Centinaia di scienziati esultano per il ritorno di un razzo

Blue Origin

La scena si svolgeva lo scorso 23 Novembre. Il luogo dell’azione: il centro di lancio della Blue Origin presso Culberson County in Texas, di proprietà del magnate e fondatore di Amazon, Jeff Bezos. È fatta, eureka, ci siamo! Tutti quegli sconti natalizi, le promozioni del Black Friday e i lettori di e-book, le pubblicità per strada e sui giornali…Ci hanno permesso di acquisire i fondi. Per lanciare una pesante cosa oltre la stratosfera, riuscendo poi a recuperarla, perfettamente integra e già quasi pronta a ripartire. Mentre il razzo torna verso il suolo, proiettando la sua fiamma alla maniera di una galattica candela sottosopra, la platea dei tecnici, teorici e ingegneri che hanno partecipato al progetto osservano la scena sugli schermi, trattenendo il fiato. Il primo timido grido di gioia si ha all’accendersi dei motori retroattivi, secondo un piano attentamente definito. Quindi, la colonna celeste decorata con la grossa piuma apre il suo carrello, tra scrosci d’applausi e gente che si alza in piedi, alzando già le braccia, coprendosi le orecchie e il volto, per lo meno parzialmente. Dovranno pur guardare! Quando alla fine il razzo tocca terra, e si ferma senza rovinare disastrosamente al suolo, apoteosi. Non c’è laurea pregressa che possa fermare l’infantile senso d’esultanza, tra risa, baci, abbracci, rutilanti cori da stadio. La missione si è conclusa. Ora inizia…
Lo spazio: l’ultima delle frontiere. La cui effettiva posizione, per sua imprescindibile natura, varia col passare del progresso tecnologico e l’impegno collettivo. Tutto iniziò dieci anni esatti dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando Stati Uniti e USSR giunsero, in quasi assoluta concomitanza, alla costruzione di missili balistici così potenti, ed affidabili, da poter condurre un carico esplosivo tra i confini più remoti della nostra Terra. Oppure, incidentalmente, un oggetto di qualsiasi tipo oltre i confini degli strati superiori della nostra amabile atmosfera. A quel punto, le carte erano i tavola, le regole fin troppo chiare: la prima che fosse riuscita nell’impresa, tra le due superpotenze che già scrutavano l’un l’altra con tremenda diffidenza, avrebbe “vinto”. E a trionfare in tale primissima battuta, come sappiamo molto bene, furono i sovietici nel 1957, mettendo in orbita la sfera con le antenne dello Sputnik, prima astronave nella storia dell’umanità. Prontamente, allora, l’obiettivo fu spostato: un secondo passaggio della variabile Frontiera, da quel giorno fatidico, avrebbe richiesto la presenza di un essere vivente, possibilmente in grado di narrare l’esperienza nelle sue memorie. 1959: mentre gli americani sono impegnati nei preparativi del loro razzo Mercury, il cosmonauta Yuri Gagarin compie il suo storico giro attorno al pianeta, a bordo della capsula del Vostok 1. Di nuovo il blocco Occidentale, sconfitto e deluso, insegue la cometa rossa dei propri nemici percepiti. A gennaio del 1961, John F. Kennedy accede alla carica di presidente degli Stati Uniti. Nei tre anni in cui sarebbe stato in carica, prima di essere tristemente assassinato, avrebbe portato a compimento il programma in grado di portare il primo americano a compiere un volo sub-orbitale, dopo soli tre mesi dall’inizio del mandato, superando la soglia meramente tecnica dei 100 Km d’altitudine. Prima di tornare, come il veicolo di Blue Origin ma senza tutto il razzo intorno, sano e salvo verso il suolo. Il nome di quest’uomo, destinato a passare alla storia come il migliore e più importante dei secondi arrivati, fu Alan Shepard (1923-1998). A quel punto, nella volubile percezione dell’opinione pubblica, avviene un nuovo cambiamento. La grande frontiera si allontana ulteriormente, verso quell’astro che domina il cielo notturno, la chiara, enorme Luna. Kennedy risponde all’esigenza istituendo i due programmi paralleli, di Gemini ed Apollo. Finalmente la situazione avrebbe sperimentato un capovolgimento, tanto a lungo atteso…
Ma noi, spostiamoci di un ventennio. Negli anni ’80 e ’90, con l’ulteriore crescita delle aspettative, la frontiera dello spazio finì per scomparire all’orizzonte. Posizionata fin troppo lontano, verso il rosseggiante pianeta Marte, diventò gradualmente una meta per lo più teorica, sostanzialmente irraggiungibile allo stato attuale delle cose. Giacché per conseguire un simile obiettivo, come era stato dimostrato in precedenza, era necessario sussistessero due condizioni: risorse economiche potenzialmente inesauribili, per lo meno al complicarsi progressivo delle cose, e il bisogno percepito di “prevalere”. Non tanto contro un concetto aleatorio, come i limiti situazionali, o le aspettative comunitarie, quanto nei confronti di un avversario estremamente concreto ed implacabile, qualcuno che riuscendo a soverchiarci, avrebbe acquisito un vantaggio sensibile di popolarità. Per non dire poi, più meramente strategico, nel caso di bellici e riscaldamenti. Una situazione che oggi, carri armati esclusi, sta sussistendo nel settore privato, in cui da qualche anno competono due possenti compagnie. La loro frontiera può apparirci orientata a una domanda di mera e semplice convenienza economica: si può riutilizzare un razzo? Sono la Blue Origin di Bezos e Space-X, di Elon Musk.

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Nuove invenzioni dal creatore del sarcofago anti-terremoti

Dahir Boxbed

Viene un momento, nel comune scorrere della propria vicenda personale, in cui più di ogni altra cosa si desidera di essere altrove. Durante un’interminabile riunione di lavoro, sui banchi di una giornata scolastica piuttosto complicata, in mezzo ad un ingorgo lungo quanto Jörmungandr, il grande serpente che circonda gli oceani di Midgard, scuotendo la propria coda assieme ai continenti. E forse nessuno ha mai provato questo sentimento di auspicabile dislocazione maggiormente di chi, al proprio risveglio repentino, si è trovato coinvolto nel pieno di un disastro naturale, come un’alluvione o un terremoto. Quando sarebbe bastato, quella particolare notte, decidere di andarla a trascorrere in villeggiatura, o come ospiti di amici, o magari semplicemente a bere al bar, per poter correre sul viale incolumi, gridando a pieni polmoni la propria rabbia ed il sollievo per la piega presa dagli eventi. Ma se invece abiti al quarto, quinto piano? Se l’edificio che protegge la tua casa non è stato costruito esattamente con materiali ad alta resistenza, magari perché è antico, oppure qualche predecessore della sfera tecnica, ahimé, ha ceduto alla tentazione di arricchirsi con risparmi sul progetto? Se quando viene quel fatidico momento, sorpreso ed assonnato, non hai che pochi secondi per balzare fuori dalla porta, percorrere le scale fino all’unica, remota via d’uscita…Non è detto che ti salvi. Diciamo che ci vuole, quanto meno, un certo aiuto dalla dea Fortuna. Mentre secondo le statistiche, stando alla legge dei grandi numeri, salvare vite significa trovare un sistema che sia, letteralmente, fool-proof (a prova di errori) e quindi adatto a trarre fuori dall’impellente grama chiunque, inclusi gli individui meno pratici, scattanti o quelli con il sonno più pesante. Il che significa, sostanzialmente, che nel caso qui descritto l’unica remota soluzione è questa: potenziare il letto stesso. Renderlo, grazie all’impiego di una straordinaria soluzione tecnologica, in grado di chiudersi di scatto, proteggendo il suo occupante da qualsiasi crollo, non importa quanto rovinoso e/o devastante.
Come per le altre proposte dell’azienda russa Dahir Insaat, di proprietà dell’industriale ed ingegnere Semenov Dahir Kurmanbievich, questo letto futuribile non viene offerto al grande pubblico soltanto sulla carta, bensì accompagnato da un esauriente dimostrazione video, creata in computer grafica decisamente competente, se non proprio a livello dei più costosi e popolari videogiochi. Lo scenario è per certi versi strano, eppure in qualche maniera fin troppo plausibile: ci sono alcuni personaggi, fuoriusciti direttamente dall’ultimo episodio di The Sims, che riposano beati all’interno di enormi stanze da letto, sopra dei plinti degni di una piramide però siti all’interno di un palazzo dall’aspetto conforme a quello della maggior parte delle abitazioni di epoca sovietica, che costituiscono da decenni la periferia di grandi città come Mosca o San Pietroburgo. D’un tratto, senza alcuna soluzione di continuità, la telecamera si sposta all’esterno in quanto, oh, no! La terra inizia a tremare. Montaggio alternato: fuori-dentro; mentre già le pareti s’incrinano ed iniziano a crollare sopra loro stesse, il giaciglio sopraelevato dei fortunati condòmini dimostra il suo segreto. Come una tagliola, o ghigliottina, quello reagisce a dei sensori non mostrati (simili a…Sismografi?) e ingloba la persona che dorme, assieme a materasso, cuscini, coperta e tutto il resto. Un portello quindi viene chiuso automaticamente nella parte superiore, rendendo la scatola del tutto indistruttibile, non importa il peso delle macerie che vi crolleranno sopra. Ora, naturalmente questa soluzione non è sempre la migliore: è possibile immaginare casi in cui, l’improvviso scoppio di un incendio a seguito del terremoto, avrebbero reso maggiormente consigliabile una fuga precipitosa. Oppure edifici talmente alti che il loro crollo, non importa quanto si è protetti, comporterebbe un contraccolpo grave per gli occupanti della cassaforte umana. Per lo meno, un’ampia selezione di rifornimenti è stata inclusa sotto il giaciglio, permettendo ipoteticamente la sopravvivenza per periodi prolungati sotto le macerie, per un tempo sufficiente ad attendere i soccorsi. Inoltre, è ragionevolmente probabile che l’occupante della capsula possa intervenire sui comandi, aprendola immediatamente quando ritenuto necessario. Purché i detriti causati dal crollo non blocchino il coperchio con il loro peso…

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Quanti cavalli di potenza ha una lattina?

Stirling Can

Le alte ciminiere delle fabbriche di Londra, un ricordo ormai lontano, sorsero nel giro di appena due generazioni. Da quelle alte strutture sgorgò presto il fumo nero dell’inquinamento, ovvero scorie derivanti dalla combustione del carbone, la polvere nerastra che anneriva i sentimenti ed i polmoni. Eppure nel contempo, nelle occulte, incomprensibili fornaci, prendeva forma il nocciolo della questione. La preziosa gemma del progresso, dalle molte e assai proficue derivazioni, che venivano applicate di volta in volta a produzioni differenti: tessuti, metallo lavorato, sostanze chimiche, cemento. Persino gli alimenti, nonostante i presupposti. Più il cielo andava perdendo la sua naturale lucentezza, maggiormente dilagava il metodo di trar profitto dalle cose. Mentre l’umanità scopriva, in fin dei conti, cosa volesse dire veramente, imbrigliare la natura ai suoi bisogni. L’energia non è di per se buona ne cattiva, ma segue un sentiero che trova composizione da questi due estremi, li rimescola e ne trae un lavoro. Che in quanto tale, non può non comportare un sacrificio. L’energia può tuttavia essere, se prodotta dalle cose di poco valore, divertente. Il che significa finalizzata all’assoluto nulla, procurata sulla base di una metodologia che non sarà efficiente. Né pratica. Né scalabile. Né ragionevolmente opportuna. Ma può far girare il fondo di un barattolo di vernice, opportunamente installato su di un mozzo rotativo, al ritmo notevole di 860 rpm! Con un suono di stantuffo reiterato, rilassante e regolare, tale da rivaleggiare il canto di un astruso pappagallo d’alluminio. Ci sono modi peggiori, ritengo, di passare la giornata…
Tutto trovò inizio assai probabilmente in piena estate, quando il consumo di bibite analcoliche (checché ne dicano Babbo Natale e gli orsi) tende a ritrovarsi estremamente incrementato. Così entrano preponderanti nelle nostre case tutti quei brillanti recipienti, tratti da un sottile strato di alluminio ribattuto in forma di cilindro. Con il suo contenuto di Pep! Co/Co! Spr…Ed altrettanti famosi nomi, ciascuno il frutto egualmente complesso di un processo di lavorazione che trovò la sua origine nel 1767, quando Joseph Priestley, ecclesiastico, filosofo e scienziato dello Yorkshire, scoprì il segreto per dissolvere l’anidride carbonica nelle sostanze dissetanti, creando così la prima acqua frizzante della storia. Proprio così: anche per quella, dobbiamo ringraziare gli Industriali. Del resto, già diceva il quell’insigne predecessore, Isaac Newton: “Nessuna forza può cessare di esistere, senza lasciare traccia. Tutte quante devono riuscire a trasformarsi!” (Uno dei fondamenti della termodinamica, aha!) Resta dunque indubbio, che nel contenuto della bibita, tutto quello zucchero, e/o sciroppo e gli altri contenuti cristallini, finiscano per essere diffusi con il sangue, irrorando ogni membrana cellulare che gli capiti dinnanzi. Le calorie, in parole povere, si notano nell’incremento di peso di chi espleta un consumo reiterato del sovrano succo con le bollicine. Ma che dire dell’ingegno costruttivo e l’inventiva, che attraverso i secoli, ci ha permesso di creare una filiera tanto pratica, da permetterci di prendere quell’alluminio dopo l’uso… E poi gettarlo, come niente fosse, nella spazzatura?! L’industria, in quanto tale, si basa su un rapporto delicato tra le forze in gioco. Pur non essendo, essa stessa, una Forza soggetta a leggi chiaramente definite. A meno che tra noi e il cestino, all’improvviso, non si frapponga il naturale desiderio d’inventare, ma purtroppo… Ehi, aspetta un attimo! Lo senti? Questo è il suono del premiato “Congegno per indurre un moto rotativo in un volano tramite l’impiego di una fiamma viva” già costruito in innumerevoli forme, negli anni più recenti, grazie all’applicazione di un metodo immediato, quanto estremamente funzionale. La versione qui orgogliosamente dimostrata, in particolare, è il frutto del lavoro dell’utente Approtechie, che dopo averlo caricato come “suo primo video di YouTube” ne ha ottenuto oltre un milione di visualizzazioni del profilo. Ma ce ne sono molti, molti altri…

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Uomo volante visita la Statua della Libertà

JD-9 Jetpack

Passare sotto lo sguardo vigile di questa figura in bronzo alta 46 metri…. Che non potrà mai essere soltanto 27 tonnellate di rame, 113 di acciaio poggiate su di un grosso plinto marmoreo con la forma di una stella, ma rappresenta piuttosto lo spirito di una generazione ed un pregevole ideale, teoricamente costruito mano a mano, attraverso il senso di responsabilità dei popoli di tutto il mondo. E che costituisce pure, nella fantasia popolare, l’insolita figura di un’antica dea romana, perennemente impegnata a sollevare la pesante torcia della luce del Domani. Il che, oltre ad essere fisicamente stancante, potrebbe lasciare insorgere nel passar dei giorni un senso vago di fastidio e noia. Le luci distanti della città, perennemente in festa. Le barche che procedono lungo le onde della baia. Qualche fortunato aereo, fulmine d’acciaio, che traccia scie di fumo tra le nubi newyorkesi. Non è forse probabile che la vecchia (ma pur sempre giovanile) Lady Liberty, talvolta, desideri scrutare coi suoi occhi l’occasione di uno svago differente? L’improvviso palesarsi di una situazione in grado di farle esclamare: “Ah, però. Chi l’avrebbe mai detto!” Che un lontano discendente della generazione Frédéric Auguste Bartholdi e Gustave Eiffel, gli uomini che applicarono la loro sapienza tecnica alla costruzione di lei stessa, alta e magnifica, potesse infine librarsi, libero nell’aria come un ponderoso, eppure splendido, gabbiano! L’evento appare tanto maggiormente significativo, quando se ne apprezzano le implicazioni. Il segreto del successo qui conseguito da David Maymand, imprenditore australiano, risiede infatti nell’aver finalmente un sogno antichissimo dell’uomo, che fin da quando rivolse per la prima volta il proprio sguardo verso il cielo non aveva PROPRIAMENTE sognato un qualche cosa di simile a: “Vorrei assicurare alla mia schiena due bottiglie di perossido e un catalizzatore utile a far aumentare di massa quel gas volatile di 5000 volte in un istante, vestirmi di una tuta ignifuga e librarmi per un tempo massimo di 20-30 secondi, un’eternità soggettiva, trascorsa nella speranza di non trasformarmi nella versione tecnologica del supereroe la Torcia Umana.” Perché questo erano stati essenzialmente, fino ad oggi, gli strumenti del “Jet” Pack, lo zaino volante. I quali, nonostante il nome, erano fondati su un qualcosa di radicalmente diverso dall’effettivo motore di un aereo a reazione, risultando più simili ad una versione indossabile del tipico razzo ad uso militare. E non è affatto un caso, se proprio quello fu l’ambiente in cui furono infine realizzati in chiave grossomodo funzionale, attorno agli anni ’60 e con lo scopo dichiarato di permettere ai soldati degli Stati Uniti di superare ostacoli paesaggistici, giungere dall’alto sul nemico, oppure balzare con estrema leggiadria oltre il pericolo di un campo minato. Un progetto in ultima analisi abbandonato, per problematiche logistiche difficili da superare.
Ma ciò che abbiamo descritto fino ad ora, perfettamente esemplificato dalla celebre Rocket Belt della Bell (usata nel film di 007 di Thunderball e per le cerimonie d’apertura delle Olimpiadi del 1984 e del ’96) dimostra ben pochi punti di contatto con il nuovo JB-9 costruito dalla Jetpack Aviation di Van Nuys, California. Anzi, direi che i due approcci sono assolutamente privi di somiglianze, al di là dell’obiettivo fondamentale di staccarsi dal suolo. Perché proprio questo nuovo dispositivo costituisce nei fatti, il primo vero e proprio aereo portatile, inteso come uno zaino che possa essere trasportato con praticità sulla schiena, eppure contiene due vere turbine, in grado di mantenere in volo una persona per un tempo massimo di 10 minuti. Impiegando, tra l’altro, un carburante dal prezzo decisamente più contenuto del sempre più raro e complesso perossido d’idrogeno. I risultati si possono osservare nel ricco canale YouTube dell’azienda, capitanata dal già citato investitore proveniente dal settore minerario e del marketing online, nonché rocketeer d’occasione, insieme alla figura di Nelson Tyler, l’inventore di Hollywood, premiato con tre Academy Awards per l’eccellenza tecnica, che nel 1969 aveva costruito la prima riproduzione ad uso civile della cintura-razzo della Bell. Nel corso dell’ultima settimana, i due hanno pubblicato letteralmente un video al giorno, tra vecchie immagini di repertorio e varie prove tecniche del JB-9, tra cui spicca per durata un’altra effettuata il 19 luglio scorso, presso “un lago in California”. Chiunque, tra le persone informate sul funzionamento limitato dell’originario jetpack, avesse assistito ad un simile exploit, sarebbe stato pronto a sollevare in alto il braccio in segno d’esultanza, esattamente come quello della Statua della Libertà.

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