Salsicce-aragosta che crescono sulle cime degli alberi

Dryococelus 01

Da sempre, c’erano stati. Sua Maestà li aveva trovati, trasportando un carico di carcerati. Non sono mai cambiati. Il topo nero, quasi tutti se li è mangiati! Solo in pochi si sono salvati. Sopra una guglia di roccia, isolati. Questi grandissimi insetti stecco, prosaicamente detti “aragosta di terra” o “salsiccia mobile” hanno costituito, per millenni, una parte importante dell’ecosistema di un’isola molto particolare, sita 600 chilometri ad est dell’Australia, che deve la sua scoperta al capitano inglese Henry Lidgbird Ball. Costui,  al timone della nave HMS Supply. era solito spostarsi sulla rotta tra l’isola di Norfolk e la colonia penale di Botany Bay, trasportando i prigionieri condannati all’esilio dai tribunali degli spietati imperi europei. Il 17 febbraio 1788, navigando tra i flutti di un mare tranquillo, scorse all’orizzonte una piramide di basalto, svettante nel mezzo del nulla più totale. Avvicinandosi a questo luogo misterioso, silenziosa vestigia di un vulcano spentosi milioni di anni fa, scoprì poco più in là una terra emersa molto più grande, e ricca, mai calpestata da piede umano. Entusiasta, subito decise di battezzarla con il nome del primo conte di Howe, un ammiraglio britannico, suo antenato professionale. I marinai al seguito, inviati per piantarvi l’imprescindibile bandiera inglese, ritornarono presso il vascello con una ricca selezione di tartarughe e uccelli mai visti prima, che furono portati a Sydney per studiarli. Questo luogo dalla flora e fauna tanto originali divenne, quindi, un importante punto di approdo e rifornimento, presso cui gli equipaggi erano soliti lasciare capre o maiali, da prelevare volta per volta, in base alle necessità dei loro viaggi. Il primo insediamento permanente risale al 1834. Gli abitanti del luogo, aggirandosi nelle oscure notti tropicali, ebbero modo di ridefinire i preconcetti comuni sulla dimensione massima di un artropode di terra. Colpiti dalla bellezza e dall’utilità delle salsicce semoventi, ne fecero un uso importante. Le diedero in pasto ai pesci.

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Il senso biliardesco del chihuahua

Amadeus Pool Dog

Il mastino morde gli stinchi del malvivente, il bracco riporta l’anatra impallinata, il terrier divora il topo eccessivamente incauto. Ogni essere canino tende ad avere una mansione perfettamente definita, tranne lui: il chihuahua. Diretto discendente del beniamino preferito dai grandi sacerdoti della civiltà tolteca, questo quadrupede dall’abbaio penetrante è da sempre in cerca di una vocazione davvero sua, in grado di renderlo speciale. Oggi, grazie al piccolo Amadeus, mascotte di una sala da biliardo della città di Washington, sembra averla finalmente trovata. Giocare meglio del signor Quindicipalle.
Certe specie di animali, osservate dalla confortevole distanza della civiltà urbana, tendono a diventare la personificazione di particolari doti o virtù. La volpe, ad esempio, è furba e così via… Le loro strette nicchie evolutive li hanno predisposti a rivestire quel particolare ruolo, ancor più enfatizzato, ai nostri occhi, dalle generalizzazioni perpetrate nei libri di autori fiabeschi o letterari. Molto più difficile, invece, è ridurre ad antonomasia le bestie che vivono a più stretto contatto con noi. Ciascun cane, gatto, uccello e pesce rosso può assorbire, come una spugna, le prerogative domestiche della sua famiglia adottiva, diventando così un qualcosa di ben più complesso e stratificato della sua ipotetica controparte naturale. Un gatto di casa non ha molto a che vedere con quello che, quotidianamente, viene incoraggiato dai suoi padroni a girare libero per il quartiere. Il pappagallo di un pub inglese impara a tenere il punteggio delle freccette, mentre il merlo indiano del benzinaio saluta il cliente quando sente accendersi un motore. Una munifica carpa koi non si accontenterà, il più delle volte, del mangime economico comprato in un centro commerciale. In nessun caso, poi, tale diaspora dei tratti innati è più evidente che nell’animale cane. La ragione, secondo i recenti studi di alcune università statunitensi, sarebbe da ricercarsi in una dote particolare del suo codice genetico…

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Emergence day: quando nascono le cicale

Return of the Cicadas

In questo preciso istante nei giardini, nei parchi, vicino ai fiumi e ai laghi del Nord America c’è un triliardo di esseri alati pronti a rinascere dal sottosuolo, accompagnati dal suono di un frinire roboante. Come i grandi mammiferi carnivori che vanno in letargo, le magicicada hanno fatto della pazienza un’arma, dell’attesa uno strumento e del sonno uno stile di vita. Diciassette anni fa, sbucando dal legno di un albero come striscianti larve, sono cadute in terra e hanno scavato in profondità, preferendo l’assoluta solitudine agli affanni del mondo di superficie. Occasionalmente, seguendo i loro ritmi dilatati, hanno succhiato la linfa dalle radici degli alberi. Aspettando. Secondo Samuel Orr, documentarista dello stato dell’Indiana, manca poco, anzi pochissimo: entro la fine di luglio tutto intorno a Washington D.C, Philadelphia e New York si scatenerà, ancora una volta, uno degli sciami d’insetti più grandi noti all’uomo, il tripudio momentaneo di un intero popolo artropode che tenta di proiettare i suoi geni verso il futuro. Bisognerebbe fare qualcosa, documentare l’evento a beneficio dei posteri di noi bipedi dall’intelligenza, e la curiosità, particolarmente sviluppate; però, occorre sbrigarsi. Il progetto Kickstarter Return of the Cicadas, lanciato attraverso la compagnia di produzione Motionclicker, consiste nella realizzazione di un documentario della durata di un’ora su questa rara contingenza naturale, con lo scopo finale di arrivare a trasmetterlo sul network televisivo PBS. Come di consueto, in proporzione al contributo monetario offerto all’autore, i partecipanti potranno ricevere la versione digitale del video, piuttosto che su DVD o Blu-ray, eventualmente accompagnate da stampe o poster in alta definizione. Una volta emerse, le cicale periodiche restano in vita soltanto per poche settimane, assediate tutto intorno da famelici e voraci predatori. Sarebbe bello se stavolta, oltre a loro, trovassero gli obiettivi di qualche innocua videocamera.

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La mantide-vespa religiosa? Si può anche addomesticare

Mantispidae

La maggior parte delle creature fantastiche proviene dalla semplice unione di più specie animali. Il classico drago ricorda nell’aspetto una lucertola gigante, con l’aggiunta di un bel paio di ali di pipistrello. La chimaira, figlia di Tifone ed Echidna, aveva il corpo da leone, la testa da capra e la coda di serpe. Se l’appendice posteriore  fosse stata invece di scorpione bé, allora avremmo detto di trovarci dinnanzi all’amichevole manticora. Il tarasque, conquistatore della Provenza medievale, era una tartaruga spinosa con la testa di leone. Il qilin, saggio abitante di alcune foreste dell’Estremo Oriente, aveva corna di cervo, testa di leone, scaglie di pesce e zoccoli di bue. Tutti questi esseri presentavano un tratto in comune: la tremenda pericolosità per l’uomo. Guardate invece questo insetto. La mantispidae, anche detta mantidfly, si riconosce dalle ali di libellula, le zampe di mantide e il corpo a strisce gialle e nere di una vespa. Per di più, esiste davvero! Fosse stato più grande, fra manticore, tarasque e qilin non avrebbe affatto sfigurato. Fortunatamente la sua famiglia di neurotteri non supera i 3 cm di lunghezza. Non dispone neanche del temuto pungiglione. In questo video Ed Kern, utente americano di YouTube, ce ne mostra una che ha trovato durante un barbecue in giardino, imbottigliato, addomesticato e nutrito per un paio di giorni. Dal punto di vista di noi esseri umani, superata la naturale diffidenza verso il suo aspetto, la mantidfly è un piccolo animale insolito, buffo e anche un pò grazioso. Questione di punti di vista: tutt’altra storia è la fine che fa fare a quella succulenta mosca, sminuzzata in un paio di secondi. Anche il metodo con cui le mantispidae vengono al mondo, in effetti, potrebbe dirsi un pò sinistro…

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