I cerchi dentro l’albero che custodisce la storia climatica dei continenti

Nel tormentato autunno della sua esistenza, il botanico cecoslovacco Franz Sieber guardò verso un pubblico importante ma decisamente scettico ed alquanto disinteressato. “Aveva pochi fiori, vi dico. POCHI fiori.” Con gli occhi socchiusi per la luce obliqua che entrava dalla finestra, Napoleone si tolse il cappello e fece una smorfia. “Quando l’armata non ascolta gli ordini, l’unica risposta è fare ammenda nei confronti dei genitori!” Un verso con la gola ed un sussulto, seguito dal rumore di qualcuno che batteva le mani una, due volte: “No, no, basta. Occorre aprire il piccolo passaggio verso il tempio delle vestali. Sono io, Giulio Cesare che lo afferma!” Aristotele, in un angolo della grande sala, scosse la testa. Mentre Carl von Clausewitz e Alessandro Magno annuirono con veemenza. “Se lui lo afferma, io gli credo.” Disse il grande condottiero macedone. “Nella foresta delle circostanze, vige la regola del più forte. E lui ha sciolto, ha sciolto il nodo con l’intento indagatorio di un dioscuro impertinente!” Fu allora che un ramo dei pini nel cortile del manicomio, fatto muovere dal vento, si appoggiò lieve sullo stipite della finestra. “È… È lui. Ascoltatemi, amici miei. Guerrieri, generali, politicanti! Giunge al nostro cospetto, tremebondo ma magnifico, l’imponente Eucalyptus pauciflora. Non ha molto da dire, ma le sue foglie pallide conoscono soltanto la verità. Per poterne trarre beneficio, occorrerà TAGLIARE fino al nocciolo della questione…”
Vissuto appena 55 anni, il ricercatore entrato in conflitto con le autorità boheme dopo essersi convinto di aver scoperto una cura per la rabbia, impresa per la quale pretendeva di essere pagato profumatamente diventò progressivamente più aggressivo e nervoso, fino al ricovero coatto che avrebbe segnato il termine della sua carriera. Sieber il naturalista, lo studioso, il collezionista di piante ebbe, tuttavia, se non altro una vita interessante e costellata di scoperte scientifiche, in Europa, Africa, Medioriente. Nonché ovviamente, l’Australia. Dove salendo in cime alle catene montuose nella parte meridionale del continente, si ritrovò al cospetto di uno svettante arbusto alto fino a un massimo di 30 metri, lucido e policromo soprattutto al primo sorgere del sole, ancora umido per l’aria notturna, che sembrava sfidare le sue cognizioni botaniche date precedentemente per acquisite. Com’era possibile che una varietà di Eucalyptus, pianta notoriamente affine ai climi caldi e gli ambienti di pianura, potesse non soltanto sopravvivere ma crescere alta e forte in luoghi dove la neve cadeva una pluralità di volte ogni anno, tra il sibilo di venti che non sembravano poter placare la loro furia? Non ci volle molto, tuttavia, perché egli comprendesse la relativa applicabilità del preconcetto nozionistico figlio di un punto di vista incompleto. Pur finendo per commettere, notoriamente, un errore. Tra i campioni da lui raccolti e riportati in Europa per la catalogazione, infatti, soltanto una minima parte sembravano esser caratterizzati dalla presenza di boccioli o le tipiche infiorescenze bianche e circolari di questo arbusto. Che decise quindi di chiamare, in lingua latina, pauciflora o “dai pochi fiori”. Laddove non c’è nulla, ad oggi, di maggiormente iconico e caratteristico delle montagne degli stati del Nuovo Galles del Sud e di Victoria che le intere cascate odorose prodotti da questi alberi, ben presto destinate a trasformarsi negli irsuti frutti simili a ghiande convesse tipici di questa specie dalle molte varianti. Il cui segreto maggiormente rappresentativo, d’altra parte, si nascondeva ben al di sotto di quella corteccia variopinta…

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L’impossibile creatura parassita nata dal principio tumorale della non-esistenza

Può sembrare indubbiamente una fortuna, all’interno della sconveniente contingenza, il fatto che il più terribile e pericoloso gruppo di malattie capace di compromettere l’organismo umano, in verità la funzionale manifestazione del suo intento di autodistruzione, non possa essere trasmesso da un individuo all’altro, o persino ancor più pericolosamente, da una specie all’altra. Poiché cancri contagiosi esistono, benché rari, nel contesto di alcune specie animali, tra cui famosamente il diavoletto tasmaniano (Sarcophilus harrisii) il sarcoma del criceto siriano ed il raramente discusso, lungamente noto tumore venereo dei cani. E del resto la capacità di una cellula clonata di sopravvivere, in qualche maniera, all’interno di un organismo differente da quello di nascita sottintende un lungo e sofisticato processo evolutivo, la cui progressione elude ancora molti degli approcci analitici a nostra disposizione. Il che lascia un ampio margine per teorie frutto della scienza di confine, tra cui l’ipotesi teorizzata per la prima volta nel 2019, dagli scienziati della Federazione Russa Panchin ed Aleoshin, che un simile processo possa addirittura generare degli esseri viventi in qualche maniera capaci di sopravvivere fuori dallo stesso organismo che li ha generati, dei “cancri autonomi” che loro definiscono mediante l’acronimo SCANDAL: “Speciated by Cancer Development Animals”. Un principio ricercato quindi nello studio rilevante all’interno di diverse classi di creature microscopiche, con un particolare occhio di riguardo ai parassiti cnidari Myxosporea. Meduse semplificate, tassonomicamente parlando, il cui ciclo vitale prevede un periodo di crescita trascorso all’interno di organismi pluricellulari complessi (generalmente un pesce) ed una fase riproduttiva supportata da invertebrati come vermi policheti o gastropodi di varia natura. Esseri biologicamente insoliti, a dir poco, proprio perché privi della maggioranza di tratti genetici tipicamente riconducibili al proprio phylum d’appartenenza, come se per loro l’evoluzione fosse proceduta, impossibilmente, al contrario. Ed ecco dunque l’effettivo nesso dell’intera questione, riassumibile nel fatto che in base ai dati acclarati in nostro possesso, vi sono intere famiglie all’interno di questo ramo periferico dell’albero della vita eucariota che non corrispondono in alcun modo alla convenzionale definizione di cosa possa implichi effettivamente tale definizione. Creature le cui cellule non risultano essere in grado, in modo assolutamente chiaro, di generare l’energia necessaria alla loro stessa sopravvivenza. Poiché prive di mitocondri o eventuali MRO (organelli dalla funzionalità equivalente) essendo in altri termini teoricamente incapaci di replicare se stessi attraverso la replicazione del codice genetico per come noi l’abbiamo sempre concepita. Lasciando una sola, inquietante possibilità alternativa…

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L’astruso cristallo che decora spontaneamente i defunti

Nel 2011 qualcosa di strano riemerse galleggiando nella baia del lago Brienz in Svizzera. Con tre protrusioni o estremità ed un tronco centrale ma nessun accenno di testa, coloro che ebbero il dubbio onore di prenderne atto non ci misero molto a capire la sua natura. Trattandosi, come potrete forse già immaginare, di resti umani. Tale corpo tuttavia, trasformato dal lungo periodo trascorso sott’acqua, aveva un aspetto tutt’altro che naturale. E soprattutto, come si scoprì ben presto, una consistenza più rigida della ceramica, più resistente persino del metallo. Esso era anche, per ragioni non del tutto chiare, di un color cobalto brillante, causa una pletora d’incrostazioni la cui provenienza restava del tutto incerta ma di sicuro NON erano semplicemente delle alghe. I primi coroner contattati per tentare di dare una soluzione al quesito fondamentale fallirono a causa dell’evidente contaminazione, risultando incapaci di fornire una data di morte, sospettarono in base a fattori di contesto il peggio: che potesse trattarsi di un defunto passato a miglior vita negli ultimi 15 anni, possibilmente una vittima d’omicidio. Il suo DNA, tuttavia, risultava anch’esso inspiegabilmente impossibile da rilevare. Lo sconforto continuò a dilagare. Finché ad uno di loro non tornò in mente la casistica di una notevole mummia, ritrovata nel 1991 in condizioni simili all’interno del territorio italiano. Il suo nome: Otzi, il reperto antropologico dell’uomo di Similaun. Conservatasi per oltre tre millenni all’interno dell’omonimo ghiacciaio, causa l’effetto del gelo ma anche un raro fenomeno connesso alla decomposizione. Causato dall’idrolisi dei tessuti umani, fino alla formazione di un guscio solido e letteralmente impenetrabile agli elementi, che prende comunemente il nome di adipocera. Materiale molto inviso ai patologi e criminologi, proprio perché tende a richiedere l’utilizzo di attrezzi pesanti, come seghe o martelli, per tentare di accedere al suo contenuto rivelatorio. Ma anche un “terreno” fertile per il verificarsi di un’ulteriore macabra trasformazione, quella delle molecole di fosfati facenti parte della nostra fondamentale essenza. Che dopo la dipartita, rientrate nel costante ciclo chimico delle infinite trasformazioni, tendono ad interagire con ogni sostanza che si trovano attorno, incluso il ferro e l’acqua. Una triade, se vogliamo, particolarmente fortunata. Poiché genera la formula Fe 2+ 3 [PO 4 ] 2 8H 2 O e conseguentemente, la Vivianite. Cristallo magico utilizzato per prevedere il futuro, mistico oggetto degno di venerazione. La fonte, in epoca medievale, di una polvere colorata più preziosa dell’oro. Non sempre, o necessariamente, la conseguenza di un corpo passato a miglior vita. Ma che quando ciò avviene, permette di spostarne la cronologia di svariati secoli indietro. Screditando, pressoché immediatamente, qualsivoglia malcapitata ipotesi d’omicidio…

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L’antico principe della montagna nella sacra caverna di guano

Per alti scranni, nobili sovrani. Entità insignite del dovere di rappresentare o custodire le caratteristiche fondamentali di un ambiente, un’ecologica inerente configurazione delle cose. Luogo e luoghi, mondi, singoli pianeti dove vige la fondamentale regola della natura, in base a cui nulla scompare ma ogni cosa si trasforma, evolvendosi per far ritorno allo stato mineralizzato da cui era aveva preso vita alle origini della sua storia. Ben sapendo come ogni altro camelide dell’area tra Argentina e Cile, Bolivia, Ecuador, Perù, grazie allo strumento dell’istinto, il rito che avrebbe avuto luogo alla sua morte. Quale psicopompo si sarebbe presentato, per aprire il suo cadavere e iniziare a divorarlo. Verso l’inizio di un mistico viaggio, spesso terminante all’interno di specifici e particolari recessi montani! Il primo a notarlo, tra gli umani cultori della scienza, è stato Matthew Duda della Queen’s University di Kingston, Canada, in trasferta presso la catena sudamericana per trovare nuovi spunti d’approfondimento nell’antica storia del Vultur gryphus, creatura più comunemente nota e celebrata come (il magnifico) condor andino. 3,3 metri di apertura alare e fino a 15 Kg di peso distribuiti nella sua elegante forma e bianca e nera, con dati sufficienti a farne il più imponente uccello volante della Terra, caratterizzato dall’abitudine di defecarsi addosso (uroidrosi) o in alternativa, sempre nei dintorni del proprio nido. Così come avvenuto, per un periodo di oltre due millenni, nella grotta del parco nazionale di Nahuel Huapi dove costui, assieme ad insigni colleghi, avrebbe riscontrato l’esistenza di un tesoro più prezioso di qualsiasi reliquia dei toltechi: un’intera, ponderosa, maleodorante montagna di guano. Defecata dalle incalcolabili generazioni di codesti uccelli, che si sono susseguite sotto il sole di un simile emisfero, raccogliendo alternativamente il plauso o l’antipatia delle vicine comunità civilizzate. Stratificando in modo totalmente incidentale, un secolo dopo l’altro, l’intera cronistoria pregressa delle proprie alterne tribolazioni. Come un libro utile a capire quando la popolazione ha prosperato e quando, invece, si è ridotta come nel lungo periodo tra 1650 e 650 anni fa, dal momento in cui una lunga serie d’eruzioni saturò l’aria di cenere, rendendo eccessivamente difficoltoso il volo. Per non parlare delle variazioni nella loro dieta e i minerali che ne entrarono a far parte, permettendo di comprendere le condizioni ambientali di ciascun periodo e tutto ciò che queste comportavano per lo stile di vita di questi uccelli. Le cui caratteristiche fondamentali, e doti tutt’altro che trascurabili, seppero dimostrarsi cionondimeno continuative nel tempo…

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