Montagne russe su montagne austriache

Mieders

Il numero di modi per discendere da un monte è pari a quello dei gradi d’impazienza umani, secondo quanto osservabile in un ipotetico soggetto interessato. Passeggiare bucolici, godendosi la natura e fotografando il panorama è un piacevole livello 1. Sciare o andare in snowboard può corrispondere allo sportivo livello 2. Parapendio, deltaplano o inseguimento di un formaggio rotolante corrispondono rispettivamente ai gradi 3, 4 o 5, suddivisi secondo il crescente contenuto di spregiudicatezza e sprezzo del pericolo. Fino agli sviluppi tecnici degli ultimi secoli, nessuno aveva mai pensato che si potesse andare oltre il sesto livello (fuga dall’orso inferocito con gli abiti ricoperti di miele). Una fretta ulteriore, secondo le diffusissime leggi del senso comune, sarebbe stata di gran lunga troppo nociva per la salute. Non era, guarda caso, mai stata costruita una monorotaia di ferro e acciaio che partisse dalla cima rocciosa, arrivando fin giù a valle. Non ci avevano mai piazzato sopra un carrettino a due ruote, con l’unico sistema di controllo di una levetta frenante dall’efficienza non chiaramente verificabile. E poi, chi mai ci sarebbe salito? Il fatto è che mancavano gli strumenti giusti. Un conto è sentirsi raccontare, dagli entusiasti sopravvissuti di un tale epico tragitto, di come questo sia del tutto sicuro e immune alle 15 più diffuse cause di un fatale deragliamento. Tutt’altra cosa, vederlo in prima persona attraverso la ripresa di una videocamera digitale, come se fossimo noi lì, in prima persona, a goderci lo spettacolo maestoso degli abeti che si trasformano in un chiaroscuro indistinto, verso i margini di un campo visivo temporaneamente gibollato. Se doveste capitare dalle parti del Sud Tirolo, in prossimità della ridente città di Innsbruck, potreste essere tentati di rinunciare al più originale divertimento di quelle parti, soltanto per l’atavica, insignificante paura di schiantarsi a 10ⁿ chilometri orari contro la corteccia di un sempreverde, del tutto indifferente alle follie scimmiesche dei suoi coabitanti a sangue caldo. Quindi guardatevi, almeno, questi due capolavori di davidjellis, il massimo esperto nell’avvincente campo delle montagne russe, solito alla realizzazione di precisi video-racconti, subito pubblicati online. Chissà che non restiate anche voi assuefatti agli effetti di una o due pompate di adrenalina, da assumersi preferibilmente lontano dai pasti (onde evitare spiacevoli incidenti).

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Luna esplosiva per questa notte bianca a Tel Aviv

Tel Aviv Moon

La Luna è una costante lontana, passiva e insensibile. Siamo noi che l’andiamo sempre a cercare, scrutando freneticamente i cieli tra lo zenith e il nadir, mettendo in versi i nostri più sentiti bisogni umani. O Fortuna, velut luna statu variabilis, semper crescis aut decrescis! Eternamente venerata, trasformata in divinità e raffigurata in tutte le sue forme più inconcepibili, ridotta dalle moderne filosofie a nient’altro che un’espressione naturale del bisogno cosmico di “esistere”, Ella interpreta pacatamente il ruolo di taciturno arbitro dell’arena spaziale notturna, roteando. Lontana, perché percorre un’ellisse che dista al suo perigeo la non trascurabile cifra di 363.104 Km, contrappeso cosmico al nostro azzurro pianeta Terra. Passiva, in quanto sceglie di mostrarci la stessa identica faccia ogni volta che la guardiamo, come Van Damme o Steven Seagal. E insensibile perché non sa. Quando illuminerà della sua solita luce riflessa la prossima notte del 27 giugno, non potrà concedersi in modo speciale alla città di Tel Aviv, centro economico dello Stato di Israele. Peccato! Perché in tale data gli abitanti del luogo erano già pronti a fargli la festa. Celebrandola con la più sostanziosa delle notti bianche, fra spettacoli teatrali, aperture museali, luminarie sfolgoranti sulle loro meraviglie architettoniche (patrimonio dell’umanità) e ristoranti aperti dal tramonto all’alba, riforniti con speciali menù pensati per l’occasione. Per pubblicizzare l’evento, in questo video realizzato dall’agenzia CityMedia, si è quindi pensato di andargli incontro. Renderla un pò un personaggio, anche se a lei non importava affatto. Anzi, dotarla di molti diversi aspetti sbarazzini, in base al contesto delle varie situazioni. Ci si può soltanto stupire di ciò che si riesce a fare mediante l’impiego di una qualche dozzina d’inquadrature pensate ad arte. Gelato al gusto di Luna? Dayum!

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I sassi d’Oriente che saziano la fame…Spirituale

Banchetto delle pietre
Via

L’arenaria tagliata a fettine, con il suo gusto corposo, costituisce un primo ideale, purché adeguatamente condita mediante l’impiego di graniti ignei metamorfici, riconoscibili da quel tipico retrogusto, lievemente piccante. Il cupo basalto afasico ricorda il pesce di fiume. Arricchitelo con preziose spezie di porfido, possibilmente della tipologia riolitica, insaporitelo quindi con pezzetti di feldspati e miche. Marmi e quarziti saranno il vostro dessert: illuminati di traverso dal sole splendente del Sichuan,  la loro superficie cristallina vi apparirà simile a quella di candide meringhe, dal cuore segreto ripieno di fluida e magmatica cioccolata. Che nessuno si azzardi, però, a mettere in bocca uno di questi durissimi manicaretti. A meno di avere un piano dentistico d’eccezione e anche allora… Soltanto un flipper potrebbe digerirli. Perché l’appetitosa tavola imbandita inquadrata nella foto, nonostante le apparenze, contiene del cibo materialmente indigesto. Si tratta del pezzo forte del museo delle pietre di Yinchuan, capitale della provincia del  Ningxia, che vorrebbe rappresentare il pantagruelico banchetto di Manhan Quanxi; un evento storico, risalente al XVII secolo, in cui si tentò l’approccio diplomatico più significativo tra la dinastia cinese dei Qing e i loro vicini del nord, i popoli Manciù. Secondo la leggenda, in tale occasione vennero serviti 108 piatti impareggiabili, con ingredienti raccolti da ogni angolo del paese. Ancora oggi, nelle grandi occasioni, è usanza servire un’approssimazione moderna di tale pasto divino, nonostante molti degli animali sul menù siano ormai a rischio di estinzione.  Naturalmente, non mancano le alternative. Questa di usare la pietra, contrariamente alle apparenze, non è un semplice scherzo fine a se stesso. Proviene anzi da un tempo molto lontano…

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Cameriere, c’è un gatto nel mio cappuccino

Kazuki Yamamoto2

“Non si preoccupi, può berlo.” Risposta inevitabile: “Ma è troppo KA-WA-IIIIiiii!” In tale classica espressione deliziata, generalmente gridata in falsetto dagli amanti del Giappone di ogni età e parte del mondo, c’è un amore spontaneo che nasce dal comprensibile entusiasmo per qualcosa di speciale. Kawaii (かわいい) vuol dire carino. Dolce. Adorabile. Grazioso. Tenero…Qualcuno tempo fa decise che, per meglio trasmettere l’unicità di questo termine così esclusivo anche in lingua italiana, si dovesse usare il terribile neologismo PUC-CIO-SO, accompagnato da un’espressione estatica e dal gesto assai nipponico delle dita a V, possibilmente accennato appena, in una sorta di scatto nevrotico che però impegni entrambe le mani allo stesso tempo. E io mi vedrei un pò così, tipico turista beota occidentale, seduto al bancone di questo incredibile bar della città di Osaka. Il posto in cui lavora Kazuki Yamamoto, sovrano incontrastato nel sublime campo della latte art, ovvero quel procedimento che consiste nel creare immagini sulla schiuma del cappuccino. Come si può restare impassibili di fronte a tutto ciò? Costui non crea semplici figure, usando stuzzicadenti o cucchiaini per disegnare forme vagamente simili al soggetto da rappresentare, ma scolpisce letteralmente piccoli gatti, panda, giraffe e altri animali sulla sommità spumeggiante di quella semplice tazzina, mediante un procedimento che sembrerebbe assomigliare alla più mistica stregoneria. Miao! Apprezzato il gustoso aroma, bevuto il caldo e gradevole estratto del chicco di caffè, verrebbe quasi da aspettarsi l’imprevisto. Che dentro il bicchiere rimanga, magicamente, il candido gattino che tanto ci aveva intenerito col suo sguardo kawaii. Tutto bagnato e miagolante, destinato presto a squagliarsi e tornare in quei luoghi eterei da cui era provenuto. Concreto e al tempo stesso impermanente, come del resto ogni cosa bella della vita.

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