Un iceberg smarrito nell’entroterra dell’Anatolia

Il colore è un fondamentale elemento di qualsiasi descrizione. Provate a visualizzare una montagna grigia come la pietra, scarna e ormai priva di vita. Ed ora, di contrasto, ricopritela di verde con l’occhio della mente: alberi, cespugli, bassa vegetazione. Non è magnifica, questa rinascita della natura? Ora allontanatevi e copritela con un dito. E se vi dicessi che adesso, all’improvviso, la montagna è diventata del tutto bianca? Nient’altro che neve, questo è lo stato dei fatti. Ghiaccio, il morso del gelo che avanza. Candida come l’orso polare della pubblicità della Coca-Cola! Occorre, tuttavia, dare ascolto alle ragioni di contesto. Perché non è possibile che l’inverno ci porti a questo nel momento in cui ci si trova a soli 160 metri dal livello del mare, nell’Egeo interno della Turchia, presso una zona dal clima per lo più arido e le temperature che nel corso dell’anno oscillano normalmente tra i 20 ed i 30 gradi. Eppure, le candide cascate e i terrazzamenti di Pamukkale esistono, fin da tempo immemore, costituendo un’importante attrattiva della regione. Tanto che proprio qui, dall’epoca del terzo secolo a.C, le popolazioni della Frigia avevano costruito un tempio al Dio del Sole, attorno al quale, gradualmente, sorse una città. Dove tutti coloro che avessero voglia e risorse per viaggiare, accorrevano col proprio bagaglio di malanni e piccole afflizioni, poiché si diceva che l’acqua di questo luogo potesse curare qualsiasi condizione spiacevole dell’esistenza umana. Già, acqua. Che sgorga dal suolo a temperature tra i 50 ed i 100 gradi, dalla sommità della formazione biancastra lunga due chilometri e mezzo, per ricadere gradualmente verso un piccolo lago antistante all’odierna Ierapoli, per lo più un agglomerato di resort e hotel. Una fonte termale, dunque, che scorre sul bianco. Che non è neve (l’avrete capito) bensì, travertino. Proprio così: la pietra di Roma, sopra ogni altra, la pietra porosa ma dotata di buone caratteristiche strutturali, che nel corso dei secoli fu impiegato per costruire innumerevoli edifici, acquedotti, anfiteatri… E che trovò l’impiego storico, in questa particolare regione, per scopi similari. Dopo tutto, sin dall’epoca di Sparta ed Atene, tutto ciò che separava questo luogo dall’Occidente era un piccolo braccio del Mar Egeo. Facilmente navigabile, e per questo, veicolo di tratti culturali e metodi architettonici che sfruttino le risorse a disposizione.
Mentre oggi, nessuno mai toccherebbe la sacra pietra di Pamukkale. Il cui nome contiene letteralmente le parole castello (kale) di cotone (pamuk) nella ricerca di un’ulteriore metafora, forse non tanto affascinante ed estrema quanto quella glaciale, ma non per questo meno corretta. Un’elemento paesaggistico nominato patrimonio dell’UNESCO nel 1988, assieme alla città che sorse attorno all’antico tempio. Da dove passarono, attraverso i secoli, le più svariate civiltà: dapprima gli Attalidi, sotto la guida dei re di Pergamo, che qui fecero costruire un completo complesso termale dove riunirsi con gli altri nobili per trascorrervi periodi di recupero del proprio stato di grazia mentale. Quindi i Romani, tramite un’alleanza con il dinasta Eumene II nel 190 a.C, che l’aveva conquistata a seguito di una guerra in Siria.  In quest’epoca, il centro diventò famoso per l’abilità dei suoi medici, che venivano visitati da ogni angolo del territorio mediterraneo, e si dice facessero largo uso dell’acqua “magica” ed i fanghi termali delle fonti miracolose della città. Per un lungo periodo, dunque, la città fu parte delle provincie asiatiche dell’Impero, dopo essere stata colpita due volte, nel 17 e nel 60 d.C, da gravi terremoti. Ma neppure la distruzione degli antichi edifici sacri poté privare un simile luogo del suo ruolo di centro filosofico e polo mistico di guarigione. Tanto che nel 129, si verificò una visita dell’imperatore Tiberio in persona, in occasione della quale fu fatto costruire un teatro sul modello occidentale, con alti gradoni in purissimo travertino locale. A partire da quell’epoca, quindi, Ierapoli fu nominata necropoli, per i suoi legami al culto chtonio del dio Plutone, e i potenti fecero letteralmente a gara per essere sepolti qui. Nell’epoca della frammentazione e le invasioni barbariche dunque, inevitabilmente, il centro termale ricadde nella sfera d’influenza della capitale d’Oriente, Bisanzio. Prima di trasformarsi, nell’alto Medioevo, in un’importante centro religioso legato al martirio dell’apostolo Filippo, che qui era stato crocefisso nel primo secolo, e le cui figlie erano diventate profetesse famose nella regione. Strati di vestigia che tutt’ora appaiono, l’uno di fronte all’altro, tra le candide rocce dei terrazzamenti dell’alto castello. Qui un luogo di culto, lì una tomba, semi-sepolta dalla pietra calcarea che nei millenni si è trasformata in travertino. Un prestigioso museo archeologico, costruito a ridosso dell’area termale, costituisce un’attrazione importante per le centinaia di migliaia di turisti che visitano quest’area dell’odierna Turchia ogni anno. Ma il punto ed il nesso principale di tali pellegrinaggi, oggi come allora, resta lo stesso: provare gli effetti delle abluzioni nell’acqua plutonica, che il sapere del popolo aveva continuato a definire benefica oltre qualsivoglia descrizione, ancor prima che la scienza medica moderna ne confermasse l’effettiva utilità.

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Lo strano fascino dei toponimi spropositati

La strada di ciottoli verdi sembrava perdersi all’orizzonte, mostrando la vera distanza percorsa fino ad allora “Sei giunta assai lontano dal Galles, mia piccola Órfhlaith” disse lo spaventapasseri, mentre i due uscivano dall’alto palazzo del druido di Ohz. “Come pensi di tornare a casa?” L’uomo di latta camminava pensierosamente poco dietro al duo, finalmente cosciente dei sentimenti umani, mentre Bearnard l’orso, ansioso di mettere alla prova il ritrovato coraggio, si era già avviato per la sua strada, alla ricerca di un campo di battaglia al di la della grande Barriera. “Compagno di tante avventure, non devi preoccuparti. Sappi che la Morgen dell’Est, nel momento in cui è crollata sotto il peso del Dolmen della Collina Solitaria, grazie all’aiuto vostro e degli altri eroi, ha dimenticato di far seppellire anche i suoi piedi, ai quali si trovavano i mitici stivali di Víðarr. Ora indovina cosa nascondo nella mia sacca da viaggio?” Con un gran sferragliare, il loro amico si fermo di scatto, chiedendo d’istinto: “Un altro sacchetto d’uva spina?” Spaventapasseri si portò la mano sul volto, meditando sul fatto che dopo tutto, forse, non sarebbe stato l’unico ad aver avuto bisogno di un nuovo cervello. “Oh, oh, oh, mio guardiano dalla corazza istoriata. Sei sempre il solito. Ecco, amici, osservate!” Le calzature leggendarie rubate al popolo dei pirati di Mare, di un pacchiano color arancione, che si diceva potessero condurre gli eroi nel Valhalla. “…O dovunque essi vogliano, come mi è stato spiegato dal druido in persona. Per tornare al punto di partenza, dunque, non dovrò far altro che battere per tre volte gli speroni, mentre pronuncio, prima che l’eco si perda nel vento, il nome di casa mia.” Così detto, senza perdersi in chiacchiere inutili ed ulteriori, la principessa iniziò il rituale. Le nubi parvero convergere sulla loro posizione. Un corvo distante, gracchiando d’aspettativa, si alzò in volo per osservare. Órfhlaith fece una piroetta e diede il primo dei tre colpi THUMP: Llan-vire-pooll-guin… THUMP: …gill-go-ger-u-queern… THUMP …drob-ooll-llandus… Una pausa per riprendere fiato… ilio-gogo-goch… “Gogogoch?” Fecero eco i due testimoni, con gli occhi spalancati per lo stupore. Passarono uno, due, tre secondi. “Ha detto prima che l’eco…. Beh, credo che abbiamo un problema” Fece allora spaventapasseri, sforzandosi di soffocare una sghemba risata.
Se questa è una fiaba lievemente adattata alle circostanze, tuttavia, non significa che in essa manchi una significativa componente di verità. Per scoprire quale essa sia, basterà percorrere il vostro ponte preferito tra due, ovvero quello sospeso sopra lo stretto di Menai o il più moderno Britannia Bridge, per lasciare la terra dei Draghi gallesi sull’isola principale della Gran Bretagna, e transitare attraverso le nebbie della fredda isola di Anglesey. Scorgendo, chiaramente infisso nel terreno ai margini del sentiero asfaltato, quello che potrebbe essere uno dei più grandi cartelli stradali d’Europa. “Benvenuti presso la municipalità di “Llanvirepoollguin…” E via dicendo, per l’estensione di ben 58 lettere dell’alfabeto latino (benché considerata la lingua locale, esse vadano ridotte a “soli” 51 fonemi) Una roba da nulla, una vera quisquiglia da pronunciare *a patto di esservi nati o averci passato una parte significativa della propria gioventù, come l’attrice di Hollwood, Naomi Watts. Un luogo diventato particolarmente famoso quando, a settembre del 2015, il meteorologo della CNN Liam Dutton ebbe l’iniziativa, e la capacità, di pronunciarlo senza il benché minimo errore in diretta tv: Llanfair­pwllgwyngyll­gogery­chwyrn­drobwll­llan­tysilio­gogo­goch, in tutto il suo strabiliante splendore, in grado di coprire da un estremo all’altro l’intera cartina proiettata alle sue spalle, tra lo stupore ed il reverenziale silenzio di ogni singola persona presente in studio. Ed a quel punto, era fatta. Tutti volevano saperne di più….
La realtà in merito all’insolita questione, in effetti, è che non siamo di fronte ad un nome particolarmente antico di qualche misteriosa lingua di tipo agglutinante, alla maniera in cui succede talvolta per i toponimi nord-americani risalenti all’epoca delle Nazioni Native (i quali, tra l’altro, non arrivano a una simile estrema profusione) bensì a una semplice trovata pubblicitaria, risalente alla metà del XIX secolo, quando la popolazione locale, su iniziativa di un sindaco che possiamo presumere particolarmente intraprendente, accettò l’insolita novità pur di comparire sulle mappe ed attrarre qualche turista di passaggio, aiutando l’economia. Prima di allora, in effetti, le cronache non sembrano riportare alcuno specifico nome per la comunità, fatta appartenere convenzionalmente all’antico feudo del marchese di Anglesey. Finché nell’ultima manciata di generazioni, forse anche in funzione della ritrovata celebrità, la popolazione non è aumentata in maniera esponenziale, raggiungendo la cifra attuale di di circa 3.000 persone. Tra le quali una percentuale di oltre il 70%, fatto particolarmente significativo, si dichiara ancora una parlante corrente della desueta lingua gaelica, che gli esperti ritengono prossima alla scomparsa dall’utilizzo attivo. E voi credete forse, che tutto questo sia un caso?

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