Le molte vele di un’alata corte di giustizia sulla grande piazza di Anversa

Ed amministreremo norme e regolamenti, con pacata ragionevolezza, trasparenza, senso del dovere. Massima attenzione alle minuzie. Come solo chi l’ha fatto per molteplici generazioni, sotto l’occhio attento di un intero popolo sovrano, può riuscire di sperare a fare… In ambienti adeguati. Palazzi polverosi angusti e gremiti, poiché questo è stato il simbolo, da sempre, dell’umana burocrazia. Fino ad ora! Cosa serve in linea di massima, d’altronde, per esprimere un giudizio è solo tempo, conoscenza dei preziosi codici. E uno spazio adatto a contenere l’imputato con il ricco corollario di avvocati contrapposti, ciascun portatore del proprio stendardo carico di una preziosa idea. La cognizione che ogni cosa può essere risolta, se giustizia deve essere e così sarà. Sotto punte che protendono la propria insolita magnificenza verso il cielo. Là, dove compare ormai da ben due decadi la forma estremamente iconica di un siffatto edificio. Gli aviatori amano, d’altronde, l’operato del fu architetto britannico Richard Rogers coadiuvato dai tradizionali membri del suo studio, già creatori di punti di riferimento come il surreale Millennium Dome londinese o in tempi meno recenti, il centro Pompidou con la sua scala a Parigi. Edifici per cui forma e funzione si congiungono in un singolo flusso indiviso, generando arredi degni di formare il punto focale di un intero plastico cittadino. L’indiscutibile realizzazione di un intento caratterizzante per l’intero scenario di appartenenza, così come non fa eccezione quello che i locali di Anversa hanno scelto di chiamare informalmente Vlinderpaleis: Palazzo delle Farfalle. Giacché in Olanda niente di simile si era visto fino a quel fatidico 2006 dell’inaugurazione, quando al termine di un periodo di 5 anni raggiunse il coronamento l’esigenza pubblica di un riveduto spazio oltre all’ottocentesca Gerechtshof Brittenlei (Corte d’Appello sul viale Brittenlei). Così come aveva visto l’opportunità di concretizzarsi un’imponente piazza lì, nella parte meridionale del centro urbano, ove l’arteria di collegamento Amerikalei costituiva unicamente un luogo liminale privo di spazi a misura d’uomo. Tutto il contrario degli ulteriori spazi intitolati all’eroe sudamericano Bolivar, ove sarebbe sorto il vasto parco e sopra un terrapieno, la linea immediatamente riconoscibile dell’astronave. Da ogni punto di vista, l’equivalenza estetica di un veliero lungo e articolato, raccolto attorno ad uno spazio centrale aperto e percorribile liberamente, per lo meno un certo numero di giorni l’anno, denominato Salle des Pas Perdus. Dal quale si diramano come le dita di una mano +1, sei lunghi edifici caratterizzato dal generoso uso di vetro nelle proprie facciate, proprio a simboleggiare quell’assenza di segreti che avrebbe dovuto caratterizzare idealmente la “migliorata” legge belga, rivisitata dopo un paio di scandali e casi particolarmente difficili sul finire degli anni ’90. Il tutto impreziosito da una linea superiore frastagliata paragonabile alla dentatura inferiore di un megalodonte, in realtà composta da una pletora di vele in forma paraboloide iperbolica, ciascuna posta in corrispondenza di un’aula o altro tipo di auditorium al servizio dello scopo principale dell’edificio. Come il dorso di un pesante dinosauro mai davvero, o necessariamente sopito…

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600 metri quadri in 140 ore: i parametri di un data center nato dalla stampa tridimensionale

Recita un famoso detto americano, utilizzato anche in ambito militare dai Navy Seals “Lento è fluido e fluido, è veloce.” Così come in edilizia, risparmiare sui materiali può significare spendere di più alla fine, per risolvere i problemi in corso d’opera, tamponare i barcollamenti, effettuare l’opportuna manutenzione. Non si tratta di sillogismi bensì conseguenze molto pratiche del cosiddetto triangolo della gestione del progetto: “Veloce, economico, efficace: scegline due” giacché vi sono compiti per cui non è possibile trovare scorciatoie; a meno di riscrivere, sostanzialmente, le palesi regole immanenti della situazione. Eliminando alla radice ostacoli, ancor prima di tentare d’aggirarli. Molti meno potranno essere gli imprevisti, ad esempio, in un lavoro d’importante caratura se le persone coinvolte dovessero essere di meno. Il che suscita l’imprescindibile domanda: chi sarà, a quel punto, ad occuparsi delle mansioni? Automatizzazione, la risposta. Robotizzazione il punto fermo. “Tridimensionale” l’aggettivo attribuito in modo per lo più arbitrario alla necessità di fare bene le cose. Che è poi quel tipo di effettivo termine ad ombrello, come virtuale, artificiale e innumerevoli altri utilizzati in modo comprensivo nei confronti di un’industria. Destinata, come non sempre capita, a lasciar diffondersi cerchi concentrici nell’increspata superficie del commercio contemporaneo. Strutture costruite, neanche a dirlo, con una sorta d’efficace “miscela” cementizia. Gentilmente offerta nel presente caso dalla Heidelberg Materials, compagnia del centro urbano omonimo, situato nello stato del Baden-Württemberg, ove alcun bisogno può sussistere ancor più di questo: l’anelito moderno, a più livelli, per edifici privi di finestre ma efficientemente refrigerati. Ovvero Data Center, l’imprescindibile forziere dei computer, punto di partenza delle informazioni o l’energia di calcolo impiegata per la grande maggioranza di quel mondo parallelo ed online. Ma costruito in modo differente, caso vuole, da qualsiasi altro che sia stato inaugurato nel presente ambito globale. Proprio perché in termini di mero utilizzo, l’unica forma economicamente sensata per simili strutture di un singolo piano è il rettangolo. A meno che per realizzarle ci si trovi a utilizzare lo strumento che costituisce al tempo stesso capocantiere, bassa manovalanza ed architetto intento a supervisionare. Da ogni punto di vista rilevante, un ugello sopra dei binari perforati. La puntina del giradischi, ove un simile strumento sia piuttosto figlio del bisogno di portare a compimento la materialistica sinfonia. Di un palazzo nato dal bisogno di risolvere l’idea…

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La soluzione abitativa dell’intero quartiere costruito sopra un centro commerciale a Jakarta

Spazi paralleli a cui soltanto pochi eletti possono pensare di guadagnarsi l’accesso. Porte periferiche, situate tra i negozi, che conducono ai viali misteriosi di approvvigionamento e gestione dei servizi a supporto della galleria commerciale: spazi simili tendono a beneficiare da un’impostazione labirintica, che a sua volta riesce a dare il senso e il segno di trovarsi in una specie di città, per così dire, particolare. E ciò è implicato dal concetto stesso di questa tipologia di complesso, da Oriente ad Occidente, tra il Meridione e il Settentrione del mondo. Inclusa la capitale e maggiore città d’Indonesia, Jakarta con i suoi 10 milioni di persone ed oltre, abituate a convivere con condizioni meteorologiche non sempre accoglienti, tifoni e l’occasionale tracimazione dei 27 fiumi che ne attraversano i confini. Non c’è perciò niente di strano, nel desiderio temerario della gente di vivere più in alto, ivi incluso un vialetto di accesso alla propria residenza e spazio di parcheggio per l’auto il più possibile lontano dalle strade talvolta eccessivamente gremite. Beneficiando delle vie d’accesso pedonali nascoste, come implicita e necessaria prerogativa, ai normali visitatori del centro.
L’idea è stata messa in pratica, in primissima battuta, attorno all’anno 2009 o almeno questo è ciò che si riesce a desumere, scoprendo il fenomeno a ritroso dal successo avuto negli scorsi mesi sui profili social di appartenenza locale: un approccio consistente nel costruire 78 accoglienti villette a schiera nel luogo esatto dove, tra tutti, meno ti aspetteresti di trovarle. Ordinate abitazioni messe in condizione di gravare sulla solida struttura del centro commerciale Thamrin City, coi suoi numerosi punti vendita dedicati primariamente a stoffe ed artigianato locale. Una sorta di paradiso per persone facoltose chiamato Cosmo Park, organizzato analogamente a quanto teorizzato nel concetto cyberpunk di spazi urbani a strati sovrapposti o l’esperimento teorico dell’arcologia, un singolo edificio capace di assolvere all’intero novero delle necessità dei propri occupanti. Potendo consentire, dietro il pagamento di un prezzo mediano di circa 4 miliardi di rupie indonesiane (corrispondenti a 235.000 euro) l’esperienza serena e rilassante di vivere in periferia, pur essendo circondati dagli alti grattacieli del distretto finanziario più simili a colonne, o futuristici termitai. Anche un simile contrasto, d’altronde, fa parte della cultura dell’Asia del Pacifico. Poiché salvare le apparenze di un rigido piano regolatore non sarebbe stato, in alcun modo, vantaggioso dal punto di vista pratico né in alcun modo apprezzabile, funzionale…

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Loarre, il castello di montagna che costituiva l’ultima linea difensiva dei regni d’Europa

Certe cose erano più dirette all’epoca, meno stratificate. Ma la politica, una fitta rete di alleanze tra le opposte dinastie, regni e culture distanti, non rientrava di sicuro in tale visione semplicistica del Medioevo. Così quando Carlo Magno, il re più potente del suo mondo riuscì a portare a termine la riconquista della città di Saragozza alla fine dell’VIII secolo, sconfiggendo il sovrano islamico dell’Emirato di Còrdoba e installando il nuovo territorio della Marca Ispanica, la situazione era ben lontana dall’essere risolta. Mentre gli eserciti cristiani dilagavano e conquistavano la regione a meridione dei Pirenei, i loro nemici infatti si riorganizzavano ed infine riuscirono a sconfiggere le forze di spedizione, nella difficile battaglia di Roncisvalle (la cui vicenda è narrata nella Chanson de Roland). Ma l’asse del potere era ormai cambiato, ed una costellazione di piccoli domìni formati dalla popolazione locale, alcuni dei quali più forti di altri, erano riusciti a imporsi sui propri rispettivi dominatori di el-Andalus. Il più grande dei loro rappresentanti, nel tempo, sarebbe diventato Sancho Garcés II della fiorente città stato di Pamplona, dopo il suo fortunato matrimonio nel 925 con l’unica erede e figlia di Galindo II Aznárez, conte di Aragòn. Ed è al passaggio di una manciata di generazioni, nel periodo immediatamente successivo all’anno Mille, che troviamo il discendente di questa unione Sancho Garcés III all’apice della propria posizione di preminenza, tanto da meritarsi l’agognata qualifica di el Mayor. Governante forte, capo militare di successo, egli era anche e soprattutto incline a mantenere aperti i rapporti diplomatici con gli antichi alleati al di là dei Pirenei, ivi inclusi Roberto II di Francia. Guglielmo V d’Acquitania ed Odo II, conte di Blois e Champagne. Ragion per cui non poté in alcun modo esimersi dal dare lustro alla propria specifica collocazione geografica, accettando di buon grado il ruolo di porta invalicabile, ovvero barriera stolida contro la possibile venuta degli Infedeli. Così egli decise di far costruire in un punto strategico il castello che avrebbe cementato il proprio ruolo in tal senso; una fortezza capace di dominare l’intera valle verdeggiante della Huesca, ospitando forze militari pronte a ricacciare chiunque avesse l’intenzione di usurpare le competenze amministrative ed ereditarie dei suoi ancestrali possidenti. Un alta rocca costruita in stile Romanico, possibilmente presso il sito di un’antico castrum dell’Imperium Romano, strutturato attorno alla torre di cinque piani che oggi porta il nome di el Homenaje. Struttura a pianta rettangolare da cui venne posto ad estendersi un muro di cinta con seconda torre di guardia chiamata “della Regina” abbastanza alta da permettere l’appostamento di arcieri, mentre gli occupanti avrebbero potuto beneficiare di un capiente magazzino al livello del terreno ed alloggi presso quelli superiori. Ben poco potevano immaginare all’epoca i suoi costruttori, di come il fronte di battaglia delle guerre di religione fosse stato spostato ormai in maniera permanente verso la parte sud dell’odierno territorio spagnolo, relegando questa poderosa struttura al ruolo di un possente, quanto inutile monumento. Almeno finché non giunse a costituire, col trascorrere dei secoli, una notevole quanto insostituibile capsula del suo tempo…

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