Messi sotto dai mostracci di Natale

Krampus Austria

Una notte cupa su nel piccolo comune di Thurn, nel Tirolo austriaco di Lienz. Senza stelle e senza più speranze, perché come ogni anno, verso la metà di Dicembre, avviene il miracolo terrificante di Natale: diavoli irsuti con le corna e lunghe barbe, gli occhi strabuzzati, i capelli incolti e le ampie froge quasi equine, fuoriescono gridando dalla Schwarzwald, la Foresta Nera. Saliti a bordo di un comodo furgoncino, quindi (modernità, praticità) questi minacciosi figuri giungono nel borgo in festa per l’onomastico dell’amato San Nicolò/Nicola, tra i tetti rossi e spioventi della case adatte ad ogni inverno, all’ombra del pizzuto campanile, dove il parroco si è ritirato, con la croce e il vino consacrato. Perché lui ben sa, vecchio abitante della zona, cosa sta per succedere nel suo paese. Ben conosce i rischi che provengono dall’irridere il demonio…
“Ach du grüne Neune! F-falla finita Stefan, non è divertente” Quattro fredde luci elettriche disegnano lunghe ombre sulla piazza, mentre tutti gli abitanti al di sopra di una certa età, proprio tutti e incluso pure il vecchio Schneider, quello strano individuo che vive lungo la strada provinciale transalpina 32, si affollano lungo le quattro transenne di metallo. Oliver sa bene quale sia il suo posto. A casa, sotto le coperte, per leggere un buon libro nella pace delle mura dei suoi genitori. Eppure…”Te lo dico e ripeto, Olly qui non tornano i dannati conti. Guarda i cinque faccia di cinghiale sulla destra. Li vedi? Ecco, quello alto è sicuramente Thomas. Quindi è chiaro che almeno due degli altri sono i suoi soliti compagnoni: Marco ed Emil, altrimenti, lui col caspio che ci si metteva, col costume di suo nonno. Ne consegue che il mascherone rosso sia per forza Jan. Il tipo che se ne sta in disparte invece è Gabriel, lo riconosci dalle stupide scarpe rosse. Ok, mi segui?” Oliver lo segue fino a un certo punto. Tanto per cominciare, fa freddo. E il tavolo a cui li hanno fatti sedere è scomodo e pieno di schegge. Oltre tutto, chi gliel’ha fatto fare? Di sicuro non è stato CATTIVO, visto che anzi, è il primo della classe III D all’ITS di Lienz e al compito di geometria descrittiva ha appena preso una A, con tanto di lode della Schmidt, quella barbosa & arcigna & etc. Gli aghi di pino messi sopra l’alto padiglione costruito per far da riparo ai giovani scapestrati di turno, così assisi nell’attesa della punizione, si agitano un po’ nel vento. Un ciuffo cade di traverso sulla spalla di Stefan, il compagno di scuola, che lo scosta via distratto senza nemmeno smettere di parlare: “Sheiße! Ascoltami, ti dico. Per l’ennesima volta: Clemens, Valentin e Leo stanno nel turno dopo. Fabio e Kilian non sono venuti perché stavano male, giusto? E sono cinque. Quel buzzurro di Raphael ce l’ha detto l’altro ieri, che si sarebbe vestito da caprone, assieme ai suoi fratelli e infatti eccoli lì, tutti e tre appassionatamente. IO li riconosco tutti quanti. Te lo dico per l’ennesima volta, c’è un uomo in più! Qualcuno è venuto da…” ADESSO BASTA! “Hmmm” Fa Oliver, ad alta voce, anche se sono molte le parole che vorrebbe dire, a discapito del suo punteggio bene-male messo in dubbio dalla situazione, alquanto delicata, in cui si trova. Batte il pugno destro sul tavolo, con un sorriso sghembo finché l’amico non capisce che va bene, va bene. Però adesso basta.
Si ode un grido tra la folla: è giunto il culmine della serata. La vedova Werner, personalità di primo piano nel piccolo comune di appena 600 e passa abitanti, si avvia saltellando fino al centro della piazza. È assolutamente orribile a vedersi, anche più del solito, direbbero i maligni: ha un naso curvo e gigantesco, una chioma paglierina sotto un copricapo degno di una strega. È vestita di stracci e porta in mano una saggina spelacchiata, che agita a destra e a manca, con fare bisbetico parecchio convincente: “BIMBI MIEI *cough-cough* VOI SAPETE COSA AVETE FATTO *cough-cough* Sarà pure ora che paghiate lo scotto che vi siete meritati, ahaha, du ahnst es nicht, glugluglu!” Con fare imperioso, la Befana abbassa la sua scopa e i mostracci emergono, dai bordi frastagliati della folla, in un tripudio di campane, corni a fiato ed agitarsi caotico di membra.
Oliver, allora, getta uno sguardo nervoso verso i suoi compari di “punizione”, tutti assolutamente volontari, che verso le ore piccole di questa notte di gloria riceveranno birra gratis alla festa indetta dal sindaco, prevista nell’androne dell’imponente municipio di paese. Qualcuno si agita, altri battono le mani. Stefan, il solito accentratore, si alza in piedi e grida: “Odiato Krampus, fatti avanti, fatti avanti tanto non avrai il mio SCALPOH!” Suscitando nel compagno di classe più misurato l’improvviso impulso di coprirsi gli occhi, affranto. Per poi scostare un po’ le dita. Scrutando, tra l’indice ed il medio, una crudele verità: ci ha preso proprio, stavolta, quello lì. Se c’è un lato positivo nel vivere in un piccolo paese, è che la gente si conosce molto bene. Sai il nome di tutti, in pratica. Del resto non sono poi così tanti, i ragazzi in età adeguata per poter partecipare alla battaglia scomposta di Thurn, quando i demoni del Natale fanno cappotto sui bambini troppo cresciutelli, fra manate, spintoni e carambole crudeli. Quindi, a quanto pare, c’è un costume in più? E di chi Diavolo sarebbe?

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Razzi rotanti per il re dei cieli thailandesi

Bun Bang Fai

Una guerra terribile contro il popolo degli uomini serpente, che costò la vita a decine di migliaia di individui, con e senza scaglie. Tutto quanto…Per un razzo non partito? Sua maestà divina Phaya Thaen, supremo sovrano di tutte le creature alate, del sole e della meteorologia, ha una problematica disposizione alla dimenticanza. Assiso sul suo trono di nubi e scaldato dalle radiazioni elettromagnetiche degli astri, talvolta lascia vagare la sua splendida eminenza grigia per le valli e per i sogni, trascurando la sua maggiore responsabilità: portare ai contadini del Laos e della Thailandia quel momento lungamente atteso, della stagione delle piogge, in cui si piantano i preziosi semi della sussistenza. È una questione problematica che si ripete da parecchi secoli, perché c’è bisogno di svegliarlo, praticamente tutti gli anni! Le Prapheni Bun Bang Fai sono le celebrazioni buddhiste di ambito rurale che hanno luogo tra il sesto o settimo mese del calendario lunare, per celebrare la fine della stagione secca e l’inizio del periodo agricolo migliore. In occasione di simili eventi, derivati dai riti della fertilità di culti ormai dimenticati, si balla, si canta e ci si fa regali a vicenda, con lo scopo di accumulare un karma positivo per le proprie vite successive. Si organizzano magnifiche sfilate con i carri a forma di serpente e poi, giunti nel momento fatidico della celebrazione, ci si cimenta nelle più incredibili gare di razzi. Sperando, come sempre capita, che anche stavolta quel frastuono, quelle terribili scie di fumo, il bagliore degli scoppi pirotecnici…Tutto questo e molto altro, serva nel difficile scopo di svegliare Phaya Thaen. Oggi, chi fallisce nell’impresa di assemblare un ottimo razzo, viene punito sul momento: spintonato giù nel fango, zuppo e sorridente, tra i lazzi dei suoi amici e istrionici rivali. Ma non fu sempre così.
Si racconta, nei canti popolari, di un tragico triangolo amoroso, ovvero della triste storia del giovane re Phadaeng, della principessa Aikham e del principe dei naga (uomini serpente) Phangkhi, l’essere mostruoso con la dannazione di un amore niente affatto corrisposto. Come biasimare, del resto, la bella erede dell’ancestrale regno Khmer, per la sua preferenza verso il primo dei due possibili mariti, un baldo sovrano tra i presunti favoriti dalla famiglia, dalla nascita altrettanto privilegiata. Finché non successe l’imprevisto… Di un razzo di quell’uomo insigne, rimasto, ahimé! Senza carburante. Per un dinasta degli Khmer, fallire durante la festa del Bun Bang Fai era un pessimo presagio, una questione niente affatto trascurabile. Così che, quando il fuoco d’artificio non partì, al suo posto, volarono in cielo i presupposti del futuro matrimonio. Il che ci porta alla venuta di un impròvvido scoiattolo. Che non era un semplice roditore, niente affatto, bensì lo stesso Phangki, principe dei Naga, segreto ammiratore della stessa donna, tramutatosi per fare visita alla bella, in occasione di questo sfortunato evento a carico del suo nemico in amore. Con la fievole speranza che la fanciulla, liberata dai suoi impegni, si lasciasse finalmente intenerire. Cosa che avvenne, da principio: quando lei vide la simpatica bestiolina, dicendo alla sua guardia di palazzo personale: “Prendilo per me” Il che voleva dire, nelle sue intenzioni: “Catturalo, affinché possa tenerlo come beniamino”. Ma la guardia, per l’effetto di un residuo karma negativo, non capì. E allo scoiattolo tirò una freccia, uccidendolo. Il che ci porta a…

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Droni sorvolano cattedrali nel deserto

Burning Man Drone

Entrino i robot volanti, dotati di telecamera, celebrità virtuali dei canali dell’intrattenimento on-demand. Droni, silenziosi testimoni dell’umana follia. Questa momento, fra tutti, andava registrato. E per fortuna così è avvenuto. Sopra un letto di sale, sotto un cielo di stelle, fra agosto e settembre e nel pieno mezzo degli Stati Uniti c’è da sempre un titano che brucia. Con lui brucia un tempio. E dopo che sono stati tutti e due ridotti in cenere, stranamente, vengono ricostruiti per l’anno seguente, da molti anni a questa parte. Per assistere all’evento, si fonda tempestivamente una città, con decine di migliaia di abitanti. Si costruiscono fantasiose opere d’arte, le automobili diventano mostri, si balla, si gioca e si canta. Pochi giorni dopo, come per l’intervento di una forza misteriosa, fra quelle scure, rocciose montagne resta soltanto la desolazione. Sarebbe poi quella, terribile, del deserto di Black Rock, formatasi durante l’ultima era glaciale, famoso per la sua vasta playa, l’ultima testimonianza dell’antichissimo lago Lahontan. Volle il destino che di una simile polla pleistocenica, sparita per l’effetto di possenti mutamenti climatici, restasse soltanto il sale. Volle invece l’uomo, in tempi assai più recenti, che qui si facesse baldoria. Il nome della festa è The Burning Man e si tratta di un evento ormai quasi leggendario, nato più di venti anni fa come rito moderno del solstizio d’estate, dapprima grazie all’idea di un gruppo d’amici, tutti originari della città di San Francisco. Qualcuno, ingenuamente, potrebbe definirli gli ultimi depositari della cultura hippie, gli eredi della torcia di Woodstock. E in effetti ci sono dei punti di contatto, come il rifiuto del denaro, subordinato al baratto o allo scambio di doni, nonché la libertà di essere nudi e ricercare l’incontro tra i sessi. Il festival, tuttavia, si basa su una serie di princìpi più moderni, come l’autosufficienza radicale, la responsabilità civile e l’ecologia, particolarmente sentiti dagli organizzatori e da una buona parte degli eterogenei partecipanti…Però il punto più interessante sarebbe un altro, almeno secondo me. Il celebre statuto T.B.M, fatto di 10 regole, non assomiglia per niente a un manifesto infiammatorio, quanto piuttosto ad un prontuario d’interazione sociale. “Così ci si comporta qui, a Black Rock City, fra agosto e settembre” Sembra dire. E basta. Una volta tornati stanziali, nelle vostre solide città di cemento, portate con voi un ricordo di questi giorni. Ma non cercate di cambiare il mondo. E proprio in tale ragionevolezza d’intenti, in un certo senso, si può identificare la forza di questo durevole movimento.

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La cacciata dei serpenti dal tempio Shinto di Matsuyama

Setsubun Kagura

Setsubun è il nome di una festa giapponese che si tiene ogni 3 febbraio per celebrare l’arrivo della primavera. Si tratta di un’occasione particolarmente gradita ai bambini, che secondo l’usanza ricevono il compito di scacciare i buffi e innocui Oni (orchi) dalla propria casa, lanciando manciate di fagioli contro degli adulti mascherati. Ma nei luoghi più sacri del paese, in grado di suscitare l’interesse di ben altre creature, occorre schierare guerrieri più formidabili e addestrati. Nell’isola di Shikoku, regione caratteristica e rurale, ci sono cittadine sperdute in cui tutto è ancora possibile e gli eroi leggendari, da un momento all’altro, sono pronti a ritornare in vita. Questo singolare numero scenografico, opera del tempio di Izumo-Taisha presso Matsuyama, vede un entusiastico monaco vestire i panni di un antico dio, per affrontare la versione in forma ridotta del più terribile mostro giapponese: Yamata no Orochi, il gran serpente. Il video, che si accompagna ad una serie di variopinte fotografie, è opera di The Roving Ronin, blogger viaggiatore. La storia da cui nasce, frequentemente reinterpretata attraverso i secoli e nei moderni manga e videogames, merita un breve approfondimento.

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