L’insetto cavaliere con la spina sulla testa

Umbonia

Cavalcando poco innanzi all’alba, guerrieri variopinti tagliavano la terra medievale. Con punta di lancia, alte insegne e zoccoli di ferro, per valli e sopra i monti, verso le rocche ed i castelli, sulle ali di un emblema e di un’idea. Oltre le forti cittadelle. Tagliando le muschiose strade, ormai dismesse, lasciate dagli antichi imperi. Ma il cavallo pesa, e ancor più se sovrastato da un soldato, da un barone, da un conte o dal sovrano, con tanto di vistosa sella, corona ingioiellata. E dagli ad agitare il pugno, agricoltori, servi della gleba, sui vostri poveri terreni, segnati dallo zoccolo e dallo stivale! Le vivande valgono, ma non quanto le conquiste “Tagliate per i campi, miei prodi!” Gridava sempre il generale: “La strada è ancora lunga, ma chiara per noi tutti! Deus lo Vult!” Nonché diretta verso l’obiettivo, però diciamolo: a discapito di altri. Il caso voleva, tuttavia, che ci fosse un barlume di speranza, ogni volta – Lo sterco di cavallo. Tanto saggia era quella bestia, quadrupede di augusta nobiltà, che galoppando sopra spighe o cavoli, ci lasciava il suo ricordo, caldo e fumigante, quel sommo signore dei concimi. E passata la stagione della guerra, da lì giungeva la tardiva primavera: per ogni escremento un grande fiore, vita e nutrimento degli insetti. Qualche volta pure il frutto, se si era fortunati, su cui marciare nuovamente.
Nel frattempo, sugli alberi, allora come adesso, l’umbonia, guerriero (minuscolo) del suo regno, ci osservava con stolida perplessità. Anche lui corazzato, defecatore strabiliante, fiero portatore d’araldiche improbabili, sicuramente senza senso. Questo insetto, dallo sgargiante quanto aguzzo copricapo, viene talvolta preso ad esempio dell’incredibile morfologia di certe creature, sviluppatesi per scopi vagamente misteriosi. Ma così devoti sono i libri di scienza a quelle arci-note prime donne del mondo degli insetti, i coleotteri, o alle farfalle vanitose, che spesso ci si dimentica di queste piccole membracidae, parassiti fuori dal comune, amici dei rettili e delle formiche. Parliamone per due minuti.

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Lo schermo tangibile che ti ricostruisce col Kinect

inFORM

Tocca e strofina, ingrandisci, riduci, scorri di lato e dopo passaci un panno, tanto per pulire. Se c’è una cosa che ormai facciamo sempre, è parlare con il nostro cellulare. Non intendo soltanto rivolgendosi a chi c’è dall’altra parte, ma proprio con lui, l’oggetto stesso, comunicando attraverso un linguaggio che, per necessità, si articola in gesti manuali, piuttosto che parole. E manovrando quell’interfaccia utente semplice e intuitiva, comunemente detta touch, in cambio noi riceviamo dati, informazioni virtuali. Però c’è pure il caso, grazie all’esperimento tecnico di un dipartimento del famoso M.I.T, che prima o poi, miniaturizzazione permettendo, i nostri dispositivi abbiano la capacità d’espandersi o contrarsi nell’asse della profondità, a proprio piacimento. Potendo finalmente contrapporre l’ideale dito-casa-telefono, loro propaggine bio-luminescente, contro quell’insistente palmo umano. Dieci o mille volte…Senza limitazioni contestuali, appendici in quantità! Ebbene, quanto pesa un pixel? Dipende. Se del tipo tradizionale, inteso come unità minima di luce e tiepido colore, sarebbe difficile da misurare. Un micro-nano-grammo di atomi, o a seguire. Ma se invece si trovasse sopra questa matrice a quadrettoni, il rivoluzionario inFORM, quanto basta. Ovvero l’entità immanente sufficiente ad esserci, poter toccare, spostar le palle rosse, o altre cose.
Più che essere un semplice tavolino da caffé, questa ridotta superficie fuoriesce da un mondo di sfrenata fantascienza. In particolare, rilevante è l’immagine del classico ponte ologrammi, fornitura standard di ogni nave di Star Trek, in grado di dare forma fisica alle sue realistiche simulazioni, che siano serie o d’intrattenimento. Ovviamente, qui siamo in una fase ben più primitiva. La risoluzione, perché in fondo stiamo parlando di uno schermo, è davvero limitata: siamo ad un minimo stimato di 2 cm. Abbastanza per poter creare una riduzione del Selciato dei Giganti (basalto d’Irlanda) o il modellino di un edificio in stile Minecraft, poco più. Però, in fondo, non è questo il punto: stiamo parlando soprattutto di un meccanismo dotato di risposta rapida, quasi paragonabile al concetto di refresh. Più che ricrear le cose con assoluta precisione questo, praticamente, si muove alla velocità dell’occhio, del prestigiatore.
Tanto che in mancanza di teletrasporti, il quali forse ci arriveranno un po’ più in là, ci può fornire dell’assistenza nella cosa più prossima che abbiamo: la tecnologia per esserci, quando non ci siamo. Vediamo come.

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Scaldare casa usando quattro candeline dell’Ikea

KeepTurningLeft

Nel gelo apocalittico della notte di Natale, circondato da zombie famelici e grosse alci radioattive, Will Von Scroogen spense con risolutezza la caldaia della sua baita di montagna, alimentata dalle costose bombole di gas GPL compresso: “Eeh, no! Ogni centesimo risparmiato, tanto di guadagnato”. Non si capacitava, il più anziano e avaro degli uomini d’affari pseudo-dickensiani, di dover continuare a spendere per la sopravvivenza della canticchiante umana società. Rappresentata, oramai, soltanto e solamente da se stesso. Tutti quei fastidiosi orfani, sperduti per le strade, che tendevano la mano per un’impareggiabile decino. E i cani randagi, con i loro grandi occhioni, silenziosi postulanti d’affetto e qualche prezioso croccantino. Passati a miglior vita (pensava) orfani e cani, riuniti dalle avversità del fato, restava solo lui: e allora dai a spendere, dannazione! Una bombola dopo l’altra, cento e mille scatolette…. “Il cibo te lo devi guadagnare, mica cresce sugli alberi!” Rivolgendosi a stesso diceva cupamente, l’ultimo misantropo di questa Terra, detestando i suoi bisogni. Mentre bestie siderali, provenienti dalle lune di Saturno, strisciavano per la foresta, ululando, e i vermi saprofagi, tanto privi d’occhi quanto di pietosi sentimenti, insidiavano le fondamenta di quella piccola casetta, sopravvissuta, per miracolo, all’imprevista catastrofe globale. Ergo lui, felice, spegnendo il suo riscaldamento, risparmiava. -15 gradi, le finestre, gradualmente, iniziavano ad appannarsi.  L’orologio bronzeo batté l’una di notte. “Finalmente!” Pensò quindi, semi-adagiato sulla sedia a dondolo del nonno, nel buio quasi completo, la doppietta nascosta sotto le rigide coperte, senza uno straccio di cartucce, perché lui era troppo avaro per spararle. E già si chiudevano i suoi occhi, un po’ per l’auto-soddisfazione, in parte per un principio d’assideramento, quando s’udì dal vicino ripostiglio un suono, come un colpo di tosse cavernoso. “Soo-no lo spii-rito dei Natali passa-ti”. Ora che vuole, questo qui! Pensò il vecchietto, infastidito, gettando da parte le povere coperte. Tenendosi ben stretto il suo fucile, fece due passi, aprì le solide ante di legno lavorato. Pagate, all’epoca, bei dollari sonanti. E sul fondo dell’angustissimo stanzino, la faccia splendida, gli occhi stolidi, con cappello e stella di sceriffo, fieramente lo fissava: Chuck Norris. La tenebra, d’un tratto, prese una piega inaspettata. “Buongiorno, anziano terribilmente arido, privo di risorse. Nella notte in cui tu affronti la prova più terribile, son giunto per portarti un lauto dono. Vedo che hai l’arma scarica, mmm!” E così dicendo, dalla sua lunga barba, quel mistico figuro tirò fuori una katana. “Con questa, sappilo, non finirai mai le munizioni” Cavolo, pensò Will. “Sai che risparmio!”

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L’antenna che riceveva solo ghiande

Acorn Woodpecker

Gli abitanti di Bear Creek, piccolo comune fra i verdeggianti boschi dell’Alabama, avevano un problema. Da qualche tempo, per motivazioni niente affatto chiare, non gli riusciva di navigare su Internet col proprio cellulare. Niente più Google-are i risultati della partita di Football, hockey, etc…Del più recente fine settimana. Difficoltà notevoli nel caricare le foto di amici dell scuola, sul gruppo Facebook e sui vari blog nominativi del paese. La situazione, ecco, si faceva grave. Nei luoghi rurali, raggiunti da un segnale debole, si finisce per trovarsi legati al ripetitore del proprio gestore telefonico con un sottile filo serpeggiante. Ogni albero, palazzo e orso di passaggio costituiscono un ostacolo da superare, aggirare in qualche modo, al fine di raggiungere gli amati spazi virtuali. Porte o finestre della casa diventano le prese d’aria di un respiro sempre più affannoso, in cerca di quell’ossigeno ristoratore, l’enciclopedica via d’accesso per l’inter-mente digitale. E non c’è niente che sia primario a questo mondo, tranne il desiderio. Così, dovunque spuntano le antenne, empi obelischi acciaiosi, ricolmi d’escrescenze fungoidali e gongolanti, estetica devastazione dei paesaggi naturali. Qualcuno, con ottime intenzioni, cerca di mimetizzarle. Le tinge di verde, costruendole affusolate, come fossero cipressi. Non che questo basti ad ingannare l’occhio umano, ricco di discernimento. Chi mai scambierebbe una di quelle.. “Cose” per un vero albero? Soltanto colui che, ingenuamente, l’avrebbe fatto in ogni caso. Proprio perché, dotato dell’intelligenza del bisogno, guarda il contesto e non le forme. Lo sciocco. Il variopinto, l’operoso e caustico picchio delle ghiande americano (Melanerpes formicivorus) ispiratore, col suo insistente verso, del cartoonoso Picchiarello (alias Woody Woodpecker).
Questa è la storia di un tecnico antennista, con il mandato gestionale di una specifica antenna a microonde, che si recò sul posto, richiamato al suo dovere dalle numerose lamentele ricevute. Che salì sopra la sua scala, trovandosi davanti al favoleggiato attrezzo telematico, stranamente inefficace. E lo aprì!

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