Lo strategico sgabello del geniale costruttore di giocattoli cinese

Al suo battito di mani, l’attendente da campo si avvicinò alla cima del promontorio, dove si trovava il punto di comando del suo signore. L’uomo dal lungo mantello, l’elmo ornato con figure di draghi, sedeva pensierosamente sopra uno sgabello con lo sguardo rivolto ad Oriente, nell’attesa di qualcosa o qualcuno d’importante. All’improvviso, come per un qualche tipo di segnale che soltanto lui poteva udire, l’uomo si sollevò appoggiandosi stoicamente alla sua ingombrante compagna di tante avventure, un’alabarda riccamente ornata e dalla lama a forma di mezzaluna. Prima ancora che avesse completato un così scenografico gesto, l’attendente si era già impegnato nell’assolvere al suo ruolo: sollevato e preso tra le mani il sacro seggio del suo signore, aveva lasciato che le gambe dell’oggetto si piegassero al di sotto del corpo centrale. E con l’approssimazione ante-litteram di un vero e proprio gioco di prestigio, l’aveva trasferito sottobraccio, nella forma ormai gestibile di un singolo e compatto blocco di legno.
All’apice del periodo storico cinese delle Primavere ed Autunni, cronologicamente non così distante dall’egemonia delle potenti poleis dell’antica Grecia, non c’era un singolo regno che potesse affermare di essere più grande, ed influente di quello di Chu. Per questo ovunque andasse il suo supremo comandante militare il principe Zichang, ci si aspettava che riuscisse a incutere timore o per lo meno un certo grado di soggezione. Ciononostante verso il procedere del VI secolo a.C, a seguito di una cocente serie di sconfitte riportate a causa delle sconcertanti strategie di Helu, il re di Wu, tutto quello che il suo esercito aveva potuto fare era stato arretrare per ben cinque volte, sconfitto in ogni battaglia nonostante circostanze di assoluta superiorità numerica, per la straordinaria perizia organizzativa dei suoi nemici. A partire da quel giorno, egli sapeva, le cose avrebbero tuttavia preso una piega differente. Una nuova alleanza doveva prendere forma tra le tende di questo stesso accampamento. “Sono qui per rappresentare Zheng, sovrano del potente regno di Qin.” Affermò l’anziana figura del diplomatico giunto a cavallo, accarezzandosi la lunga barba mentre si rialzava, dopo essersi brevemente inchinato fino a terra di fronte al comandante straniero. “Che pur non riconoscendo l’autorità territoriale del regno di Chu, poiché può esistere un singolo Impero sotto il Cielo, ha scelto di portare alla Vostra Signoria l’offerta di un’alleanza temporanea contro il pericolo più grande.” Zichang, pur avendo intuito già lo scopo dell’incontro, non poté fare a meno di gettare uno sguardo calcolatore al suo indirizzo, mentre iniziava a immaginare nella sua fervida mente le possibili implicazioni e condizioni di una tale offerta. Con un cenno, chiamò a quel punto il suo attendente. Che in un singolo e rumoroso secondo (KA-CLACK) aveva già disposto in posizione il complicato sgabello. Le cose, quel giorno, sarebbero andate per le lunghe. E chi aveva sangue regale, di norma, non tendeva a restare in piedi per periodi eccessivamente lunghi.
Forse per analogia con la vicenda intellettuale di Confucio, padre d’innumerevoli concetti filosofici, sistemi civili e schemi di valori, la Cina dell’epoca arcaica tendeva ad associare particolari branche dello scibile a specifiche figure effettivamente vissute, la cui vita subiva in seguito un processo di deificazione, fino all’accesso entro il ricco e variegato sistema di un sistema religioso per sua natura estremamente flessibile ed aperto. Tali personaggi, tuttavia, prima di accedere al sancta-sanctorum dei templi e le pagode del paese, diventavano oggetto degli scambi diplomatici ed accordi tra le diverse nazioni, oppure sceglievano di viaggiare liberamente tra l’una e l’altra, lasciando il loro segno indelebile nel corso delle alterne dinastie trascorse. Vi sono perciò varie interpretazioni, in merito al patrono e iniziatore della carpenteria vissuto con il nome di Gongshu Ban, che oggi tutti conoscono col nome soltanto successivo di Lu Ban, inventore tra le altre cose della sega, del trapano, del righello, dell’argano, del mulino, dell’ombrello, del bullone e di una sorta di misterioso aeromobile noto come “rondine di legno”, a quanto pare capace di mantenere in aria un essere un umano per ben tre giorni. Una mera considerazione filologica è del resto sufficiente per collocare nel contesto della sua carriera l’ingegnoso e complicatissimo manufatto destinato a passare alla storia come sgabello di Luban. Che ancora oggi, può costituire l’esame necessario ad essere inseriti nella lista dei suoi potenziali eredi…

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A proposito del bruco super-velenoso che trasporta sulla schiena una barriera di peptidi

Striscia, striscia, non cammina ma striscia. Circondato di aggressivi aculei, che nessuno avrebbe mai la voglia di toccare. Anche se il pericolo che lui contiene, nella subdola realtà dei fatti, trova posto più che altro dentro l’ornamento simile alla piuma di un cimiero, che si trova replicato nella parte frontale, e sul retro dell’animale. I cui peli aguzzi appaiono ritratti dentro l’approssimazione artropode di un anemone di mare, fino all’attimo in cui potrebbe rendersi opportuno agire, onde prevenire l’irreversibile trasferta all’altro lato dell’Esistenza! Già, corposo limacodide, rappresentante della prolifica specie della Doratifera vulnerans (letteralmente dal latino: Portatrice di Dolore…) Nello schema generale dell’ecologia terrestre non v’è controindicazione maggiormente problematica, che abbigliar se stessi come un dolce di mandorle o Viennetta particolarmente appetitosa, in un incarto variopinto dai colori variegati ed intensi. Quando si rappresenta, nel profondo del proprio stesso essere, l’approssimazione di quel particolare tipo di spuntino per la soggettiva percezione di una grande varietà d’uccelli, mammiferi o varie tipologie di vespa parassita. A meno, s’intende, di poter riuscire ad ignorare qualsivoglia tipo di mimetismo, non soltanto con l’intento di riuscire a spaventar l’alato nemico. Ma mettere i fatti, come si dice, nella stessa coppa delle parole, grazie all’urticante, dolorante, potenzialmente letale effetto riservato a chiunque sia abbastanza imprudente, o folle, da tentare la fortuna gastronomica ingoiando l’infernale pasticcino. Andando incontro a una potenza del veleno senza dubbio notevole, ed al tempo stesso tutt’altro che inaudita, persino per simili larve non più lunghe di 2 o 2,5 cm l’una, suddivise in 13 specie molte delle quali originarie, neanche a dirlo, del continente meridionale d’Oceania. In un’ideale insieme di cui fanno parte tutti quei particolari lepidotteri, che durante il corso della loro evoluzione pregressa hanno imparato a caratterizzare la propria gioventù larvale con l’impiego passivo di un particolare cocktail tossico facente parte della stessa biologia inerente. Tale da risultare particolarmente sgradevoli, per non dire sconvenienti, persino al tocco di creature considerevolmente più imponenti, come un essere umano. Ragion per cui simili bruchi, ampiamente descritti attentamente identificati a beneficio dei bambini in tutte le più coscienziose scuole australiane e neozelandesi, sono stati chiamati attraverso gli anni anche Navi da Guerra, per l’armamento di cui la natura ha scelto di dotarli, nonché la forma pretenziosa e vagamente simile a quella di un galeone dell’epoca delle grandi esplorazioni. Mentre quello che nessuno aveva sospettato, almeno fino ad uno studio pubblicato lo scorso maggio sulla rivista di scienze naturali statunitense PNAS (guadagnandosi persino la copertina) da parte di Andrew A. Walker e colleghi dell’Istituto di Bioscenza Molecolare dell’Università del Queensland era come l’effettiva composizione e natura di un simile approccio chimico all’autodifesa costituisse, nella realtà dei fatti, la punta di un iceberg capace di rivaleggiare i più avanzati laboratori per la guerra batteriologica mantenuti segretamente in funzione dalle maggiori superpotenze globali.
Il tutto a partire da un obiettivo piuttosto semplice: scoprire quale fosse l’origine del notevole dolore causato al contatto con il bruco, ben presto identificato in un componente del tutto simile a quello presente nel veleno di molti ragni, una knottina a base di disulfide. Facente parte, nello specifico, del vasto gruppo dei peptidi, una classe di componenti proteici caratterizzati da catene assai variabili d’aminoacidi, famosi per la loro capacità di dare ordini e influenzare significativamente il funzionamento del sistema nervoso. Ragione che giustifica il loro ampio utilizzo nel campo dei cosmetici, sebbene sotto aspetti certamente meno distruttivi di quello sviluppato dal bruco della Doratifera in questione. E soprattutto, non ancora circondato dalla stessa caotica quantità di sostanze simili, tali da costituire una letterale antologia di tutto ciò che esiste di mefitico, e malefico, all’interno del sensibile Universo….

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La maledizione del mammut nel misterioso triangolo lacustre nordamericano

“Ciò che è iscritto nella pietra, in essa resta intrappolato. Lo spirito dell’animale non potrà tornare a vendicarsi.” Questo disse il capo della battuta di caccia, mentre impugnando lo scalpello con punta intercambiabile di selce, guardò con occhio critico la sua creazione, quindi nuovamente l’ingombrante carcassa, che già i cacciatori stavano suddividendo in pezzi maggiormente trasportabili, verso l’affamato accampamento di Gerenesee. Davvero inaspettato, che si debba essere giunti a tanto. E certamente un pessimo comportamento, dinnanzi al totemico giudizio degli Dei anziani. “Pinga, grande cacciatrice; Sedna, signore dell’Oltretomba; Torngasoak del cielo ed Igaluk della Luna. Ascoltate la mia preghiera.” E qui, con una pausa di sicuro effetto, l’uomo infisse la sua lancia nella terra friabile della grande valle di Missaurakee. Loro ben sapevano, o così sperava, come le genti di Michigan non uccidessero di solito la Grande Proboscide del Settentrione. Ma più che altro l’agile animale dalle corna simili ad un ramo arboricolo, che un giorno ancora assai lontano l’uomo avrebbe scelto di chiamare caribù. “Poiché… La stagione è stata difficile.” Continuò “Il clima, infausto. Oggi doveva concludersi l’ultima grande corsa, prima del calare e del ghiaccio senza limiti diurni. E se fossimo tornati senza provviste, molti dei membri più giovani ed anziani della tribù vi avrebbero raggiunto nella vostra grande sapienza.” Apparentemente soddisfatto, il condottiero della battuta impugnò nuovamente la sua arma. Con un gesto semplice, la tirò fuori dal terreno per volgere lo sguardo ai suoi sottoposti. Ciascun cacciatore mostrava un grado differente di rammarico, sebbene tutti, tra coloro che non erano impegnati nello smembramento, mostrassero anche un’espressione ragionevolmente determinata. E fu allora che all’altro capo della valle, sembrò risuonare un barrito distante…
“C-capitano, cos’è stato questo suono?” Il giovane mozzo Adams si rivolse all’uomo che si trovava al timone, nel compatto trasporto di legname di ritorno verso la segheria di Hackey-Hume nel territorio di Muskegon. Animali senza nome in terre oltre la fitta nebbia, isole del tutto impossibili lungo quello specifico tratto di mare. Poiché tale non era in fin dei conti, bensì l’acqua familiare di un profondo e tanto spesso, gelido lago. “A dire il vero ragazzo mio, sembrava proprio un elefante.” Rispose l’unico ufficiale a bordo, se così si poteva chiamare, da sotto la folta barba bianca ed il cappello indicativo del suo ruolo. Era il 21 maggio del 1891, una data destinata a rimanere iscritta nella storia… Come l’inizio di una lunga e articolata serie di tragedie. Destinata a culminare, esattamente 59 anni dopo, nella scomparsa di un intero aereo passeggeri con più di 80 persone a bordo. In un particolare tratto di quel Grande Lago, capace di disegnare la forma riconoscibile di un triangolo, tra i vertici topografici di Manitowoc in Wisconsin, verso est a Ludington ed infine nella punta sud di Benton Harbor, entrambi entro i confini dello stato del Michigan. Tutto questo era naturalmente inimmaginabile per i sette marinai della Thomas Hume, che in quel giorno predestinato sarebbero stati inghiottiti dalle acque del lago senza lasciare nessun tipo di traccia, assieme al loro intero vascello. Per una motivazione, ed a causa di una serie d’eventi, che avrebbe lasciato molto a lungo perplessi anche i maggiori esperti sull’argomento.
E i misteri, si sa, tendono a generare mostri. Particolarmente nei frangenti in cui possono trovarsi associati a situazioni archeologiche tutt’altro che chiare, causa il ritrovamento di un qualcosa che nessuno, tra i viventi, può riuscire realmente ad associare a fatti precedentemente noti. Il fatto è che a seguire quel primo disastro marittimo, ce ne sarebbero stati molti altri: il lussuoso battello a vapore Lady Elgin, nel 1860, che finì per naufragare dopo l’urto contro un’imbarcazione più piccola costando la vita di 300 persone. La Rouse-Simmons, che trasportava alberi di Natale verso Chicago nel 1912, di nuovo scomparsa senza lasciare traccia e per cause del tutto incerte. La Carl D. Banks, che si spezzò a metà nel 1958. Tutti relitti destinati ad essere molti anni dopo ritrovati, diventando a loro modo tristemente famosi e portando all’istituzione informale di una sorta di macabro turismo con le bombole e gli occhiali da immersione, a sua volta conduttivo verso il prelievo diretto di una lunga e inappropriata serie di “souvenir”…

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La strana botola nella cabina di pilotaggio dell’Airbus A350

Ne parla brevemente una pubblicazione interna al programma Airbus, con il titolo encomiabile di Safety First: la Sicurezza prima di ogni Cosa. Della maniera in cui, svariate volte nel corso degli ultimi anni, si è verificato un tipo particolarmente disdicevole d’imprevisto. Quello delle brutte esperienze vissuta da svariate/i sfortunate/i assistente di volo, successivamente al semplice gesto di aver portato qualcosa da bere ai suoi piloti durante il lungo periodo di attesa antecedente al decollo, porgendo il suo vassoio all’interno degli angusti spazi della cabina di pilotaggio, o cockpit che dir si voglia. Un termine tecnico la cui etimologia può esser fatta risalire alla stazione del cockswain, l’addetto alle scattanti lance che nell’epoca dei grandi velieri avevano l’incarico di trasportare i membri dell’equipaggio fino a riva. Oppure, in alternativa e in modo ancor più letterale, il “pozzo” dei galli, dove tali uccelli combattevano per il pubblico ludibrio verso la fine del XVI secolo, in uno spazio dove successivamente si sarebbero riuniti i membri del concilio ristretto londinese, a capo del maggior impero coloniale di tutti i tempi. Soltanto che in quest’epoca moderna, assai probabilmente, nessuno avrebbe mai pensato di poter interpretare il termine in senso così letterale. Per cui un tale responsabile d’assistenza e vettovaglie, facendo un passo indietro, sarebbe stato destinato a trovare soltanto un profondo baratro al posto di un punto d’appoggio per il suo piede. Subendo, in conseguenza di una tale svista, varie tipologie e livelli d’infortunio. “Per ritrovarsi, in una percentuale rilevante dei casi, del tutto incapace di assolvere al suo dovere.” Prosegue quindi il documento, con un oggettivo pragmatismo in se stesso giustificato dai considerevoli investimenti che determinano il ritmo ed il respiro dei trasporti aerei. Per poi prodigarsi nella proposta, con tanto di foto illustrativa, di una sorta di segnale pieghevole incorporato nel quadrato della botola, da sollevare ogni volta (non è chiaro se si tratti di un processo automatico) in cui tale passaggio viene lasciato aperto da un tecnico, nel momento di frenetica attività durante il quale nessuno, in buona sostanza, può preoccuparsi di gridare “Attenti a dove mettete i piedi” per ciascuna singola persona che dovesse avvicinarsi al sancta-sanctorum dell’aereo. Non è perciò del tutto chiaro, quanto effettivamente tale orpello sia oggi parte inscindibile del repertorio di un moderno velivolo della maggiore compagnia aerospaziale europea. Benché possiamo almeno affermare di conoscere, grazie all’utile e qui presente video del pilota svedese Bjorn (alias: bjorntofly) l’effettivo scopo di un simile ostacolo potenziale alla viabilità interna dei membri dell’equipaggio. Una funzionalità niente meno che primaria…
“Seguitemi all’interno” afferma l’uomo, armato di telecamera ad alta definizione con obiettivo a 360 gradi “Mentre vado là sotto per la prima volta” Così sgancia il meccanismo di chiusura, apre la copertura in plastica corrugata e inizia a scendere, con la massima cautela, dentro le viscere del grande bimotore. Un ingegnere dell’Airbus costruisce l’ambiziosa metafora, in un altro video sull’argomento, secondo cui il cockpit altro non sarebbe che la punta di un iceberg, laddove l’opera continuativa nel tempo di un’intera schiera d’ingegneri e progettisti, attraverso anni di lavoro, costituisce il “corpo” sommerso di un così pesante oggetto in grado di solcare a una considerevole frazione della velocità del suono gli strati mediani dell’atmosfera terrestre. Corpo la cui effettiva natura, adesso, non può fare a meno di apparirci un po’ più chiara; mentre Bjorn, abbassando di qualche decibel il suo tono di voce (ma non troppi, altrimenti non riusciremmo a sentirlo) inizia a descrivere quanto si trova attorno a lui. Dapprima strisciando, mentre s’allontana dalla parte frontale dell’aereo, dove lo spazio di un tale “sotterraneo” risulta sensibilmente ristretto causa l’ingombrante presenza della ruota sterzante, per poi potersi finalmente porre in posizione verticale, iniziando ad inquadrare, uno per uno, gli strani macchinari che riempiono un così misterioso ambiente. Scatole nere simili a batterie (ed alcune di esse, sono in effetti delle batterie) su una fila di scaffali metallici, concettualmente non dissimili dalle comuni rastrelliere di una sala server o moderno datacenter di una grande impresa informatica. Ed in effetti, anche nella sostanza, del tutto paragonabili, vista la loro collocazione entro quello che viene comunemente definito il compartimento dell’avionica, o in lingua inglese avionics bay. Computer su computer, con un alto grado di ridondanza, incaricati rispettivamente di processare diversi aspetti dei dati continuamente raccolti dai sensori dell’aeromobile, piuttosto che elaborare il posizionamento satellitare a vantaggio degli strumenti di navigazione….

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