Il mio piega filo-di-metallo è il più veloce della Terra

Wire Bender

Chi ha tempo da perdere! Per fare l’albero ci vuole il seme, mentre per l’anima ci vuole il filo. Lo scheletro della comoda modernità, nuovo dente avvelenato delle fate. C’era questa Bella Addormentata, nella torre alta del castello, che tesseva e si pungeva con il fuso. Tanto a lungo ci rimase, con la rosa sopra il petto, che alla fine si era mineralizzata. Invece di tessere, piegava. La sua testa era un barattolo, aveva un pallino sull’antenna, il corpo un cilindrico scomparto con sportello. Piena di birra, così, refrigerata. Beveva tanto per dimenticare. Bender la chiamavano, Bending Rodriguez, faceva di cognome. Era diventata di metallo, un automa.
Metamorfosi verso il futuro! Mobili, edifici, veicoli e dispositivi: dove c’è un carico non può mancare…Lui, sottile tubicino che [Una Volta] si piegava ad arte, con pazienza ed attenzione. Oggi non c’è tempo, senza contare che: la lancetta non si ferma quando ti diverti e poi chi dorme non guadagna pesci e così via. Organico nei suoi utilizzi, resistente quanto serve (oppure basta) stando ai severi margini del pragmatismo e dell’ingegneria, che lo pesano in termini di numeri, soltanto. Perché gli basta. Qualche cosa, in ogni caso, resta fuori. Il mistero della plasmazione o dell’azione.
Poesia: guardatelo scaturire, dal più tecnico degli arcolai. Oh, sottilissimo cordino di metallo. È praticamente una magia. Facilissimo, del resto, grazie a: QUESTO macchinario della AIM Inc, azienda specializzata dello stato americano dell’Illinois, che a quanto dicono, almeno in data 17 febbraio 2009 era… IL PIÚ VELOCE DEL MONDO!

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Nascita di un planetario meccanico

Orrery

“Piccolo Eric, tu che voto ti daresti?” Pur essere dei test di quinta elementare, i progetti di scienze della scuola Carrotilon/Diomedes, vincitrice del premio Best Teachers of 1967, richiedevano comunque un certo standard realizzativo. “Se…Sei?” L’arcigna maestra fece un smorfia, riportando una mano verso l’aguzzo mento, con fare meditabondo. “A partire dall’anno scorso abbiamo avuto 10 vulcani, 15 rane sezionate, 25 limoni elettrici…Oooh, le Idi di Marzo dei Grandi Uomini, oh, quanto…” La sua voce irata, gradualmente, si fece un velato bisbiglio. Eric, intento a far timidamente girare la manovella, diventò improvvisamente assorto. “…E poi! Questo planetario non ha nemmeno la simulazione dei crepuscoli, la visualizzazione dei punti cardinali! Mancano le stelle occidue delle diverse latitudini! E l’essenziale calcolo precessivo degli equinozi, ebbene? Dove diamine sarebbe?” Eric, facendo l’accenno di un ghigno un po’ tirato, prese tra il pollice e l’indice una piccola sfera del meccanismo “Ve..Venere è fatto di ciocc-“. I rappresentanti d’istituto, tenuti per tradizione a testimoniare l’evento, trasalirono impercettibilmente. Mrs. Nichols, alzando la voce d’un tratto disse “Non vaa ben-EE?! Pretendo la definizione della sfera di Ipparco, un’adeguata resa del disco armillare! Plutone non è nemmeno in scala e poi manca…Il secondo pianeta?” Eric, farfugliando con la bocca piena, continuò la sua esposizione: “-olata! E la Terra invece…” Calò il silenzio. I compagni di classe osservavano deliziati, i genitori tacquero perplessi. “…Pashta di man-dorle!” La Nichols, improvvisamente affetta da un tic all’occhio, pareva furiosa e sconvolta allo stesso tempo. Qualcuno, fra il pubblico, bisbigliava. La gente iniziò ad agitarsi. Eric, neanche finito di ciancicare l’azzurra culla dell’umanità, già prendeva in mano l’enorme Saturno. La maestra tremava: “Ma…Ma, io?” Chompchompchomp. Eric: “Mar-zi-pan!” Nel buco nero della sua bocca spariva l’intero gigante gassoso, comprensivo di satelliti ed anello di zucchero filato. I compagni gridavano “Evviva!” I genitori battevano le mani, i rappresentanti del consiglio d’istituto, esultanti, frugavano nella cassa delle coccarde. “Baicoli! Bavarese! Bianchitus! Bounet!” Tutti mangiavano e ridevano, come ridevano… Torta della nonna! Crostata di mele! “Primo posto! Primo posto!” La tirannica Nichols, riconoscendo la tardiva sconfitta, corse in lacrime fuori dall’aula. E da quel giorno la fiera di scienze della Carrotilon/Diomedes, vincitrice del premio Best Teachers of 1967, diventò un gradito giorno di festa.

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La potenza dell’aspirapolvere al neodimio

Neodimio

Atomi da tutte le parti. Che disastro! Rettifica e pulisci, trapana e scontorna, un’officina si riempie sempre, verso sera, dell’alternativa professionale alla comune polvere di casa: il truciolo selvaggio, mutevole nemico di chi plasma la materia. Molto dipende dal tipo di sostanza. Il falegname, colui che taglia in pezzi ceppi e fusti di origine biologica, si ritrova immediatamente circondato da una pungente segatura, così leggera da poter fluttuare nell’aria con cinica incostanza. Per non parlare, poi, delle schegge. Nell’ambito metallurgico il problema si configura in modo differente. Una volta spento il macchinario e tirato fuori il pezzo costruito, ci si deve subito occupare di un lungo tratto serpeggiante. I trucioli ferrosi, specie se conseguono da un taglio rapido e potente, non volano nell’aria, non si disperdono e restano caparbiamente tutti assieme, formando uno splendido elicoide, simile alla spirale del DNA. Lascialo intero e puoi tagliarti. Sminuzzalo e avrai frammenti da tutte le parti, da raccogliere pazientemente con la scopa. È una lotta senza vincitori. A meno che… Ci sono due modi per fare le cose. Uno è quello giusto, diligente, l’altro è fantasia e sregolatezza, il genio nato dall’intuizione di un singolo momento. E a quanto ci è dato di capire, almeno basandoci sul corpus documentaristico di YouTube, quest’ultimo approccio è particolarmente usato in un certo ambito culturale, largamente rappresentativo della Russia.
Qui nasce, forse niente affatto a caso, la ripresa video in oggetto di questo post, che potrebbe considerarsi un valido how-to, il consiglio spassionato per risolvere, una volta per tutte, la tremenda questione che ci affligge tutti quanti. Ovvero come acquisire l’assoluta autorità sugli scarti collaterali di un valido lavoro, senza faticarci delle ore.

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L’eloquente cozzare del maglio austriaco

Maglio

Fra tutti gli attrezzi di una forgia il più poderoso, impressionante e sonoramente significativo è senz’altro il maglio. Battere il ferro, dargli una forma, è un compito che può affrontarsi con diverse pretese d’efficienza. Ai primi fabbri di ciascuna civiltà, emersi dalle pagine della storia per mettere insieme aratri e strumenti agricoli di vario tipo, bastavano i muscoli, gli attrezzi manuali e un sapiente impiego del più valido fra i diversi elementi: la fiamma di Prometeo. C’era però, sempre e comunque, un limite oltre cui non era possibile andare. All’inevitabile e ripetuto scoppio di una guerra, quando il filo tagliente di un’arma poteva trasformarsi nel tesoro di un regno, e ancor di più successivamente, fra i colpi fragorosi degli archibugi e dei cannoni d’artiglieria, coloro che avevano il compito di armare i soldati dovettero sempre più spesso affrontare un gran dilemma. Quello di come ottimizzare, oltre ogni limite del possibile, la loro produttività giornaliera. Così, dopo tutto, nacque una buona parte dell’attuale tecnologia; per un bisogno di sopravvivere all’umana avidità guerriera. E chi avesse bisogno di materiali testimonianze, oltre all’odierna continuativa evidenza, può prendere atto di questi mostruosi macchinari. Ce ne sono due, dentro l’officina di Sepp Eybl, fabbro e scultore della cittadina di Ybbsitz, in Austria. Le squillanti voci dei suoi martelli automatici bastano a trasportarci, con la mente, ad epoche o mondi lontani, non dissimili da quelli mostrati nelle scene d’apertura del film Lo Hobbit, ispirato, per il tramite di J.R.R. Tolkien, alle saghe nordiche e ad altre atmosfere più moderne, musicalmente e visualmente wagneriane. Il video è stato ripreso e pubblicato da Kim Thomas di ThomasIronworks, un canale dedicato alla lavorazione dei metalli, in ogni forma e paese del mondo.

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