Millepiedi non bastano per arrivare prima

Millipede

Neanche l’artropode miriapode più grande al mondo può sottrarsi alle regole del codice della strada, specie qualora debba confrontarsi con delle dispotiche formiche legionarie. La scena si svolge nel parco nazionale di Bui, nel Ghana meridionale. Archispirostreptus gigasanche detto il millepiedi gigante africano, quella mattina si era svegliato con un proposito importante. Andare verso una specifica direzione, per un tempo indefinito, verso mete vagabonde. Difficilmente questo essere, che può raggiungere la ragguardevole lunghezza di 38 cm e i 7 anni di età, pensa profondamente a qualche cosa. Già le sue 256 zampe, di un numero equivalente ai colori grafici di un vetusto standard VGA, occupano la parte principale della preziosa materia cerebrale nascosta nel suo capo corazzato. Lentamente, tastando il suolo con le antenne, si volge verso sera. Una volta pronto, zampettando se ne va. Gira intorno ai tronchi degli alberi, in cerca del materiale putrescente di cui si abitualmente ama nutrirsi. Serpeggiando evita le pozze e i pochi torrenti delle regioni sub-sahariane, in cerca di un pascolo gradevolmente ombroso. Se incontra un predatore più grande di lui si chiude a spirale, lasciando scoperte unicamente le rigide placche dorsali, simili all’armatura a scaglie di un cavaliere medievale. Vive nella più totale serenità di un singolo momento, sapendo che in caso d’emergenza può anche secernere un fluido speciale, urticante per gli occhi e il muso degli eventuali mammiferi affamati. Tra l’altro non ha nemmeno un buon sapore. Tutti lo ignorano. E lui degli altri, non se ne cura. Finché, distrattamente, non giunge a contato con la sua perfetta antitesi: un formicaio, comunità brulicante fondata sul senso pratico e la determinazione. E li, beh, sarebbe servito l’aiuto di un semaforo.

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La potenza dell’aspirapolvere al neodimio

Neodimio

Atomi da tutte le parti. Che disastro! Rettifica e pulisci, trapana e scontorna, un’officina si riempie sempre, verso sera, dell’alternativa professionale alla comune polvere di casa: il truciolo selvaggio, mutevole nemico di chi plasma la materia. Molto dipende dal tipo di sostanza. Il falegname, colui che taglia in pezzi ceppi e fusti di origine biologica, si ritrova immediatamente circondato da una pungente segatura, così leggera da poter fluttuare nell’aria con cinica incostanza. Per non parlare, poi, delle schegge. Nell’ambito metallurgico il problema si configura in modo differente. Una volta spento il macchinario e tirato fuori il pezzo costruito, ci si deve subito occupare di un lungo tratto serpeggiante. I trucioli ferrosi, specie se conseguono da un taglio rapido e potente, non volano nell’aria, non si disperdono e restano caparbiamente tutti assieme, formando uno splendido elicoide, simile alla spirale del DNA. Lascialo intero e puoi tagliarti. Sminuzzalo e avrai frammenti da tutte le parti, da raccogliere pazientemente con la scopa. È una lotta senza vincitori. A meno che… Ci sono due modi per fare le cose. Uno è quello giusto, diligente, l’altro è fantasia e sregolatezza, il genio nato dall’intuizione di un singolo momento. E a quanto ci è dato di capire, almeno basandoci sul corpus documentaristico di YouTube, quest’ultimo approccio è particolarmente usato in un certo ambito culturale, largamente rappresentativo della Russia.
Qui nasce, forse niente affatto a caso, la ripresa video in oggetto di questo post, che potrebbe considerarsi un valido how-to, il consiglio spassionato per risolvere, una volta per tutte, la tremenda questione che ci affligge tutti quanti. Ovvero come acquisire l’assoluta autorità sugli scarti collaterali di un valido lavoro, senza faticarci delle ore.

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Un anfitrione per 100 colibrì

Colibri

Un singolo cucchiaino di zucchero bianco granulato ogni quattro bicchieri d’acqua. Da servire in grandi quantità, possibilmente. Si prende la dolce mistura, la si bolle per pastorizzarla, poi si lascia raffreddare e si aggiunge del colorante alimentare rosso, prima di versarla nell’apposito recipiente. Qualcuno usa una semplice caraffa, altri dispongono di contenitori più specializzati, costruiti per uno scopo ben preciso: appendere quanto si è realizzato a una grondaia, presso l’accogliente ombra di casa propria, in attesa che la natura faccia il suo corso. Semplicemente stupendo. Fatelo anche voi e verranno dozzine di mosche, vespe o formiche, più l’occasionale passero solitario. Potreste attirare persino un peloso pipistrello, se siete davvero fortunati. Poi riprovateci nel sud degli Stati Uniti ed avrete un risultato di tutt’altra caratura. Prima però, assicuratevi di aver messo in radio la Cavalcata delle Valchirie e di avvicinarvi bisbigliando “Adoro il profumo del nettare di prima mattina!” Perché sta per iniziare l’ultimo capitolo di una vera e propria guerra, accompagnata dal tintinnare di mille cinguettii. Il colibrì possiede la suprema specializzazione di un elicottero, riproposta a misura d’animale. Può volare all’indietro, ha il metabolismo iperveloce di un toporagno ma non lo svantaggio della sua breve vita, un becco pensato per succhiare e piume lucenti ricoperte di cellule prismatiche, in grado di riflettere la luce in un arcobaleno di colori armonici e gaudenti. È ferocemente territoriale e scaccia i suoi simili da ogni fonte di buon cibo, almeno che non ve ne sia una spettacolare, incalcolabile abbondanza. Per questo si mettono le mangiatoie, come fatto in questo campeggio vicino Creede, nel Colorado. Nel video, realizzato da Jason Garren, youtuber, e Aldertree, cameraman cum redditor, si osserva la rara contingenza di un paio d’uomini che si ritrovino circondati da un turbine di colibrì affamati. Tutti d’accordo, per una volta, nel perseguire un singolo obiettivo. Deliziosamente succulento.

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Cacciatori di un fiume magico del deserto

Rankinstudio

18 luglio 2013, parco nazionale del Bryce Canyon. Il lago Powell, bacino idrico artificiale, riflette placidamente i dardeggianti raggi di un sole che non conosce tregua. Il caldo é feroce, non si avvista una nube e i diversi aspetti del paesaggio, antropico e naturale al tempo stesso, coesistono tranquillamente, sotto il cielo terso di un pomeriggio d’estate. Regna la pace, ancora per qualche tempo… E non di piú. Perché 40 miglia piú a nord, 6 ore prima, si é verificato un grande rovescio di pioggia, improvviso quanto insolito per delle regioni tanto secche degli Stati Uniti. Sulle onde radio, in televisione e da un capo all’altro del web rimbalzano due terribili parole, temute da chiunque abbia mai sperimentato un particolare fenomeno: la flash flood. É questo il nome dell’inarrestabile ondata di detriti e fango che, come uno tsunami, percorre il terreno ben poco permeabile di un precedente letto fluviale, corre a valle e s’infrange caustico contro gli ostacoli, le persone, qualsiasi cosa. Per fortuna, stavolta il mostro serpeggiante non mieterá vittime designate: ben pochi animali sopportano l’arsura di questo luogo e ancor meno individui l’hanno eletto a loro dimora. Se un albero cade nella foresta….? Le aquile di mare osservano dall’alto, distaccate. Per gli uomini é piú complicato. La grande onda ci affascina, ma non andremmo mai a metterci sulla sua strada: spavalderia e curiositá non sempre vanno a braccetto! Per ottime ragioni evolutive. Considerando questo, é un bene che si possa contare su di lui, David Rankin, l’equivalente idro-terrigeno di un cacciatore di tornado. Qui l’osserviamo stupiti mentre, ancora una volta, si dedica alla registrazione diretta di una simile contingenza, cosí feroce e al tempo stesso tanto spettacolare; con lui la moglie e un collega, anche loro dediti alla rischiosa attivitá. L’attesa é spasmodica. Si approntano le telecamere, si verifica il piú probabile punto di passaggio del flusso torrentizio, pieni di ansiosa speranza e reverenziale entusiasmo. Si spera che il fiume miracoloso giunga puntuale, comparendo d’improvviso sul suolo di un arido arroyo abbandonato.

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