Magnifico Ginkgo, le radici di una torre d’oro dall’odore nauseabondo

Parliamo allora per un attimo, dell’epoca remota della grande Preistoria. Quando gigantesche creature percorrevano la Terra. Stegosauri dalla cresta ossea acuminata, il diplodoco col suo lungo collo, gli pterodattili volanti ed il kentrosauro, pinne idrodinamiche nei mari primordiali tra i continenti. Ma due cose, almeno, già si presentavano del tutto simili all’odierna quotidianità degli esseri viventi: il “comune” coccodrillo, essere capace di restare ragionevolmente identico attraverso un periodo di circa 200 milioni anni. E dal lato della flora, l’albero giallo per eccellenza, con la forma di un’alta piramide ancor prima di alcun contributo dell’uomo. Ginkgo biloba, come siamo soliti chiamarlo per l’errore nella trascrizione del suo primo classificatore occidentale. Celebre per il suo effetto nella medicina alternativa, ritenuto panacea naturale di molti mali ed allo stesso modo assai comune come albero ornamentale, nei giardini dei diversi continenti, agendo come inno tangibile al fin troppo implicito splendore della natura. Luoghi come l’area recintata dalle mura dell’antico tempio di Guanyin Gumiao, la Dea della Misericordia, presso la Chinatown di Yangon, comunità cantonese nella parte meridionale del Myanmar (Birmania) che compare in tutto il suo splendore in una serie di fotografie, recentemente diventate virali a partire dal profilo Twitter di Avayonce, utente che sembrerebbe intuire spesso quello che verrà immediatamente ricondiviso a tappeto dai suoi seguaci. Nel presente caso, per lo meno, sulla base di valori estetici evidenti, grazie alla scelta del frangente autunnale, nel preciso periodo in cui queste piante ogni anno si tingono di un colore aureo più unico che raro, poco prima di lasciar cadere nel giro di uno o due giorni l’intera chioma delle proprie caratteristiche foglie a ventaglio. Uno spettacolo che in pochi dimenticano, così come in molti luoghi riesce ad essere diversamente memorabile il periodo della primavera, visto l’acre aroma emesso dai frutti della pianta femmina, semi nel baccello la cui specifica composizione chimica maleodorante parrebbe fatta per attrarre grandi quantità d’insetti ed animali, contrariamente a quello fatto dalle rimanenti parti del notevole arbusto.
Tutte doti conduttive ad un’ineccepibile longevità, che fa di questo albero del ginkgo non soltanto una creatura antica in termini evolutivi, ma vetusta anche per quanto concerne la sussistenza del suo singolo tronco presso quel luogo di culto, che una leggenda vorrebbe essere stato piantato dall’Imperatore Li Shimin (598-649) in persona, sacro fondatore della remota dinastia Tang. Circa 1.400 anni quindi nella vita di questa notevole pianta, sufficienti a porla d’altro canto verso la metà della sua giornata tra i viventi, se è vero che attente considerazioni e analisi hanno permesso di datare altri alberi di questa specie tra i 3 ed i 4 millenni di anzianità. Ogni aspetto, nella pianta del ginkgo, sembra infatti concepito per incrementare le sue probabilità di sopravvivere in qualsiasi condizione ambientale: la capacità di clonare se stesso ed i suoi rami, gettando nuove radici aeree da segmenti periferici della sua chioma; la creazione di lignotuberi o rigonfiamenti protettivi che nascondono al loro interno nuove gemme, capaci di ricreare il resto del tronco successivamente ad eventi distruttivi di vario tipo; ed un seme grande in grado di resistere più a lungo quando trasportato in giro nei ruscelli, oppure dentro l’apparato digerente di qualche creatura di passaggio. Ma soprattutto, l’incredibile e più volte studiata mancanza del gene della senescenza all’interno del cambio (zona interna tra il tronco e la corteccia) permettendo all’albero di continuare a rigenerarsi senza una alcuna data di scadenza scritta a lettere di fuoco nel suo antico destino. Faccenda verificatosi ad oltranza, per quanto la scienza ha chiaramente dimostrato, soprattutto nella regione cinese di Tianmushan, parco naturale circostante l’omonima montagna nello Zhejiang. Letterale valle perduta, dove si ritiene sopravvivere da tempo immemore l’ultima popolazione selvatica di questi alberi, residuo dell’antica selva che un tempo dominava lo scenario ecologico della sua Era. Fino all’inizio del Cretaceo (145 mya) quando il primo manifestarsi delle piante fiorite riuscì a competere e trionfare contro le rimanenti varietà di gingko, lasciando soltanto il tipo bilobato fino all’epoca in cui potesse essere chiamato, a tutti gli effetti, un fossile vivente…

Leggi tutto

Il tranquillo villaggio inglese destinato a diventare Atlantide dei mari del Nord

Era la mattina di un giorno come tutti gli altri, quello in cui la pioggia cadde orizzontalmente, attraverso gli stipiti e gli infissi delle finestre. Poco prima che il nostro intero mondo, per l’intento di una volontà spietata, andasse incontro alla più repentina e umida delle trasformazioni. Un altro luogo, un’altra terra, un altro tempo; Platone, conosceva molto bene questo fato, avendone sottoposto a disanima l’eventualità pregressa nella parabole di un’isola all’interno del Mediterraneo… Ma sposta questa lente geografica verso il remoto settentrione, cosa resta? L’umanità è nei fatti, sempre la stessa, indipendentemente dall’idioma ereditato. Ed altrettanto si può dire, per quanto concerne il flusso inarrestabile della risacca. Almeno finché cessi, per imprescindibili ragioni contingenti, di fare ritorno là, da dove si era palesata fino a quel momento! Continuando a crescere e salire, come lo stomaco eversibile di un grande verme che si avventuri fuori dalla sua tana. Covehithe (non CoveThithe) è un luogo non così distante dal più tipico stereotipo di queste terre: un piccolo agglomerato di case tra la nebbia, disseminate lungo il corso di una strada provinciale geograficamente collocata in Suffolk, che corre parallela a una scogliera. Sotto la scogliera, per la maggior parte del tempo, c’è il mare. In un giorno ancora non fissato sui calendari, l’ordine delle due cose potrebbe anche invertirsi. Portando alla scomparsa di tutto quello che c’è sopra, attorno e dietro ad una simile precisa configurazione. Incluse le abitazioni dei circa 30 abitanti, indiretti depositari di oltre 1.000 anni di tradizione fin dal Mondo Antico. Se è vero che un insediamento continuativo qui ebbe trovato il modo di persistere fin dall’epoca degli Iceni, popolo britannico avverso ai Romani. Ma i Romani non producevano polveri sottili, non riscaldavano con le loro ciminiere l’atmosfera terrestre (ancora) ed in funzione di ciò, non favorivano l’aumento progressivo del livello dei mari. Ecco la ragione per cui nessuno si era mai aspettato, prima dell’epoca mediatica della corrente digitalizzazione, che potessimo arrivare ad un simile punto di rottura.
Per trovare un valido approccio all’argomento, nel nostro secondo paragrafo, non dovremo perciò far altro che accennare al video realizzato ad hoc dal gran divulgatore delle questioni britanniche, lo YouTuber Tom Scott rimastro privo ultimamente della rappresentativa maglietta e/o felpa rossa (e chi poteva RICONOSCERLO, a quel modo?) Che recandosi in prima persona presso il luogo del lentissimo disastro, ne ha elencato le profonde e alquanto tragiche implicazioni. In quanto comunque si decida di guardare alla questione, e indipendentemente dalla terminologia che si scelga d’utilizzare, una cosa è assolutamente certa: Covehithe non ha futuro. Con un’erosione della costa antistante stimata attorno ai 500 metri tra il 1830 ed il 2001, che si ritiene aver accelerato ancora verso l’ultimo ventennio, tale da garantire un’incipiente precipitazione tra le onde dell’intero circondario postale, inclusa la caratteristica chiesa in rovina vecchia di 600 anni. Che prima di quel momento finale, dovrà essere smontata e trasportata altrove, mentre edifici di minore rilevanza storica verranno preventivamente demoliti, al fine d’evitare l’inquinamento marino. Ma la vera condanna di questo insolito insediamento, nei fatti, non è stata sancita tanto dalla progressione naturale degli eventi quanto messa letteralmente nero su bianco, nel corso di una sessione operativa dell’Agenzia Ambientale britannica nel 2011, durante cui è stato formalmente proibito ai proprietari di edifici e terreni direttamente coinvolti di trovare investitori per la costruzione di nuove difese costiere. Perché la spiaggia antistante, formalmente, è proprietà inalienabile dello Stato. E perché in questo, come innumerevoli altri casi pregressi, vale la regola del bene della maggioranza. Costituita nel presente caso dalle circa 1.000 persone del vicino ma più grande villaggio di Southwold situato a 5 miglia più a sud, che le simulazioni hanno dimostrato destinato a vivere immediatamente la stessa situazione di pericolo, non appena il corso naturale della marea e dei sedimenti ad essa collegata dovesse subire un qualsivoglia tipo di alterazione. Così è da allora che viviamo, nell’attesa incombente di un’Apocalisse che in molti potrebbero, ma nessuno sembra veramente avere voglia di evitare…

Leggi tutto

Nell’umida estate australiana del 2021, riemerge l’orda periodica dei roditori

Molti furono, attraverso il trascorrere dei secoli, i peccati originali commessi dalla genìa umana. Ma nessuno significativo ed importante quanto quello di aver creduto, anche soltanto per un attimo, che la nostra esistenza potesse perpetuarsi in modo indipendente dall’ecosistema immanente. Così l’inizio di una storia, come quella della colonizzazione di un Nuovo (-issimo) Mondo, può essere inficiata dal verificarsi di un fondamentale fraintendimento. Che il mare, per quanto è vasto, possa bastare a separarci da un particolare e squittente male. L’immagine speculare dei nostri sogni, aspettative ed aspirazioni, traslato all’interno di un piccolo corpo dotato di muso, baffi e la più lunga delle code. Le notizie hanno iniziato a sovrapporsi verso l’inizio dello scorso settembre 2020; quando all’inasprirsi della calura estiva, dopo una primavera più uggiosa del solito, gli agricoltori delle zone rurali ad est del continente australiano hanno iniziato a intravedere strane moltitudini verso il sopraggiungere del vespro: letterali migliaia, se non milioni di saettanti forme pelose, non più inclini a limitare le proprie esplorazioni nell’oscurità profonda della notte; ma piuttosto prepotenti, quanto basta, per delimitare pubblicamente i nuovi confini del proprio territorio ancestrale. Mus musculus, il topo domestico comune: colui che emerge, ancora questa volta, dalle sue profonde e silenziose tane. Con l’intento chiaramente esplicito di conquistare un continente.
Il termine anglofono utilizzato per identificare un simile disastro ecologico, paragonabile alla stagionale venuta delle orde di cavallette, è mouse plague, per analogia linguistica con gli anni horribiles della peste nera, sebbene quest’ultima malattia fosse stata diffusa, ai tempi del Medioevo, principalmente dalla specie ben diversa del Rattus rattus, alias ratto nero. Ed ancorché si tratti, a differenza della casistica del più temuto insetto saltatore al mondo, di una sorta di tempesta perfetta capace di verificarsi, oltre che in Australia, in una sola altra nazione del nostro pianeta: la Cina (dove comunque, risulta essere assai più raro). Secondo il coincidere di una serie di fattori che avevano permesso, in determinati ambienti, di prevedere il probabile verificarsi dell’evento attualmente in corso: una serie di anni di magra, la cui aridità aveva portato alla progressiva riduzione del numero complessivo dei topi, causa fallimento del loro frenetico processo riproduttivo. Subito seguìti, per uno scherzo infausto del destino, dalla primavera del 2020/21 (già sopravvenuta presso simili territori meridionali) da una serie di significative tempeste cariche di rovesci significativi. Capaci di lavare via il metaforico tappo, costituito dalle circostanze ecologiche, che aveva contribuito ad impedire il ritorno del popolo brulicante dalle invisibili regioni del sottosuolo. Eventualità che parrebbe solita verificarsi, in media, ogni periodo di circa quattro anni, e che nell’accezione di stavolta sembrerebbe essere, secondo le testimonianze aneddotiche raccolte dai notiziari locali, una delle peggiori a memoria d’uomo. Naturalmente: chi aveva mai davvero pensato, che con l’arrivo ed il passaggio di un singolo Capodanno bisestile, le cose avrebbero davvero cominciato a migliorare?
Lo scenario, a quanto pare, è davvero terrificante e riprende a pieno titolo quello verificatosi negli stessi stati del Nuovo Galles del Sud e il Queensland durante l’anno 1994, durante cui i danni arrecati all’agricoltura ammontarono a una quantità stimata attorno ai 96 milioni di dollari. Ma l’economia, in un simile frangente, non è l’unica a soffrire, mentre i racconti della gente e le testimonianze videoregistrate su YouTube parlano d’esperienze più che infernali, con spropositate quantità dei piccoli esseri che ricoprono totalmente il terreno attorno alle case, s’insinuano in ogni pertugio, costruiscono i propri nidi nei luoghi meno opportuni. Emma Henderson, residente di Merriwa, racconta del forno di casa che aveva iniziato a surriscaldarsi, finché non scoprì l’intera colonia di roditori rifugiata dietro l’involucro dell’elettrodomestico, in un comodo nido realizzato con il materiale isolante prelevato direttamente dal dispositivo (“Oh, l’odore, non potete immaginare l’odore!”) Altri membri della formidabile specie, nel frattempo, non si sono dimostrati altrettanto fortunati: come quelli che hanno tentato di penetrare all’interno del surgelatore nel drugstore di  Naav Singh, a Gulargambone, soltanto per venire fatti a pezzi dalle pale dei ventilatori integrati, in un sanguinoso episodio capace di ripetersi anche 400 o 500 volte nel corso di una singola sera. E che dire della poltrona di Lisa Gore, a Toowomba, che ha raccontato al Guardian di aver iniziato a sentire uno strano odore, finché togliendo la fodera esterna non ha scoperto con orrore un’intera allegra famigliola, che si era costruita casa tra l’imbottitura e i cuscini dell’elemento d’arredo. Esperienze personali che, per quanto orribili, non fanno che iniziare a grattare la superficie, di quella che costituisce una vera e propria manifestazione dell’inferno in Terra…

Leggi tutto

Nuovi miraggi d’Inghilterra e lo strano fenomeno delle navi volanti

Il nostromo del vascello guardò ancora una volta dritto negli occhi del suo comandante, non trovando alcun varco per la ragionevolezza mezzo ai caotici vortici di un’incipiente follia: “Passeremo all’altro capo, quanto è vero l’Onnipotente. Signor De Jong, non voglio sentire altre obiezioni. Se aspettiamo che cessino le tempeste, sarà ormai stagione alta, e gli altri bastimenti provenienti dall’Oriente saranno giunti in Europa. Per noi, una perdita di almeno la metà del valore sul contenuto della stiva!” L’uomo gesticolava selvaggiamente con il cannocchiale nella mano destra, mentre un’espressione inumana distorceva il suo volto in un ghigno selvaggio. I marinai alle sue spalle, in attesa dell’ultima direttiva, ebbero un sobbalzo: essi sapevano molto bene che, una volta lasciate le acque chete della Falsa Baia superando il promontorio di Hangklip, sarebbe stato troppo tardi per fare marcia indietro attraverso le labirintine correnti di quella particolare regione degli oceani terrestri. Ma il nostromo sapeva bene che non si sarebbero mai ribellati; non di fronte alla promessa di una generosa percentuale dei profitti. Secondo le fonti maggiormente accreditate, l’anno era il 1641, quando la nave sotto la responsabilità del capitano mercantile Hendrick van der Decken intraprese il suo ultimo viaggio terreno, imboccando quel tunnel senza ritorno che per tanti altri si era rivelato essere il Capo di Buona Speranza. Le leggende narrate nelle chiassose taverne portuali, tuttavia, avrebbero affermato come per costui un simile errore non sarebbe stato affatto la fine, quanto piuttosto l’inizio di un qualcosa di orribilmente e completamente nuovo. Con le vele ormai a brandelli ed il timone frantumato, alla deriva tra le onde alte quanto montagne, l’Olandese ormai rimasto privo del tricorno avrebbe infatti rivolto un’ultima maledizione nei confronti del Principio Divino dell’Esistenza. Ed in quel preciso momento, sarebbe stato tratto in salvo! Se così possiamo definire un’esistenza eternamente sospeso tra il mondo terreno e l’aldilà, a bordo di una nave popolata da fantasmi e la cui linea di galleggiamento situata a qualche decina di metri sopra il pelo dell’Oceano sconsolato.
Trascorrono i secoli, cambiano le aspettative. E qualche volta, persino l’aspetto esteriore delle cose. Ma non la loro più profonda essenza, frutto di contesti ormai rimasti unicamente nella mente delle successive generazioni. Così verso l’inizio di questo marzo del 2021, a largo delle coste del Regno Unito, Egli ha fatto il suo ritorno. Naturalmente, il vecchio Olandese non è più solito presentarsi al timone di un veliero dell’epoca delle grandi esplorazioni, presenza che saremmo pronti a definire alquanto anacronistica nei mari dei nostri tempi: bensì con l’aspetto lungo, rosso, bianco e longilineo della petroliera (secondo altri, si tratterebbe di una nave di trasporto minerario) fotografata a largo di Banff in Scozia, da parte del ventitreenne Colin McCallum durante una passeggiata mattutina sulle rive del suo paese. Una visione ultramondana non dissimile da quella che, anticamente, si diceva poter gettare nella follia un intero equipaggio di naviganti, portandoli ad unirsi alla silente ciurma del caro vecchio capitano Non-Morto. Visione fatta seguire dopo appena un paio di settimane, sulle alterne vie del fato, dall’avvistamento di un altro impossibile scafo fluttuante, quello della nave da crociera Anthem of the Seas presso il molo di Bournemouth non lontano dall’isola di Wight, le ampie e scintillanti sale ormai deserte causa la flessione globale dei viaggi ricreativi marittimi, dopo i molti mesi di pandemia. Ed è forse la visione più bizzarra ed inquietante di tutte, quella di una simile città dei mari con la sua lunghezza di 347 metri e la capienza massima di 4.905 passeggeri, che a questo punto potremmo facilmente immaginare come spiriti in attesa di raggiungere le più remote regioni superne ed infernali. Un assedio preoccupante, del tipo che nessuno può realmente attribuire ad un stadio transitorio di follia collettiva, se è vero che la carta canta, così come contano testimonianze chiare ed indelebili, memorizzate grazie a foto e (persino!) video, decisamente più definiti rispetto a quelli usati nel caso del tipico UFO, Mostro di Lochness o Piedone. Il che una volta eliminato l’impossibile come affermava qualcuno, lascia soltanto l’improbabile. Ed assieme ad esso, l’Unica Possibile Spiegazione.

Leggi tutto