldamente verso il più deprecabile pezzo di tubo, ormai completamente mangiucchiato e pronto a sfaldarsi. Ci vuole mano ferma…E nient’altro. Ecco, in effetti, che cosa succede: con un singolo passaggio del P-Laser QF-1000, l’oggetto cambia letteralmente colore. Sembra di assister all’impiego di uno strumento di Photoshop, trasferito magicamente nel mondo reale. Producendo un suono stridulo simile a quello delle astronavi di fantascienza, l’opera di pulitura continua facendo ruotare il pezzo. Quindi, così com’è cominciata, all’improvviso raggiunge il suo culmine e risoluzione. Del tubo che era prima su tavolo, nessuna traccia. Al suo posto, un componente indistinguibile dal nuovo! E tutto questo, grazie solamente al potere notevole di un fascio di luce. Ma non di un tipo comune. Bensì conforme al sistema di massima coerenza e collimazione teorizzato inizialmente da Albert Einstein, costruito per la prima volta nel 1952 da Alfred Kastler e noto con il nome di light amplification by stimulated emission of radiation (L.A.S.E.R, per l’appunto). Talmente efficace che un singolo raggio con una fonte di 1000 Watt può raggiungere i 400.000 Joules a metro quadro, laddove il Sole sulla Terra ne produce appena 1367. E che cosa succede, dunque, alla ruggine sottoposta a un’energia 300 volte più potente di quella del Sole? Essa svanisce, si polverizza, diventa plasma dissolto nell’aria. È il principio delle armi cosmiche, che nei romanzi di fantascienza bucano le astronavi a innumerevoli parsec di distanza. Mentre l’aspetto più interessante ed utile della questione, è che il metallo sottostante rimane del tutto intonso. Lo strumento è semplicemente incapace di nuocergli. E non soltanto a quello…

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L’esperimento della palla che non può cadere

Quando tutto è acqua, l’aria è intrisa d’umidità, così come la pelle da cui traspira sudore, e qualora dovesse piovere, si sviluppa uno scroscio così potente da scuotere le chiome degli edifici. Acqua e caldo, caldo intenso e inusitato. Neanche il fresco di una bibita del frigorifero, può cambiare il segno delle circostanze. Ed è allora che si guarda verso la piscina, quando viene da pensare: se fossi un pesce, vorrei nuotare. Ma poiché in me sussistono gli spiriti degli elementi, incluso il cielo, la mia preferenza è per il sogno di volare. Ed ecco dunque, cosa fare: prendi una sfera dal peso intermedio, ma che sia perfettamente circolare. Costruisci, con il tubo della pompa, una minuscola fontana. Quindi metti su la prima e accendi la seconda: se tutto è stato fatto correttamente, l’oggetto verrà come catturato, e da quel fluido sollevato. Fluttuando verso l’alto, ma in modo estremamente stabile, come il capitello di un’invisibile colonna gravitazionale. Ma la cosa più incredibile, in merito all’intera questione, è che l’oggetto-palla non si troverà centrato sopra il flusso, nossignore. Bensì piuttosto, incuneato a lato di quel getto, in equilibrio su uno spillo virtuale, come conficcato ai margini della sua presenza. Gira e rigira, non si muoverà di lì. Non si sposterà qualora il getto dovesse essere cambiato nella sua potenza. Non si sposterà se una mano, oppure un frisbee, verrà posto ad interrompere il sistema (purché brevemente, questo è chiaro). Mostrate questa cosa a una persona normale, e quella si trasformerà in un fisico, tanta concentrazione sarà devoluta alla risoluzione del problema. Ma mostratela ad un fisico, e lui diventerà qualcosa d’altro. Con gli occhi spalancati, le mani protese, un gran sorriso sopra il volto che si anima dell’entusiasmo di un bambino. Un uomo delle cause e degli effetti come Derek Muller, il creatore del tentacolare network di canali a sfondo scientifico dal nome Veritasium, i cui exploit, già in precedenza, tante volte ci hanno affascinato. Il quale in questo caso si è recato dal suo amico Blake alias “Innovinci”, inventore di giocattoli, per la dimostrazione di un’idea. Qualcosa di splendido, a vedersi, che proprio per questo meritava una valida disquisizione. Lui la chiama Backyard Levitation (la levitazione da giardino).
Un termine, soprattutto la prima parte, che può trarre in inganno, finché non gli si aggiunge l’aggettivo di “idrodinamica” a immediata riconferma che ci troviamo dinnanzi, in effetti, a un qualcosa che deriva dalle leggi fondamentali della fisica e non da un miracolo indiano. Ovvero quell’insieme di comportamenti delle forze e della materia, che hanno sempre un senso, benché talvolta risultino tutt’altro che intuitive. Fenomeni che prendono il nome, molto spesso, del loro scopritore. E pensate che per comprendere a pieno quanto stiamo effettivamente vedendo, c’è l’esigenza di chiamarne in causa addirittura TRE! Prima ipotesi: l’effetto Coanda, dal nome del fisico rumeno che ne fece la dimostrazione pratica nel 1936. La cui postulazione afferma che il flusso di un fluido, che si dirige in una direzione, tende a trascinare con se una certa quantità delle molecole che lo circondano, aumentando la pressione circostante. Ragione per cui la sua maggiore parte, tendenzialmente, viene premuta verso le superfici e tende a seguirle, talvolta anche lungo una direttiva curva, come quella di una sfera. E in un primo momento potrebbe sembrare di trovarci ad una dimostrazione da manuale di questo principio, finché non si prendono in considerazione due aspetti: primo, che l’effetto Coanda si sviluppa all’interno di un solo fluido, non al confine tra due (aria ed acqua) e conseguentemente, la larghezza del getto della fontanella non potrebbe mai risultare sufficiente allo scopo. E secondo, che anche se l’acqua sviluppa una forza di adesione alla palla, questa devierebbe solamente il suo corso, permettendo comunque all’oggetto più pesante di ricadere a terra. Quindi, c’è qualcosa di diverso all’opera in tutto questo, qualcosa di più antico e niente meno che fondamentale, per comprendere più a fondo la realtà…

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2 cm per 25 metri: l’abitante della ragnatela più grande al mondo

Mostri, dei veri e propri mostri. Si arrampicano sopra le cose, alla ricerca di cibo. Piccoli e operosi, perennemente attivi, gli occhi grandi quanto o addirittura più dello stesso cervello. Le manine simili a quelle di una scimmia, ma ancora più piccole, per afferrare tutto e conseguentemente, mangiare tutto. C’è un vero e proprio gremlin col dito medio particolarmente lungo, per meglio insinuarlo nei buchi degli alberi e ghermire le formiche. C’è n’è un altro che agisce in gruppo, spazzolando totalmente un territorio tra i 10 e 14 ettari comunitari. Agiscono di giorno. In altri casi, si muovono la notte. Pur non essendo delle creature a tutti gli effetti onnivore, vista la loro preferenza endemica per frutti e radici, non c’è un solo lemure in tutto il Madagascar che disdegnerebbe di fagocitare un ragno ogni tanto, possibilmente completo della sua casa e tutto quello che vi si era impigliato. Non c’è troppo da meravigliarsi, quindi, se nel parco naturale di Ranomafana esiste la marcata tendenza evolutiva ad occupare nicchie ambientali del tutto nuove. Anche questo è un aspetto che deriva dalla biodiversità. Parlare del ragno della corteccia di Darwin, oggi, significa inevitabilmente approcciarsi agli svariati studi sull’argomento di Matjaz Gregoric, Matjaz Kuntner e colleghi, biologi di diverse istituzioni universitarie slovene, che nel 2009 hanno descritto scientificamente per primi un qualcosa che in effetti, era sempre stato lì, sospeso sopra i fiumi e i laghetti della quarta isola più grande al mondo. Scegliendo incidentalmente, in occasione del 150° anniversario dalla pubblicazione de L’origine delle specie da parte del naturalista più grande di tutti i tempi, di dare alla nuova creatura il suo nome già noto. Il Caerostris darwini, dunque, è questo ragno della lunghezza di 2 cm per la femmina, appena mezzo per il maschio, appartenente alla famiglia degli Araneidae, ovvero la stessa di tutti gli altri tessitori di tipiche ragnatele dalla forma circolare, detti per l’appunto nei paesi anglosassoni “orb spider” (ragni del cerchio). Che percorrendo gli alterni rami dell’albero della vita, sono giunti in questi luoghi in una profusione di forme e colori straordinariamente vari. Inclusi quelli appartenenti a questo specifico genus, classificati per la prima volta dallo svedese Tamerlan Thorell, nel 1868. Eppure persino tra questi, la nuova aggiunta al catalogo risulta molto sorprendente. Si potrebbe persino affermare che il suo stile e metodo di caccia risulti tra i più efficaci e incredibili al mondo.
Tutto inizia con un’esemplare, generalmente la femmina, che attende pazientemente una giornata di vento a favore. Quindi ella si dispone su un ramo sufficientemente alto e distante dalla chioma centrale, in bilico sopra l’acqua, iniziando a liberare le lunghe fibre della sua personale interpretazione ultra-appiccicosa della seta. È una visione quasi surreale, con le propaggini leggerissime, ma straordinariamente resistenti, che iniziano ad estendersi verso il campo aperto, fluttuando leggere nell’aria. Mentre i fili continuano ad allungarsi, quindi, ella li avvolge con le zampe anteriori, manipolandoli per creare un qualcosa di singolo e quasi permanente, piuttosto che numerose ragnatele incomplete. Trascorso un tempo medio, inevitabilmente, la sua creazione raggiunge l’altra sponda tra i 10 ed i 25 metri di distanza, attaccandosi spontaneamente ad un albero, il più possibile alto quanto il suo. A quel punto, recisa ed assicurata adeguatamente la propria estremità, il ragno inizia la sua lunga camminata. Una delle particolarità del darwini tra tutti gli orb spider è il modo in cui esso integra il suo primo filo ancora al resto della ragnatela, che non lo finirà per averlo in mezzo, ma piuttosto penderà verticalmente al di sotto di essa, prima di essere adeguatamente assicurata con altri fili quasi altrettanto lunghi. Questo ha lo scopo, ritengono Gregoric et al, di incrementare l’area disponibile per la cattura, favorendo l’eventuale banchetto nel caso del passaggio di uno sciamo o altro tipo di nugolo, potenzialmente ronzante. Ma la vera scoperta sarebbe giunta soltanto successivamente quando gli scienziati, per prelevare un campione, toccarono la ragnatela. Soltanto per scoprire che essa in effetti, era talmente solida da poter intrappolare persino un uccello o un piccolo pipistrello. Proprio così: essa era, a parità di spessore, il singolo composto biologico più forte del mondo. Superiore, da determinati punti di vista, persino alle proverbiali doti del kevlar o dell’acciaio…

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Un video con le sostanze più letali per l’uomo

Mentre la telecamera scorre lentamente da sinistra a destra, in uno spazio privo di reale sostanza, la sagoma di una persona lascia il posto, gradualmente, a taniche, bottiglie, fiale e poi minuscoli bicchieri. Ciascun recipiente colmo, secondo il vezzo del creatore, di un certa quantità di morte. C’è n’è un po’ per tutti i gusti: la morte per soffocamento, la paralisi cardiaca, l’insorgere di crisi sistemiche dell’organismo. La liquefazione di ogni organo dotato d’importanza. Ed è un’elenco alquanto sorprendente, quello creato dallo youtuber Reigarw, perché contiene un’elenco equilibrato di sostanze quotidiane, qualche altra familiare, poi man mano che si scende verso il piccolo, sempre più insolite e inaudite. Già perché questa è una classifica all’inverso, in cui più è piccola è la quantità presa in analisi, maggiormente merita il composto di essere considerato “superiore”. Se questa è una parola, dopo tutto, adatta a questo regno delle circostanze. In cui niente è più considerato una certezza, neanche l’opportunità di superare l’alba della prossima giornata. A meno, ovviamente, di osservare il giusto grado di cautela. Ecco, forse, a cosa serve: prestare attenzione significa conoscere quello che può annichilirti, distruggerti e nel buio incatenarti. Questo video potrebbe, un giorno, salvarvi la vita!
Già, perché non ci vuole in definitiva molto per sfuggire all’auto-annientamento. Sapete qual’è la prima causa di morte per avvelenamento da acqua? La partecipazione a una scommessa o un gioco a premi. Si tratta di persone, del tutto inconsapevoli che sia possibile subire un’overdose da questo fluido di cui siamo composti al 60%, che accettano per scherzo a berne a dismisura. E ad un certo punto, iniziano a subire conseguenze simili a quelle di un’insolazione. Poco prima di cadere a terra, e non rialzarsi mai più. Poiché essenzialmente, una quantità eccessiva di H2O tende a saturare le nostre cellule, creando un disequlibrio tra sodio, elettroliti e liquido, che inizia quindi a farle aumentare nelle dimensioni, causando, tanto per cominciare, un pericoloso aumento della pressione intracranica. Con questo non intendo che dobbiate smettere di bere più del necessario, soprattutto in estate, quando la traspirazione nuoce alla naturale umidità dell’organismo. La quantità da ricordare: 5-6 Kg o litri. Oltre tale eccesso, se bevuto tutto insieme, la metà dei soggetti muore. Volendo fare una media. Perché è proprio questa in effetti, la base scientifica della breve sequenza, espressa in un valore scientifico che ha il nome di LD50 dove le lettere indicano lethal dose mentre il numero sottoscritto sta per il 50% delle vittime designate. Un concetto che si esprime normalmente con una quantità matematica che rappresenta il rapporto tra i kg o grammi di sostanza rispetto ad ciascun kg o grammo dell’organismo impiegato per effettuare il test. Si tratta di una semplice statistica, però niente meno che fondamentale nella ricerca medica. Dove spesso, l’introduzione di un nuovo farmaco comporta l’elaborazione di un dosaggio che si trovi esattamente in bilico tra la dose minima di efficacia sulla metà dei soggetti (ED50) e quella in grado di uccidere un essere umano adulto, attraverso una condizione nota come avvelenamento acuto (diverso è il concetto di quello cronico, che causa la morte nel tempo). Un problema che continua a sussistere, ad ogni modo, per qualsiasi altro protagonista apparentemente innocuo delle nostre tavole imbandite. Vedi ad esempio, il sale. Per il quale Reigarw, che  senza sfruttare lo strumento scientifico del rapporto frazionato impiega una semplice proporzione per “persona media” (il cui peso non viene neanche ipotizzato) fissa la dose mortifera sui 2,5 Kg. In questo caso, ritengo, il fato del malcapitato sarà chiaro: tachicardia, aumento della pressione venosa e un progressivo assottigliamento del sangue, le cui sostanze nutritive vengono prosciugate come la radula di una lumaca. Seguono altri elementi dalla capacità di nuocere evidente, quali liquore, alcohol puro ed olio di paraffina. Con l’intruso inaspettato della vitamina C, che può causare ipotetiche complicazioni gravi intestinali. Non che nessuno sia effettivamente mai riuscito a berne una quantità sufficiente. Ricordatevi che non stiamo parlando di semplice succo di frutta, bensì della sostanza concentrata effettivamente inesistente in natura. Mentre a questo punto, si entra nel vivo della questione. I fluidi citati successivamente sono dei veri e propri veleni.

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