Pigola, svolazza, si tuffa ed alternandosi, scorrazza. Tutti amano, nel giusto contesto, lo stile e il modo di porsi dei clown. Le gesta imponderabili, sgraziate ma non prima di una certa grandiosità immanente. L’aspetto a suo modo superbo, pur deviando in modo significativo dalla consuetudine nel modo di presentarsi. E non c’è alcun piumato essere, tra Texas, Trinidad, Florida e Bahamas, fino a buona parte dell’America Meridionale, a possedere un innato spirito comico più sviluppato dell’intero genere dei Crotophaga, letteralmente dal greco “Mangiatori di zecche”. Un nome ed un programma benché ciò non esaurisca i tratti distintivi di questi volatili, che potrebbero assomigliare alla lontana ad un corvo, per forma, colore e dimensioni, se non fosse per il possesso di una lunga coda a ventaglio ed il più singolare becco immaginabile: altissimo e piatto verticalmente, vagamente preistorico nell’aspetto come se alludesse a un’ascia di selce o la clava di un guerriero cavernicolo dimenticato. Essendo disponibile effettivamente in tre varianti: quella liscia del tipo chiamato “comune” (C. ani), quella con caratteristiche dentellature della versione “scanalata” (C. sulcirostris) e il più bitorzoluto, ricurvo arnese posseduto dalla specie più massiccia delle dimensioni di 40-45 cm, contro i 35 dei propri cugini, chiamata per l’appunto C. major. Uccelli molto simili per stile di vita e comportamento, dalle piume scarmigliate e il volo sgraziato, tanto che si osservano il più delle volte correre rapidamente a terra, alla ricerca delle proprie fonti di cibo preferite, vermi, cavallette, scarabei e l’occasionale frutto caduto a terra dagli alberi soprastanti. Quando non seguono in maniera eponima i greggi o armenti che si credeva costituissero la principale fonte delle zecche, in realtà non particolarmente apprezzate dal loro palato. Il che li rende a pieno titolo in linea con la dieta tipica della famiglia dei Cuculidi, pur mancando di altri tratti giudicati normalmente imprescindibili da questa qualifica all’interno del sistema naturale, già operata a suo tempo da Linneo grazie a un’osservazione del medico irlandese Patrick Browne (1720-1790). Tra tutti quello maggiormente affascinante dal punto di vista del senso comune, al punto da aver generato interminabili stereotipi e termini di paragone, del parassitismo di cova. Ovvero la maligna propensione a deporre le proprie uova nel nido di altre madri uccello più piccole affinché i nascituri buttino fuori o uccidano i propri malcapitati fratellastri. Beneficiando in modo significativo dell’amore e il cibo ricevuti dall’ingenua genitrice adottiva. Ed è partire dall’assenza di questo comportamento istintivo, che lo studio di questo genere alato porta gradualmente all’evidenza dei determinanti tratti caratteriali, nella gestione delle risorse condivise e la reciproca assistenza delle coppie riproduttive, che lasciano intendere se non esattamente un’utopia volatile, quanto meno un tipo di riguardo per i propri simili piuttosto insolito all’interno del regno animale…
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I rari territori tramandati dai cetacei con il muso di un più grosso delfino
Raramente si ha l’impressione di trovarsi innanzi a un effettivo “anello mancante”, inteso come la creatura che risiede nell’intercapedine biologica tra due categorie di forme di vita. Come la iena, feliforme che assomiglia in tutto e per tutto a un canide, o la famiglia dei “topi” macroscelidi, la cui proboscide tradisce l’effettiva appartenenza alla stessa famiglia degli elefanti. Volendo dunque ritrovare situazioni simili nel mondo degli abissi, sarebbe senz’altro difficile non ritrovarsi a citare i mammiferi marini appartenenti alla genìa dei Ziphiidae tra cui gli esempi più imponenti del genere Berardius, balene nella stazza la cui caratteristica forma del rostro ed il melone soprastante, l’organo di locazione simile a uno sferoide bulboso, parrebbero in tutto e per tutto accomunarli al gruppo di quei danzanti e giocosi spiriti affini all’uomo, gli odontoceti. Creature nate sulla terraferma intere Ere geologiche a questa parte, successivamente portate ad evolversi per migrare oltre le coste e nel grande azzurro luogo che si estende oltre lo sguardo dei quadrupedi abitanti del nostro mondo. Il che potrebbe anche essere vero, per quanto ne sappiamo, in merito a questi fratelli dalle dimensioni maggiori, capaci di raggiungere agevolmente i 10 metri di estensione nel caso del gruppo suddetto, anche soprannominato delle balene con il becco giganti. Con il corpo egualmente affusolato ma più tozzo dei delfini, con due vistose scanalature sotto la gola e dotato di una piccola pinna dorsale nella parte posteriore della schiena e due controparti pettorali, ritraibili fino al punto di scomparire letteralmente favorendo le prestazioni idrodinamiche dell’animale. Durante i suoi vertiginosi tuffi a profondità di 800-1.200 metri, per andare alla ricerca delle fonti di cibo preferite, che includono pesci abissali e seppie giganti. Giacché siamo nel caso specifico di fronte a un predatore percettivo e sempre pronto a rintracciare le sue prede, in maniera totalmente opposta allo stereotipo della balena che trangugia passivamente grandi masse di plankton, lasciandosi trasportare sonnecchiando dalla corrente. Donandoci l’impressione di un animale d’altra parte non meno pelagico, ovvero affine ai grandi spazi aperti dell’oceano, proprio in funzione dei suoi frequenti movimenti lungo l’asse perpendicolare all’orientamento dei fondali distanti. Il che potrebbe anche essere vero nella maggior parte dei casi, ma non sempre e non del tutto, come accidentalmente scoperto nel corso di uno studio pubblicato all’inizio di marzo sulla rivista Animal Behaviour, da O.A. Filatova ed altri studiosi dell’Università della Danimarca Meridionale. Come risultanza di una spedizione presso le isole del Commodoro, a largo della Kamčatka russa, originariamente organizzata per raccogliere dati in merito a orche, balenottere e misticeti. Ma che si sarebbe trovata a fare i conti con l’imprevedibile scoperta di una certa quantità di gruppi autonomi, per un totale di 186 individui appartenenti alla specie della balena di Baird (Berardius bairdii) evidentemente abituati a vivere in prossimità della costa, con profondità marine non superiori ai 300 metri. Un’abitudine del tutto priva di precedenti per questi animali e che potrebbe, almeno in linea di principio, derivare dalla trasmissione generazionale di una letterale tradizione locale…
Morte, vita e metamorfosi del coleottero che crede nell’amore materno
Quando si tratta di scovare l’odore di una piccola carcassa, nessuno è più efficiente del Nicrophorus americanus, onorato rappresentante di una categoria d’insetti che gli antichi Egizi giudicavano connessa alla divinità suprema. Questo perché la versione americana dello scarabeo sacro, che avvicinava metaforicamente la palla di sterco al disco incandescente del sommo Ra, non ha particolari preferenze per le deiezioni di altri esseri biologici bensì l’intero corpo fisico lasciato indietro successivamente al trapasso: l’insensibile, inamovibile residuo degli animati uccelli, topi o altri mammiferi del sottobosco. Eppur mai inutili, anche dopo essere stati abbandonati dalla vivida scintilla dell’esistenza. Essendo un concentrato estremamente apprezzabile, per chi non è incline a formalizzarsi, di nutrienti calorie pronte ad essere fagocitate. Per se stessi e caso vuole, la nutrita, brulicante schiera della sua prole. Come ed ancor più di molti altri esponenti di quell’ordine, lo scarabeo “seppellitore” è infatti una creatura emimetabola ovvero adattata a condurre una prima fase della propria esistenza in forma sotterranea/ipogea, prima di affrontare una metamorfosi completa in grado di donargli tra le altre cose un efficiente paio di ali ed elitre capaci di proteggerle dagli urti accidentali. Ma è su come riesca a garantire, ogni volta, la riuscita di un processo tanto lungo e laborioso, che si basa il suo effettivo nome in termini di linguaggio comune, risalente all’epoca in cui era praticamente ovunque sulla Costa Occidentale e buona parte dell’entroterra statunitense. Nato dall’osservazione del momento in cui effettivamente trova la propria notevole fonte di sostentamento. Dando inizio, piuttosto che portando a conclusione l’opera che può costituire il solenne coronamento del suo stile di vita. Se c’è allora uno agente dell’ordine davvero efficiente, tra la schiera di creature non più lunghe di 45 mm, egli ne costituisce senza dubbio l’esempio maggiormente apprezzabile tra la sfera biologica corrente. Per il modo in cui, dopo aver chiamato sulla scena una degna partner riproduttiva mediante l’uso di specifici feromoni, la coppia inizierà sapientemente a muovere il defunto fondamento della propria nascente vita domestica. Fino al punto ove la terra sia abbastanza friabile, per mettersi a scavare e seppellirne le rigide membra: un’operazione ingegneristica, quest’ultima, tutt’altro che semplice per creature fino a 150 volte più piccole dell’eventuale ratto bersaglio di tali attenzioni. Le quali ben conoscono i vantaggi di rimuovere un tale tesoro dal ciclo attivo degli altri saprofagi o eventuali predatori di striscianti agenti della decomposizione. Nascondendolo dove nessuno, tranne loro stessi, potrà scegliere di agire indisturbato per le prossime settimane o mesi di febbrile attenzione…
In guerra e amore la beccaccia non riesce a sottovalutare lo stile delle sue piume
Dalla Siberia al Sudafrica, dal Portogallo all’India, in particolari ambienti paludosi è consuetudine che s’oda in certi periodi dell’anno un richiamo ripetuto e sottile. Questo è il verso, nella misura in cui può essere sentito e interpretato dall’uomo, del pugnace Calidris, l’uccello conosciuto fin dai tempi antichi come il portatore di un’augusta novella. Poiché non c’è mai pace, per chi ha il segno di un’implicita prerogativa: primeggiare tra le moltitudini di centinaia o migliaia di compagni pennuti. Senza mai dimenticare il senso ed il significato della parola “stile”. Così fuoriuscito da un dipinto ad olio di epoca Barocca, questo volatore figlio degli aspetti più creativi della natura è solito mettere innanzi il biglietto da visita dei suoi maschi alfa: augusti ed eleganti dominatori del territorio, nei periodi al culmine del circuito migratorio, quando il nido è stato completato e la corona morbida si agita nel vento. Una cresta particolarmente scenografica che fa da contrappunto a ciò che dona il nome comune del volatile in lingua inglese: ruff o “gorgiera”, l’iconico accessorio pieghettato di moda del XVI e XVII secolo, capace d’incorniciare un viso come sul vassoio di un’invitante portata conviviale. Il che è in un certo senso ironico, vista la caccia sregolata che si è fatta per parecchi anni a scopo gastronomico di simili esponenti dell’ordine dei caradriformi, imparentati alla lontana (strano a dirsi) coi gabbiani delle nostre spiagge maggiormente affollate. Questo perché il ruff, noto in Italia come il combattente, è fondamentalmente una variante del concetto di beccaccia adattatasi nel tempo a ricercare il cibo nel bagnasciuga. Il che ne fa un tipo di uccello, ed un sapore, facilmente integrabile nel menu di un pranzo a base di cacciagione. Non che il suo stile di vita di uccello a forma di lampada di 29-30 cm al massimo, incline a mettersi in gioco e confrontare le reciproche opportunità di fare colpo su una femmina (chiamata gergalmente ree, forse dalla parola reeve – festaiola) tra le ampie schiere dei maschi adulti, lasci un grande spazio al nichilismo e la percezione dell’ineluttabilità del fato. Ove ogni lasciata è persa e la programmazione dei comportamenti, che in natura e nello studio dei suoi abitanti prende il nome di evoluzione etologica, lascia spazi significativi all’opportunità di mettersi in mostra e ad ogni occasione, spintonarsi e beccarsi tra consimili al fine di ottenere il meglio per i suoi preziosi geni. Una finalità effettivamente perseguita, nel caso specifico, in maniera differente da qualsiasi altro volatile di questa Terra, giacché è possibile affermare che nell’organizzazione dei suoi lek (tenzoni collettive) il C. pugnax si dimostri guidato dall’intento di far colpo in primo luogo sugli altri membri del sesso di Marte, piuttosto che sulle pacate, più piccole e comparabilmente anonime controparti. Pronte a concedere il pegno del proprio amore (fisico o spirituale che sia) soltanto al presentarsi imprescindibile di una serie di condizioni. Che guidano e determinano l’aspetto dell’instancabile conflitto…