Il robot che prepara i nostri ordini dal web

Kiva

Ogni essere ha delle caratteristiche che lo rendono perfettamente in grado di sopravvivere all’interno del suo ecosistema. E non c’è luogo, in tutto il mondo, che possa dirsi più astruso e difficile da interpretare dei labirintici magazzini di un gigante dell’e-commerce, come l’onnipresente Amazon. La creatura robotica Kiva, un prodotto dell’omonima compagnia americana, è per tali immensi luoghi l’equivalente di un pesce tra i flutti marini, un uccello in mezzo alle nubi o il verme di terra sepolto nel giardino di casa tua. Perfettamente a suo agio, in grado di prosperare e moltiplicarsi verso nuove generazioni, ancor più efficienti e precise. Il suo carapace iridato, simile a quello degli insetti ma di un rassicurante color arancione, occupa al millimetro lo spazio sottostante una qualunque delle innumerevoli scaffalature che gli si parano davanti nel corso di una giornata, permettendogli di andare oltre senza incorrere in fastidiosi rallentamenti. Quattro ruote articolate, una vite che si solleva dal centro del dorso. La usa diligentemente, sollevando in un attimo quello che gli viene richiesto, volta per volta, dai suoi intransigenti padroni umani. Kiva non è dotata di occhi che guardino innanzi, bensì di una telecamera ad infrarossi, eternamente puntata verso il pavimento. Con essa ritrova la retta via, leggendo i criptici codici a barre disposti, ad intervalli regolari, lungo tutta la pavimentazione del magazzino. Per questo non ha nemmeno il bisogno di un cervello che possa dirsi propriamente suo: per ciascuna colonia di robot c’è un solo server, con software particolari, che conosce in ogni momento la posizione dei suoi molti operai meccanizzati, evitandogli ingorghi ed incidenti. Di fronte a quel computer, un singolo impiegato della compagnia. Leggendo quello che deve impacchettare, secondo quanto indicato dal gestionale, preme con tutta calma il tasto corrispondente. Potremmo dire che il suo nome sia “Bob”. Ebbene, non importa che tu abbia ordinato un DVD, un libro, componenti informatici o stoviglie nuove per la cucina, l’unica persona in carne ed ossa che dovrai ringraziare per la loro consegna tempestiva è lui, Bob. Tutto il resto è dovuto all’opera inarrestabile dei Kiva, meccanismi nati per servire, matematicamente privi di sentimento. Tranne quando decidono di mettersi a ballare!

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La cavalcata dello scoiattolo rotante

Twirl a Squirrel

La dieta dello scoiattolo rosso americano (tamiasciurus hudsonicus) è sostanzialmente monotona e ripetitiva. Quando gli va bene, si nutre delle bacche o nocciole selvatiche che riesce a trovare nel sottobosco…Altrimenti dovrà accontentarsi di pigne, boccioli d’acero o larve di scarafaggio. Per questo ci riesce facile immaginare, con un certo grado d’empatia, la gioia dell’animale all’avvistamento di questa magnifica mangiatoia per uccelli, appesa da Viteacher alla grondaia di casa sua. Scalare una parete, saltellare fra una tegola e l’altra e poi discendere lungo il filo di sospensione è un gioco da ragazzi, per chi come Hardiman ha fatto dell’acrobatismo un credo, della destrezza uno stile di vita; il problema, semmai, è lo snodo. Infilata la zampetta nell’apertura pensata per il becco di un melodioso passero o cardellino, il roditore si accorge presto di aver fatto un grave errore: perché la struttura ricolma degli agognati semi è in realtà assicurata mediante l’impiego di un moschettone, in grado di girare liberamente a 360 gradi. Per effetto della stazza dell’ospite inatteso, decisamente più pesante di un visitatore convenzionale, la mangiatoia si abbandona quindi spontaneamente agli effetti della forza centrifuga, accelerando vieppiù. Al compiersi del primo giro, Hardiman appare ancora all’oscuro degli eventi, troppo preso dal gesto totalizzante di riempire il suo stomaco di materia commestibile. Fra il secondo e il terzo, la sua coda si trasforma nella pala di un elicottero peloso, mentre tenta in ogni maniera di bilanciarsi e continuare l’ebbra scorpacciata. A quel punto, è troppo tardi. Lo scoiattolo sta ormai sperimentando gli effetti stupefacenti di un trip allucinogeno: decolla insieme a un razzo della Nasa, sogna un dialogo con l’universo, gira senza posa verso l’infinito. Raggiunta la velocità di fuga, o un qualche tipo di massa critica, perde finalmente la presa e finisce all’interno di un cespuglio. Niente paura: secondo quanto raccontato dagli spettatori di una tale incredibile contingenza, lo scoiattolo ne è uscito poco dopo, senza aver subìto alcuna apparente conseguenza. Se non l’aver acquisito un certo senso di rispetto verso le imprevedibili creazioni dell’uomo, ben presto dimenticato.

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L’artista che imbriglia il vento nelle sue sculture

Antony Howe

L’arte di Anthony Howe nasce da una serie di competenze meccaniche straordinariamente personali, che gli permettono d’incanalare il respiro della Terra all’interno di svettanti installazioni metalliche, basate sul principio stesso dell’infinito dinamismo. Nei centri urbani, in prossimità dei luoghi di passaggio e delle piazze, le sue sculture ci ricordano della fluidità del contesto umano, tutt’altro che immanente: un breve attimo nel giardino dei Venti, terreno fertile per la relativa Rosa. Sospeso nel vuoto cosmico, appoggiato su di un sottile strato roccioso posto fra il magma e il gelo più assoluto, il mondo civilizzato potrebbe dirsi il frutto di uno scontro tra forze che tendono a sfuggire dalla nostra comprensione, con estremo impeto e forza generativa. Siamo circondati da mostri invincibili dai nomi antichi, che si scontrano fra loro in una guerra eterna: la fredda tramontana in opposizione all’ostro, levante e ponente che soffiano dai paesi distanti di civiltà agli antipodi, grecale o libeccio, chi vincerà? Sarà meglio, per noi insignificanti ospiti del pianeta, limitarci ad osservare. Mentre i tifoni, gargantueschi, battono le coste del sud-est asiatico e le brezze ostili si congregano nei terribili tornado del Midwest Nordamericano, questo artista ci mostra il lato più mansueto di tali forze, ovvero come l’aria in movimento possa anche creare e modificare strane forme, con gestualità prevedibile, persino ripetitiva. I petali del fiore, senza le sgradite spine. Simili a meduse, planetari e talvolta quasi accidentalmente figurative, con tanto di volto vagamente antropomorfo, le sue creazioni si nutrono di energia eolica creando negli spettatori un senso ipnotico di assennatezza. Alla fine anche la luce, veicolata da pannelli lucidi o specchietti ultra-leggeri, finisce per fare la sua parte.

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L’aereo che atterrava in retromarcia

Convair Pogo

Data: 19 aprile 1954, siamo in piena guerra fredda. Sulla pista militare dell’aeroporto di Brown Field, in California, stava per essere scritto un capitolo poco noto della storia dell’aviazione. Perché fu proprio in quel giorno che il prototipo del Convair XFY Pogo, strano velivolo simile a una freccetta gigante, fece il suo primo spettacolare atterraggio. A marcia indietro. Il tenente colonnello James F. “Skeets” Coleman, tra i più abili piloti della sua epoca, sapeva perfettamente cosa fare. Mesi di avveduti e difficili test di volo, effettuati all’interno di un grosso hangar, con l’assistenza di un cavo di recupero frequentemente utilizzato, l’avevano preparato ad ogni evenienza. Nei documentari dell’epoca si può rivivere la suspense del fatidico momento. Compiuto il breve giro di prova, il colonnello si appresta a rientrare alla base. Riducendo i giri del potente motore, che gli permetteva di raggiungere agevolmente una velocità intorno al Mach 1 (pari a quella del suono) inizia gradualmente a ridurre la quota. All’improvviso, al di sopra della pista, il muso del velivolo si alza verso l’alto, in verticale. Uno stallo, dovuto ad un fatale errore umano? Pare quasi l’inizio di un rischioso loop-de-loop a bassa quota, fermatosi all’esatta metà dal suo completamento. Uno spettatore accidentale, trovatosi in quel posto per una semplice coincidenza, avrebbe creduto nell’imminenza di un disastro. Il Pogo continua a rallentare, salendo a candela. Inevitabilmente, a un certo punto si ferma, come se stesse per precipitare senza più alcuna speranza. E…Resta così, sospeso. È diventato, a conti fatti, un elicottero. Lentamente atterra in un punto esatto, appoggiando infine tutto il suo peso sulle quattro pinne posteriori. Fosse stato prodotto in serie, questo aereo avrebbe rappresentato il primo VTOL con finalità belliche della storia, in grado di utilizzare come portaerei praticamente ogni tipo di nave. Un perfetto precursore del celebre Harrier Jump Jet. Peccato che in tutto il mondo ci fosse una sola persona in grado di pilotarlo.

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