Nella mia casa c’è una piccola vetrina quasi tutta in legno di betulla, senza chiavi e senza serratura. Ha la forma di un parallelepipedo perfetto. Il suo sottile sportellino, fatto in vetro trasparente, ruota su tre cardini dorati. La luce della stanza si riflette a specchio sul suo fondo metallico brunito. Quando è giorno, appesa a un muro, assorbe luce dalla scienza. E di notte la restituisce, a beneficio di chi è in grado di vederla. Tre sono i ripiani, al suo interno: matematica di base, algebra platonica e purissima filosofia. Bianco, nero e marroncino, per altrettante collezioni di balocchi, nati nello spazio immaginario di un computer, plasmati dalla plastica vinilica, spediti da oltreoceano e messi lì da contemplare, per i minuti e le lunghe settimane di quest’epoca imminente. Il secolo della manifattura personalizzata, dicono, inizierà stasera o giù di lì. Voi dove sarete?
Shapeways è l’azienda americana che realizza su richiesta innumerevoli gingilli, soprammobili matematici, gadget, gioielli e statuette, per poi venderli attraverso il suo portale, a prezzi variabili tra i pochi dollari e le diverse centinaia degli stessi. Costituisce la più significativa di una lunga serie di realtà commerciali, nate tutte in questi ultimi mesi, che stanno inseguendo la propria fortuna grazie all’innovazione tecnologica delle stampanti tridimensionali, con diversi gradi di successo. In questo video di Mark Bruce, recensore di YouTube con il pallino di Halo e della scienza, vengono mostrati in sequenza alcuni dei loro pezzi migliori, tra cui l’ipercubo, il giroide (non quello di Animal Crossing) la spugna di Menger e la banda di Moebius (non il fumettista) con un solo lato. Un cupo virus pieno di rostri acuminati, l’unica comparsa biologica del gruppo, aggiunge il giusto grado di terrore repulsivo. Potrebbero sembrare poca cosa, questi pupazzetti, soprattutto dal punto di vista dell’utilità, eppure forse annunciano una svolta, quella dell’oligarchia industriale massificata, che per la prima volta dice: “Tu che se sei da solo, puoi avere ciò che vuoi.”
Non è facile da immaginare, per noi, l’impatto che ebbe sull’Europa l’invenzione della pressa da stampa in senso moderno, quando a partire dal 1450 proliferarono le bibbie sul modello di Gutenberg, sacri testi riprodotti all’infinito. Ciò che prima era solamente un suono, udito dai lontani scranni della chiesa, concretizzatosi come tangibile cartaceo, ma che non fosse più appannaggio dei potenti, bensì liberamente disponibile in ciascuna abitazione. L’industria di scala dovrebbe servire a questo, soprattutto: ampliare il numero dei riceventi di un soggetto, dunque di un concetto. Di questi ultimi, va da se, ce n’è di tutti i tipi. Primordiali, semplici e complessi. Ricorsivi persino, come un frattale, la figura matematica che contiene al suo interno la sua propria forma, ripetuta all’infinito, sempre più piccola e difficile da concepire. Basterebbe avere un modellino in plastica lucente, pieno di polvere ma impreziosito dagli sguardi.
scultura
L’incombente locusta dell’università di Cambridge
Questa cosa ogni cosa divora, ciò che ha vita, la fauna e la flora; i re abbatte, e così le città, rode il ferro, la calce già dura; e dei monti, pianure farà. Che cosa sarà mai? In un tempo non troppo lontano, fra le antiche mura del Corpus Christi College, parte indissolubile dell’università di Cambrige, è atterrata questa bestia mefistofelica, dall’aria pericolosa ed affamata. Aveva, dicono i diversi testimoni, sei zampe per saltare, un paio d’elitre puntute, corte antenne e grossi occhi, nuclei radioattivi dallo sguardo penetrante. La sua bocca, con molti denti affilatissimi, era come quella di un pesce preistorico dimenticato.
Quella specie di insetto, una creatura lunga circa un metro, è discesa sulla Terra nel 2009, percorrendo i sentieri e le biforcazioni dell’inconcepibile orologeria. Grazie all’operato dei suoi discepoli e creatori, ha vagato per tutto l’Old Court del Corpus Christi, il più antico cortile dell’intera Inghilterra, spazio in uso ininterrotto fin dal remoto 1350. Scacciando, con la sua stolida presenza, due scoiattoli, tre corvi e un merlo salterino. È quindi salita silenziosamente, strisciando con fare conturbante, fin sul campanile della vicina chiesa di San Bene’t. Al suo passaggio, quel drago corrosivo, l’astuta diavoleria moderna, ha smosso qualche tremulo mattone, il residuo di epoche remote. Fu proprio allora, a quanto dicono, che l’immobilità calò pesante sull’antistante Trumpington Street. La gente basìta rivolgeva gli occhi verso l’alto. Dalla cima della torre, emettendo finalmente quel suo temuto verso gutturale (tic-toc-tic-toc…) la bestia ha indicato verso un edificio, usando la propaggine geometrica della sua maxilla. Stava, come apparve chiaro, designando il suo futuro trono: la recentemente restaurata Taylor Library, somma istituzione dedicata all’inventore del sacro bollitore senza fili – uno stimato ex-alunno, architetto e munifico filantropo, aggiungerei. Nonché il finanziatore, guarda caso, anche di un tale mostro meccanico, dal costo trascurabile di un milione di sterline circa: il Cronofago, mangiatore delle ore, sovrano indiscusso del maestoso Corpus Clock.
Un orologio. Dal diametro di un metro e mezzo, tutto d’oro, senza lancette, ma pieno di luci lugubri e sfuggenti. Sopra c’era il mostro. C’è ancora e fa: tic-toc-tic-toc…
Maschere astrali ricavate dalle increspature della carta
Due mani, un liscio tavolo, soltanto un foglio, il gesto è ripetuto: pieghettare, ancora e un’altra volta. Un costruttore di simili origami d’avanguardia, scagliose o splendide creature antropomorfe, non ha soltanto un volto, ma molti. Li fabbrica, li colleziona, talvolta poi li vende a qualche sconosciuto. Quegli occhi ci osservano meditabondi, senza traccia di pupille. Fauni d’oro appesi alle pareti, arcani faraoni sulle porte, profeti dalle barbe sfaccettate, nascosti fra le fronde, dietro gli alberi del tuo giardino. Le corone sono corna dell’impermeabile mistero. Le bocche geometriche, turgidi dodecaedri, parrebbero più chiuse di una cassaforte. Ma in fondo chi è, quest’artista che utilizza lo pseudonimo di Origami Joel? Qualcuno che parte da ingredienti semplici, però punta molto in alto, ovvero alle purissime apparenze. Il suo dominio è l’arte di scolpire con la carta, però non secondo i metodi che insegnano nei libri. Meno male che ci ha regalato un blog, dove, tra i molteplici argomenti, descrive la sua tecnica speciale.
Nell’origami classico, secondo quanto chiaramente definito dagli esperti, esistono quattro tipi di diverse piegature: a valle (verso di noi) a monte (il contrario) e le relative contro-pieghe, usate per creare gli essenziali vuoti a fisarmonica, perfetti punti d’articolazione. Ciascuno di questi gesti codificati, partendo dall’imponderabile piattezza della carta, sarebbe un po’ come il tratto di un pennello. Da tali interventi manipolatori, mescolati da una mente ragionevole, puoi dare vita a molte cose. Soprattutto, farle muovere, se vuoi. Quanti gufi, aeroplani, cicogne o rospi saltatori! È questa la natura espressionista della carta, il tratto dinamico che prende vita. Ti resterà, comunque, un limite fondamentale. Perché un conto è definire i profili stilizzati di creature note o grezzi mezzi di trasporto; tutt’altra cosa è rendere giustizia all’illustrissima figura umana. O alle sue molteplici interpretazioni, come queste espressioni di cartacea meraviglia.
Col suono del cartone nella testa
Carburanti fossili che avvampano senza un attimo di posa, trasformando i liquidi in vapore. Ecco il fuoco, strumento di creazione (o distruzione). Dal suo calore, l’energia meccanica, spinta con forza dentro alle dinamo di una mastodontica centrale. Tutto questo per produrre suoni musicali, ripescati dal passato! L’uragano delle scienze tecnologiche, al servizio di una o molte melodie. E giù miglia, miglia di cavi dal diametro importante, con l’anima in leghe innaturali, o minerali scavati dal profondo della Terra, direttamente collegati con la comune presa elettrica in un angolo della tua stanza. Accanto a quella, una quantità variabile di altoparlanti. 2, 2+1, 5+1… Mossi dal carbone, dal petrolio, dall’uranio, che lì diventano, a distanza, strumenti d’intrattenimento. Favorendo soavemente l’ondeggiare di una minuscola bobina, piazzata sotto ad un piccolo magnete, dentro al cono affusolato intrappolato in ogni cassa dello stereo. Tutto, perché tu possa udire questo suono: TU-TUNZ-TU-TU-TUNZ-TUNZ-TUNZ […] Se ti riesce, in mezzo a tante distrazioni; perché in effetti, persona incline all’astrazione, cosa stai sentendo? Le macchine di scavo dei cantieri minerari, lo scroscio del bacino idroelettrico in funzione, la ventola del computer che, sfacchinando, decodifica l’MP3? C’è un suono nel silenzio. Il rumore di fondo, sia astratto che effettivo. L’udito è un senso difficile a isolarsi, che segue con arguzia il tuo pensiero, l’immaginazione. Il contesto insostanziale di quella dimensione, per sua natura, non è soltanto frutto d’allucinazioni Si ritrova, ad esempio, nel battere ritmico della pioggia sopra i vetri, che tanto spesso diventa l’epicentro dell’introspezione. O nel respiro cittadino, fatto d’automobili o vociare in lontananza, diverso sulla base dei luoghi e dei momenti: l’ausilio all’operosità, per imprescindibile eccellenza. Secondo l’artista svizzero Zimoun, almeno a giudicare dalle sue molteplici creazioni, la natura del rumore artificiale cambia, si muove, in funzione dell’impianto usato per l’ascolto. Specie se si tratta di una cuffia, da poggiare sopra il cranio, che batte ricordando l’insistenza della TAC.
Nella sua ultima proposta, dimostrata su Vimeo e risegnalata sul blog artistico del portale FastCompany, due scatolette di cartone diventano la cassa armonica di una singolare attrezzatura, formata da batuffoli motorizzati su di un filo semi-rigido di ferro. I quali, colpendo la superficie senza alcuna regolarità, producono un’arcana sinfonia. Nessuno, prima d’ora, l’aveva mai sentita, né la sentirà di nuovo. Almeno, senza l’uso di un registratore.