L’ambizioso progetto che portò tre aerei a volare uniti per la punta delle proprie ali

In una versione alternativa degli anni ’50, dislocata lungo l’asse inconoscibile dei multipli universi paralleli, nessuna guerra fredda ha avuto modo di palesarsi, lasciando piuttosto che il secondo conflitto mondiale scivolasse naturalmente nel confronto armato tra Stati Uniti e Unione Sovietica che in tanti, all’epoca, avevano descritto come una concreta possibilità futura. Nei cieli sopra lo stretto di Bering e al di là dell’Oceano Atlantico, possenti velivoli appesantiti dagli ordigni atomici si erano incrociati verso le loro remote destinazioni, intere città destinate ad essere trasformate in polvere ancor meglio di quanto accaduto nel tragico caso di Hiroshima e Nagasaki, grazie alla devastante successiva invenzione della bomba H, basata sulla fissione dell’atomo d’idrogeno. Ma in quale modo esattamente, potremmo chiederci puntando il nostro telescopio oltre le finestre scintillanti del continuum spazio-temporale, aeroplani come i ponderosi quadrimotori dell’immediato dopoguerra, ovvero gli unici mezzi volanti dotati di una sufficiente autonomia per compiere l’impegnativa impresa, sarebbero riusciti ad oltrepassare le raffinate difese anti-aeree e sistemi d’intercettazione di quei cupi giorni, perfezionate dopo i lunghi e devastanti bombardamenti a tappeto della più costosa guerra conosciuta (fino a quel giorno) dall’uomo? Soltanto per scoprire, pochi minuti o qualche ora dal quesito, la sagoma estremamente chiara e distintiva di una soluzione alquanto ingegnosa: l’unione in volo della ponderosa forma di un almeno un bombardiere Boeing Superfortress B-29, con ai lati due comparativamente piccoli caccia a reazione Republic F-84 Thunderjet ad ala perpendicolare, ciascuno dei quali dotati dell’imponente carico di un singolo, aerodinamico ordigno termonucleare. Mezzi che a uno sguardo maggiormente approfondito, non si trovano affatto in formazione serrata con quella che potremmo definire l’effettiva “nave madre” delle circostanze, bensì letteralmente intenti a compiere l’equivalente aeronautico di una passeggiata tenendosi per mano, dove le braccia sono le rispettive paia d’ali ed il particolare stile d’accompagnamento trova realizzazione grazie ad un avanzato sistema d’interconnessione rotante, simile a una coppia di lance affusolate che ritornano nel fodero predestinato. Situato all’altitudine di qualche migliaio di metri, e spinto innanzi alla velocità di circa 300-400 Km/h. Già perché dal punto di vista del funzionamento pratico, questo assemblaggio di apparecchiature militari “sul campo” stranamente simile a quello di un Voltron, Mazinga o altro super-robot della fantasia nipponica contemporanea, non poteva certo decollare da terra in tale configurazione, piuttosto implementata, grazie all’abilità di ciascun singolo pilota coinvolto, una volta che ci si trovava già in viaggio. Ed in attesa del fatidico momento in cui i due agili e veloci “parassiti” si sarebbero staccati di nuovo in prossimità del bersaglio, per consegnare non visti e non sentiti il carico di morte saldamente incorporato al di sotto della loro carlinga. Una visione che parrebbe sfidare addirittura il nostro allenato senso d’immaginazione, se non fosse che qualcosa di simile fu effettivamente teorizzato, costruito e addirittura utilizzato, per un breve quanto intenso periodo della lunga e articolata storia militare statunitense…

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L’aspirante Batmobile, grazie alle sue ventole, supera ogni record sul prestigioso circuito di Godwood

I segnali possono apparire chiari per chi è in possesso delle giuste conoscenze pregresse: un’auto elettrica che emette, nondimeno, un suono sibilante superiore ai 100 decibel d’intensità. Lo “scarico” di un flusso d’aria concentrato, tale da emettere una consistente nuvoletta di polvere, dal tramite di un’ampia griglia situata nella parte posteriore del suddetto veicolo. Ma soprattutto, il modo surreale in cui la McMurtry Speirling (“Tempesta” in lingua irlandese) sembra approcciarsi a ciascuna singola curva senza rallentare dell’angusto tragitto in salita del festival più prestigioso del Regno Unito, annualmente capace di accaparrarsi generosi spazi sulle pagine delle riviste di settore e non solo. Grazie al suo scopo di dichiarato di dar spazio ad auto d’epoca ed affermati nomi degli sport motoristici ma anche, talvolta, l’occasione di mettere alla prova nuove piattaforme tecnologiche e tutto ciò che queste comportano in termini di prestazioni, superiori a quanto fosse possibile raggiungere o aspettarsi fino a una trafila di epocali momenti. Poco più lunghi di 40 secondi, in genere, ed invero per la prima volta lo scorso 25 giugno di quasi un intero secondo in meno (39,08 per essere più precisi) nel totale registrato per raggiungere la vetta della celebre collina, dove attraverso le decadi si sono succeduti tra le balle di fieno record progressivamente più notevoli delle diverse scuderie e case automobilistiche. Grazie al merito, stavolta, di una soluzione nota ma mai prima d’ora contestualizzata in questo particolare ambiente: l’utilizzo di una ventola situata sotto l’automobile, tale da creare il vuoto sotto di essa e un conseguente effetto di suzione, mantenendola attaccata al suolo neanche fosse il pesce pilota di una ponderosa balena d’asfalto. Ma forse una tale metafora ancora non rende giustizia alle circostanze, poiché se quest’ultima creatura si sposta in avanti soltanto grazie al movimento di colui o colei che lo trasporta, qui siamo dinnanzi ad un veicolo capace di raggiungere la velocità di 300 Km/h in 9 secondi, grazie alla brevettata batteria a forma di U che abbraccia l’abitacolo e la coppia di motori situati in corrispondenza dell’asse posteriore. Che nel contempo, riesce a mantenere tali ritmi anche mentre segue le serpeggianti angolazioni del percorso stradale, sfruttando a pieno i vantaggi offerti da un sistema in grado di sviluppare i 2.000 Kg di deportanza per appena 1.000 di peso dell’intera automobile; permettendo almeno in linea di principio, in altri termini, di guidarla sul soffitto di una galleria o parcheggi multipiano. Ammesso e non concesso, s’intende, di riuscire a raggiungerlo senza mai permettere al sigillo pneumatico di venire meno, nello spazio di appena un paio di metri quadri situato sotto il corpo posteriore della compatta vettura, complessivamente non più lunga di 3,2 metri. Il che accresce in modo esponenziale l’effetto surrealista delle traiettorie da cartone animato adottate nella run, semplicemente fuori da ogni percezione ragionevole delle leggi della fisica e che appaiono capaci, per qualche attimo, di far aumentare le sollecitazioni laterali dell’ex-pilota di F1 Max Chilton al suo interno fino alla cifra di 3g complessivi, paragonabili a quelli abitualmente percepiti da chiunque decida di affrontare una carriera di pilota militare o acrobatico a bordo di moderni aerei a reazione. Casistica probabilmente non del tutto accidentale, quando si considera la carriera pregressa del fondatore della compagnia costruttrice Sir David Roberts McMurtry, già ingegnere della Bristol Aero Engines nonché progettista della sonda a contatto utilizzata nei motori del più avveniristico e discusso jet di linea, il Concorde…

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Il più famoso ingegnere preistorico sfrutta i microbi per progredire all’Età del Ferro (di palude)

Esistono punti di svolta, nella progressione tecnologica dell’uomo, che aprono immediatamente i portali del cambiamento, lasciando indietro il semplice ricordo delle metodologie impiegate fino a quel momento. Vedi il modo in cui, attorno al XIII secolo a.C, tra i ritrovamenti archeologici della parte centrale del territorio europeo iniziano a scomparire quei particolari manufatti, creati dalla lega che è l’unione del rame e dello stagno. Questo perché la migliore alternativa, più resistente, duttile quando portata fino al punto di fusione, potenzialmente affilata, aveva la caratteristica di arrugginirsi e disgregarsi progressivamente al contatto diretto con gli elementi. Caratteristiche determinanti, di quel metallo bianco argenteo che siamo soliti chiamare “il ferro”. Apparentemente simile come presupposti di lavorazione, benché derivante da processi generativi totalmente differenti e non più basato sull’esistenza di un efficiente sistema dei commerci, causa la distanza geografica dei due componenti della lega impiegata fin dal tempo di culture risalenti ad oltre un millennio prima di quei giorni. Come esemplificato dalla famosa lettera su tavoletta d’argilla del 1.750 a.C. indirizzata ad Ea-nasir, mercante accadico che aveva venduto dei lingotti di rame di scarsa qualità al collega Nanni, il quale chiedeva indietro la somma corrisposta secondo “le norme del buon vivere civile”. Difficoltà pratiche, e commerciali, che sarebbero un giorno state lasciate indietro, con la scoperta del metodo a disposizione per poter sfruttare quella che costituisce una tra le più comuni e diffuse sostanze chimiche del pianeta Terra. Ce ne mostra i presupposti il nostro vecchio amico John di Primitive Technology, l’archeologo sperimentale della regione australiana del Queensland che diventò famoso anni fa per i suoi silenziosi video dimostrativi delle tecniche di architettura, ingegneria e lavoro utilizzate dai nostri più remoti antenati. Il quale senza l’utilizzo di profondi scavi o miniere, realizza in questo caso un metodo capace di permettere una via d’accesso alla terza, e più duratura, delle tre principali culture materiali dell’umanità pregressa. Partendo da un passaggio semplice ed altrettanto tradizionale, se applichiamo la logica alle nostre conoscenze dell’antica arte metallurgica di molte civiltà: l’individuazione di un acquitrino in cui l’acqua appare rossastra e le piante sembrano crescere a fatica, avvelenate da una qualche sostanza di provenienza assolutamente “naturale”. Poiché tale risulta essere, in fin dei conti, il processo di ossidazione di sostanze solforose e tetrationati di origine biologica da parte del gruppo batterico cosmopolita dal nome di Acidithiobacillus, capace di trarre sostentamento da due fonti estremamente differenti: l’anidride carbonica e l’acida trasformazione delle suddette sostanze nel minerale idrato della limonite. Così che l’amico digitale e celebrato costruttore di capanne, una volta raccolta con un bricco di terracotta (creato da lui stesso in episodi precedenti, inutile dirlo) il suo fluido colmo di segreti, provvede a riversarlo in una ciotola porosa, affinché agisca da filtro naturale capace di lasciar correre via l’acqua, conservando nel conseguente residuo terroso le particelle minerali contenute al suo interno. Preparando coerentemente una certa quantità di carbone da pezzi di legno raccolti in giro, prima di passare a quella che potremmo definire la fase principale del suo processo arcano di stregoneria, ciononostante assai tangibile ed utile al raggiungimento dello scopo finale…

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Ziggy è il robot che precede l’auto elettrica per caricarla in un qualsiasi parcheggio

Si è soliti affermare che un qualsiasi tipo di tecnologia non è davvero alla portata di ciascuno finché non diventa democratica, pervadendo e diffondendosi ad ogni possibile diverso strato della società civile. Il che si applica a suo modo sia alle soluzioni innovative che alle fonti di alimentazione, intese come la materia prima che permette di far correre il cavallo metaforico della tecnologia incombente. Così come le normali stufe a legna, o le caldaie a vapore di epoca Vittoriana, non poterono realmente marciare a regime prima della funzionale implementazione di un sistema per la raccolta ed approvvigionamento, rispettivamente, di legna e carbone, lo stesso dilemma non può fare meno di sussistere nell’epoca corrente per quanto concerne la trasformazione del motore principale dei trasporti contemporanei, dal sistema termico a quello che consiste di galvanizzare una bobina rotante. Col che non voglio dire, certamente, che il concetto dell’auto elettrica sia in alcun modo totalmente nuovo, laddove sin dall’epoca in cui si cominciava a immaginare la scomparsa del cavallo dalle strade urbane, Gustave Trové riusciva a presentarne il primo esempio nel 1881 all’Esposizione dell’Elettricità di Parigi. Mentre un veicolo parimenti alimentato avrebbe continuato a detenere il record di velocità su quattro ruote almeno fino all’inizio del Novecento. Ma poiché tiranna in ogni tipo d’organizzazione pratica è la logica delle dinamiche di scala, ogni approccio d’implementazione sino a quel momento non può che essere considerato meramente preliminare. Dinnanzi all’imminente prospettiva di migliaia, e poi decine di migliaia di questi mezzi a motore per decine di chilometri quadrati una volta che non potrà esserci alta scelta, con la conseguente necessità di riprogettare la cognizione stessa del concetto stesso di una città. Oppure… Semplicemente… No?
Colonnine ovunque, colonnine da nessuna parte. Parcheggi con settori recintati, dedicati unicamente a chi possiede la scintilla prometeica di Edison deificato sotto il cofano del proprio metallico destriero. Un problema, soprattutto, in questo periodo di transizione, in cui soltanto gli svantaggi gravano sulla stragrande maggioranza della popolazione, ed un approccio in grado di ridurre un tale impatto potrebbe essere una via d’accesso alla serena convivenza tra questi due estremi. Il che potrebbe anche costituire il fondamento operativo alla base del sistema semi-autonomo ZiGGY della compagnia californiana EV Safe Charge, così denominato forse più per un omaggio estemporaneo a David Bowie che in osservanza a qualche tipologia di misterioso acronimo (del resto, ditemi voi di che cosa!) essenzialmente identificabile come un ingombrante cassone su ruote, dotato tuttavia di un suo notevole sistema d’intelligenza artificiale. Sufficientemente pronto da riuscire a interpretare le chiamate ricevute tramite un innovativo tipo di applicazione mobile a corredo, utilizzata da ipotetici abbonati futuri per segnalare il proprio arrivo presso un luogo di stoccaggio ed abbandono temporaneo delle proprie auto, prima di recarsi a sbrigare le proprie faccende in centro o altri luoghi affollati della vasta metropoli brulicante. Con conseguente risveglio delle sue sinapsi robotiche e relativo impianto semovente, naturalmente elettrico, per spostarsi dalla stanza in cui si trova fino al posto macchina prenotato, con gli schermi accesi per mostrare in rapida sequenza immagini e spot pubblicitari di varia natura. Finché all’arrivo dell’auto elettrica potrà finalmente farsi da parte, assolvendo il singolare compito per cui è stato costruito…

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