L’uccello disallineato che avvita le pigne sul tetto delle foreste boreali

Così come non sarebbe logico assegnare un merito ai pini ed abeti per la produzione dei propri strobili coperti di scaglie, la ragione non è necessariamente affine a chi incolpa gli scoiattoli della propria condotta. Piccoli e vivaci mammiferi, maestri arrampicatori, che raggiungendo le propaggini esterne dei rami afferrano tali doni della natura. E masticando selvaggiamente ne strappano brandelli, ne fanno laceri torsoli e ad un certo punto li gettano rovinosamente a terra. Più che ogni altra cosa questa è la legge, o se vogliamo un danza, incisa a lettere di fuoco nell’albo storico dell’evoluzione. Ove ogni cosa succede per una ragione e qualora ciò non possa verificarsi per un tempo abbastanza, lungo causa ed effetto scaturiscono rinnovati, imparando nei secoli a reiterare la propria progressione inerente. Prendi il caso per fare un esempio, di una foresta di sempreverde per così dire “asciuridi”, maniera in cui il gergo scientifico si riferisce a quei luoghi scevri di roditori, per uno vantaggio ecologico frutto di esoteriche coincidenze. Eppure in quegli alti recessi, apparentemente in regola, un ipotetico osservatore potrebbe notare che non tutte le pigne appaiono identiche. E non tutte contengono la stessa quantità di pinoli! Come se qualcuno avesse introdotto uno strumento apposito nelle intercapedini pertinenti. Compiendo il gesto parzialmente rotativo, di un pratico quanto funzionale avvitamento, che parrebbe idealmente appartenere ad un intelligente primate con tanto di pollici opposti alle rimanenti dita. Per coloro che non conoscono, grazie ad eventuali esperienze pregresse, l’opera altamente specializzata del crociere (gen. Loxia), passeriforme appartenente alla famiglia dei Fringillidi, non più lungo di 20 cm ma che può avere un effetto decisamente imponente sui mutamenti effettivi di una persistente situazione boschiva. Questo grazie ad un tratto somatico del tutto unico: il disallineamento, piuttosto pronunciato, della propria mascella e mandibola, ovvero le due parti sovrapposte del becco di cui possiedono l’utilizzo esclusivo. Il che tende a donargli un aspetto al tempo stesso insolito e vagamente inquietante, poiché sembra la conseguenza di una diffusa tipologia di deformità collettiva. Finché non si nota l’efficacia notevole del suo utilizzo elettivo, mentre supera agevolmente il principale ostacolo sulla via del quotidiano approvvigionamento per ciascun rappresentante di categoria, i loro familiari, la stessa prole che attende pazientemente nel nido…

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La strana colla della rana palla che aderisce alla sua partner per creare i girini

Incontrata una sera per strada casualmente, mentre si aggirava senza un obiettivo preciso: la lunga casacca verde, i capelli biondi legati in una crocchia elegante. “Natura, che ci fai da queste parti? Natura, sei ubriaca?” Domande lecite da porre a un’entità la quale, per quanto possa possedere un aspetto antropomorfo, tende a risolvere i problemi lavorando all’inverso. Consideriamo per esempio il tipico contegno di un anuro… Così. Rappresentante tipico del genere Breviceps o “dalla testa corta”, benché per il popolo di Internet sembri preferibile chiamarlo rana palla o piccola polpetta o ancora, in determinati ambiti dall’elevato grado di confidenza, la patata magica del sottosuolo sudafricano. Un vero classico di questi lidi digitali, in effetti, per video memetici e brevi sequenze ad effetto, generalmente culminanti con l’emissione da parte della protagonista del suo tipico verso squillante di protezione e definizione del territorio, non troppo dissimile dal suono di un giocattolo a trombetta per cani o gatti. Ragion per cui non si può fare a meno di restar colpiti quando ci si rende conto di come, per anni ed anni ed anni, alla maggioranza non sembri essere venuta in mente la questione fondamentale: poiché gli anfibi di questo ordine mangiatori di formiche, scarabei e termiti nella stragrande maggioranza dei casi, al fine di accoppiarsi necessitano di rimanere attaccati. Per un periodo di ore o giorni, addirittura! Il che sarebbe già sufficientemente arduo per il maschio di una creatura dalle zampe anteriori tanto gracili e corte, senza neppure prendere in considerazione la rilevante problematica di un pronunciato dimorfismo sessuale. Tale da rendere la potenziale partner dalle proporzioni simili a un boccia per giocare a raffa, laddove lui è più prossimo a una palla da biliardo. 50-60 cm vs 30, dunque ed il bisogno, in qualche modo, di aggrapparsi. Oppure no, d’altronde, grazie allo scaltro metodo risolutivo figlio del processo noto come pressione evolutiva. Giacché per secoli ed eoni, sotto la supervisione della nostra amica/demiurgo in abito da sera, le rane a palla della pioggia sono giunte a implementare una solida metodologia alternativa. Consistente nel restare appiccicate, come per l’effetto di una colla, grazie al muco che producono in apposite zone della propria epidermide mimetizzate. Il tipo di fluido utile in questa categoria di esseri, generalmente, con finalità di acquisizione di un sapore fetido e conseguente repulsione dei predatori. Il che resta un importante fattore, nel caso specifico, dell’equazione. Ma di sicuro non costituisce il suo risultato finale…

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L’antilocapra che costituisce l’animale più riconoscibile delle foreste giapponesi

Terra dalla storia non del tutto lineare, capace di raggiungere una sostanziale unificazione soltanto verso gli albori della nostra epoca Moderna, il Giappone ha sempre posto su di un piedistallo il fondamentale concetto di Wa  (和) armonia. Pace ed uniformità all’interno di un gruppo sociale, non importa quanto vasto, ma anche la corrispondenza univoca tra i reciproci fattori culturali eminenti. Antico e moderno. Razionale ed onirico. Progresso e natura. In modo largamente parallelo ma talvolta, nel caso di appropriati allineamenti, tutto assieme ed allo stesso tempo così come potrebbe giungere a testimoniare il Capricornis crispus o kamoshika, animale con gli zoccoli fessi, ghiandole odorifere sul muso e due piccole corna rivolte all’indietro, dall’aspetto falsamente inoffensivo così come il tipico sguardo che rivolge agli escursionisti nel suo territorio elettivo. Creatura solitaria, riservata, questo serow (dal nome assegnato agli appartenenti tassonomici allo stesso genere nel resto dell’Asia) trascorre infatti buona parte delle sue giornate a sorvegliare il paesaggio da un luogo elevato, pronto a palesarsi, dall’improvviso, tra le fronde soffiando e sbuffando un peana minaccioso all’indirizzo di coloro che minacciano la propria posizione di predominio. Capacità derivante in buona parte dal possesso altamente distintivo di un pié leggero e l’eccezionale agilità che ne caratterizza gli spostamenti, al punto da essere fantasiosamente associato alla figura semi-storica del ninja o shinobi, leggendario agente delle ombre in grado di mimetizzarsi e agire in base agli ordini del suo signore. Personaggio amato e al tempo stesso emarginato dal mondo civile e tutto ciò che questo simboleggia, un destino che allo stesso modo sembrerebbe aver condizionato gli ultimi 3 o 4 secoli di vita per il nostro amico caprino. L’animale era noto già storicamente per la sua carne e la pelle pregevole, come menzionato già nel Nihon Shoki (Cronache del Giappone) dell’VIII secolo, in merito ai doni diplomatici inviati dall’Imperatore di Yamato ai suoi magistrati di maggiore importanza. Per poi comparire di nuovo, possibilmente, nella raccolta di poesie waka dell’epoca immediatamente successiva del Man’yōshū (le Diecimila Foglie) ove si narra di un gruppo di shishi (capre) che si aggiravano nella foresta. Ma i suoi problemi maggiormente seri sarebbero iniziati successivamente, quando durante l’epoca Edo per i concetti importati della medicina tradizionale cinese si cominciò a credere che estratti ricavati dai suoi organi potessero curare diverse afflizioni dell’organismo umano. Favorendo una caccia ad ampio spettro, ulteriormente incrementata con il beneplacito degli agricoltori ed in modo particolare gli amministratori di terreni custoditi con finalità di produzione del legname, ove la loro abitudine di consumare teneri virgulti tendeva a causare l’impossibilità di pianificare adeguatamente un raccolto. Almeno fino all’introduzione nel 1934 di una legge per la protezione delle Proprietà Culturali e la nomina a importante simbolo nazionale, benché all’epoca gli esemplari rimasti fossero soltanto qualche centinaio distribuiti tra le isole di Honshu, Kyushu e Shikoku. Ma la fortuna di queste creature, in quel momento, stava per subire una brusca risalita…

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Setole di fuoco e sofferenza: l’anticipo del caldo ha richiamato il vermocane

“Gli scarafaggi sopravviveranno!” Per quanto possa essere correntemente udita, e ripetuta come un certo tipo di proverbio dell’Era contemporanea, non è chiaro se si riesca a interpretare tale frase fino alle sue ultime e più problematiche conseguenze. Poiché non occorre nessun tipo di guerra nucleare, o apocalittica catastrofe meteorologica, affinché l’uomo si ritrovi a pagare pegno come conseguenza delle proprie azioni. Il che significa una Terra dolorosamente avvelenata dall’inquinamento; ma anche, e soprattutto, la carente biodiversità dei giorni a venire. Pochi animali, dove un tempo ce n’erano molti, e ciascuno l’ultimo depositario di una linea evolutiva. che potremmo definire in essi declinata fino al punto più elevato dei concetti di adattabilità e resistenza. Chiavi di lettura in base a cui gli esponenti dell’ordine dei blattoidei stanno agli insetti, come i policheti agli anellidi marini, o per usare una qualifica più ad ampio spettro, gli spazzini serpeggianti e banchettanti dei mari. Definizione particolarmente calzante per quella che Aristotele chiamava “scolopendra dei mari” prima che l’introduzione del sistema binomiale scientifico portasse all’inaugurazione dell’appellativo Hermodice carunculata, benché tra gli ambienti dei pescatori o chiunque altro abbia regolarmente a che vedere con queste creature, gli venga normalmente anteposto qualcosa sulla falsariga di: “Quel dannato verme, figlio di un cane!”, “Baubau, non di nuovo!” oppure. in modo ancor più diretto: “Ahia, per il mastino del dio Nettuno!” Quest’ultimo perché il nostro oblungo amico misurante in genere fino ai 30 cm benché esemplari eccezionali di fino a 50 siano stati menzionati dalla letteratura, vanta come caratteristica dominante una fitta quantità di setole lungo l’intero estendersi dei suoi 60/150 segmenti corazzati, dall’aspetto morbido ma che in realtà nascondono vibrisse aguzze ed uncinate, capaci di restare infisse nella superficie epidermica di chiunque sia abbastanza sfortunato da entrare in contatto con loro. Procedendo quindi ad iniettare mentre agita esultante le sue innumerevoli coppie di parapodi (zampette) in base al preciso progetto dell’evoluzione, una tossina neurologica capace d’indurre irritazione, bruciore, mancanza di sensibilità. Per un tempo anche di giorni, o settimane, nella maniera ampiamente documentata grazie ai pescatori che ne trovano ogni anno multipli esemplari nelle rete, insinuatosi all’interno di esse al fine di scarnificare vivi i pesci prima che possano essere tirate nuovamente a bordo. Una casistica che in anni pregressi si verificava una, forse due volte a stagione, ma che ora sta diventando progressivamente più comune ed in modo particolare in questo anno 2024, che ha già infranto tutti i record di calore medio a partire dallo scorso gennaio. Per il quale inizia profilarsi un’estate che sarà infernale, da più di un punto di vista verso cui sia possibile fare riferimento…

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