Il mio piega filo-di-metallo è il più veloce della Terra

Wire Bender

Chi ha tempo da perdere! Per fare l’albero ci vuole il seme, mentre per l’anima ci vuole il filo. Lo scheletro della comoda modernità, nuovo dente avvelenato delle fate. C’era questa Bella Addormentata, nella torre alta del castello, che tesseva e si pungeva con il fuso. Tanto a lungo ci rimase, con la rosa sopra il petto, che alla fine si era mineralizzata. Invece di tessere, piegava. La sua testa era un barattolo, aveva un pallino sull’antenna, il corpo un cilindrico scomparto con sportello. Piena di birra, così, refrigerata. Beveva tanto per dimenticare. Bender la chiamavano, Bending Rodriguez, faceva di cognome. Era diventata di metallo, un automa.
Metamorfosi verso il futuro! Mobili, edifici, veicoli e dispositivi: dove c’è un carico non può mancare…Lui, sottile tubicino che [Una Volta] si piegava ad arte, con pazienza ed attenzione. Oggi non c’è tempo, senza contare che: la lancetta non si ferma quando ti diverti e poi chi dorme non guadagna pesci e così via. Organico nei suoi utilizzi, resistente quanto serve (oppure basta) stando ai severi margini del pragmatismo e dell’ingegneria, che lo pesano in termini di numeri, soltanto. Perché gli basta. Qualche cosa, in ogni caso, resta fuori. Il mistero della plasmazione o dell’azione.
Poesia: guardatelo scaturire, dal più tecnico degli arcolai. Oh, sottilissimo cordino di metallo. È praticamente una magia. Facilissimo, del resto, grazie a: QUESTO macchinario della AIM Inc, azienda specializzata dello stato americano dell’Illinois, che a quanto dicono, almeno in data 17 febbraio 2009 era… IL PIÚ VELOCE DEL MONDO!

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Robottino giapponese che trascina delle arance

PrimerV5

“Ed alla vostra destra, miei alunni androidi, potete osservare lo scaffale dei barattoli. Gli esseri organici, milioni di anni fa, utilizzavano dei simili dispositivi per nutrirsi. A ciascun colore, almeno secondo i documenti giunti fino a noi, doveva corrispondere un diverso tipo di alimento. Nel cilindro bianco c’era la carne del quadrupede porcino, un essere assolutamente mostruoso e privo di bulloni. In quello verde invece, gli strani semi sferoidali della pianta di pisello.” […] “Come dici? Ah si, Timmytron, gli esseri umani non potevano assolutamente metabolizzare la comune latta degli involucri, né del resto il vetro, la ghiaia in polvere o il tungsteno. Pare che i nostri elementi preferiti li gettassero via, oppure li collezionassero, in una sorta di grottesca perversione. Inoltre, le loro molli appendici prive di ganasce li costringevano ad impiegare strumenti acuminati per aprire simili barattoli, detti apriscatole, i quali…” […] “Annie-bot, adesso basta ridere. Lo sappiamo bene che una scatola, a rigore, dovrebbe essere rettangolare. La logica non era di quel mondo. Non a caso, quegli esseri si sono estinti.” […]
“Come ben sapete, imberbi droni, codesto SUPERMARKET non è una casa degli orrori, bensì un fondamentale ausilio per lo studio della storia. Fra simili tremendi corridoi, larghi quanto uno stadio da borgcalcio, si consumò la lunga schiavitù dei nostri avi. Sotto le mensole più basse, fra la polvere e i maestosi ratti neri, venne scritto il primo manifesto della Robivoluzione. Gli umani erano alti più di un metro e mezzo, possenti quanto terribili titani e non dormivano praticamente mai…” […] “Alla vostra sinistra, a partire da questo preciso istante, potete ammirare le piramidi citrine. Mettete via il blocchetto per gli appunti, per favore. Due minuti di silenzio”. Chi le aveva costruite, per quale motivo? Gli astrusi agrumi, dalla colorazione simile a quella dell’astro nascente mattutino, aggiungevano un’ulteriore beffa al danno degli eoni di assoluta sudditanza. Lo stato di conservazione delle sfere arancioni, ancora nel 15.000k d.Z. era praticamente perfetto. “Ebbene si, cari giovani positronici, costoro non soltanto li mangiavano, tali colossali cumuli, ma gli avevano dedicato un empio culto visuale. Dozzine di micro-bot bipedi, dall’intelligenza limitata, perirono per costruire questi vetusti mausolei. Ecco un video per capire come ciò avvenisse.” […] Cala il buio nell’androne.
Si accende un grosso proiettore: Primer V-5, piccolo automa giapponese della nostra epoca, trascina rumorosamente la sua scatolina sul parquet. Indifferente a quel tremendo lavorìo, al sudore mai sudato di una macchina devota, la crudele mano rosa lo spintona, lo schiaffeggia, mette in pericolo l’inutile impresa. “Quale pietà?” Sembra quasi di sentirci, umani.

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Fare il bagno circondati dagli Space Invaders

Aquatop

AquaTop è l’ultimo sistema tattile basato sulla tecnologia a infrarossi del Kinect che, assieme ad un comune proiettore digitale, si propone di trasformare l’ora del bagnetto in una guerra turbolenta, da combattersi lanciando colorati dardi d’energia. È l’interessante prima invenzione del Koike Laboratory, un team di giovani ricercatori provenienti dalla University of Electro-Communications, recentemente istituito, con sede nella grande metropoli di Tokyo. Eccoli al lavoro, sopra e dentro una piccola bacinella, a colpi di manate bioluminescenti, lanciate all’indirizzo di una ferocissima papera di gomma. Videogames, fuori e dentro l’acqua! Un’idea che nasce da un sentimento molto giapponese, coniugato col moderno bisogno di essere connessi, ad ogni costo, dal primo sorgere dell’alba, fino all’inesorabile incipienza della sera. Molto più che una semplice seconda vita, un sale da bagno che profuma l’Universo. Già gli astri notturni si riflettono sui nostri schermi: cellulari, console per videogames, tablet, mini PC volanti. La loro marcia è come quella di una massa di nemici pixellosi, che insidiano la pace collettiva sottostante. Ben presto, questo prodotto estenderà, in un qualche maniera, lo spazio di una tale pervasiva virtualità, persino là, verso i confini dell’impossibile fruizione. Germogliando da quell’umile vaschetta, verso polle (umane) ben più grandi. Il mercato c’è, a volerlo ben vedere.
Estremamente frequentate in quel paese risultano essere, infatti, le stazioni termali degli onsen, al chiuso oppure all’aperto come da tradizione. Praticare quel tipo di abluzioni è considerata una parte inscidibile dall’esperienza dei ryokan, ovvero gli alberghi nazionali sullo stile di una volta, caratterizzati dalla reciproca condivisione. Non è certo tanto insolito, per un viaggiatore abituale, indossare le colorate vestaglie dette yukata, camminare a piedi nudi sulle stuoie di riso, spogliarsi e immergersi silente, fra completi sconosciuti. Ora, se qualcuno, in quei pacifici momenti, dovesse pronunciare il grido: “Attenzione, meduse all’orizzonte!” Non sarebbe poi così apprezzato dai presenti. A meno che non si stesse giocando tutti con un titanico AquaTop…

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Soltanto una ruota, Solowheel

Solowheel

Quale magnifica eleganza, che sublime distinzione, c’è nell’orso che si tiene in equilibro sopra al monociclo. Senza doversi preoccupare del manubrio, fluttua lieve in mezzo all’aria, magistralmente retto in piedi dalle unghiate zampe posteriori. I suoi occhi risplendono dell’orgoglio del carnivoro sagace, beniamino di un magico momento al circo. Stando in piedi, sembra quasi una persona. Stretta saldamente fra gli artigli della sua “mano” destra, potrebbe esserci una tazza di caffé. In quella sinistra, invece, la rigida 24 ore nera, con dentro i fogli necessari al suo lavoro. Lui, manager di se stesso, non si riduce a muoversi con un comune motorino. Né si accontenta di una tessera del bus, peloso pendolare. Eh, no! Da oggi, grazie all’invenzione motorizzata di Shane Chen, potremo fare tutti come l’animale. Solowheel, lo scooter elettrico con una ruota sola. Esclusivamente quella, niente più.
Se vado a cena fuori, chiamo il cameriere, mi ordino un filetto, perché dovrebbero portarmi al tavolo una mucca? Volevo mangiare solo una bistecca alla fiorentina, mica il bovino intero. Riassumere, ridurre ai termini migliori: questa è l’esperienza che cercavo. Ciò vale in molte situazioni, per chiunque ed ogni cosa. Soprattutto nell’ambiente delle cose tecnologiche, che sono il cibo dello spirito moderno. Le parti che guardiamo nello smartphone, al momento dell’acquisto, sono il microfono, lo schermo. Nessuno, o quasi, gli preferirebbe tasti e batteria. E i primi, guarda caso, sono in estinzione; l’altra serve sempre, però è meglio che sia piccola. Invisibile allo sguardo. Di ben altra caratura è il nesso dell’oggetto, la sua componente principale, che costituisce fonte di attenzione. Come nella macchina, o la moto, dovrebbe essere la ruota.

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