Il giardino geometrico dei pesci fugu

Fugu

Sotto le acque degli oceani, sopra sabbie friabili di continenti senza nome, il pesce palla esegue da oltre un millennio la sua danza di corteggiamento, gettando nel contempo le fondamenta del futuro nido. Questo video dimostra la recente, incredibile scoperta di un fotografo giapponese, Yoji Ookata, a largo delle isole Ryūkyū (Okinawa). Che c’era un po’ di fugu, in tutti noi. Guardate il pesce mentre trova un luogo deputato, gira su stesso e spazza con la coda, tracciando i confini di quel tondeggiante regno, assorto come nella meditazione di un giardiniere Zen. Decora minuziosamente la nuova casa con aguzzi frammenti conchigliosi. E aspetta la femmina seduto in centro, già immaginandosi un prezioso carico di uova, da inseminare freneticamente. Passato è il tempo di Atlantide, quando le leggi matematiche determinavano l’aspetto di umane, sommerse magioni. L’acqua, nell’Era dell’Informazione, appartiene a chi può permettersi di respirarla. Il fugu lavora secondo le reali esigenze che si trova ad affrontare, un giorno dopo l’altro. Nessun gesto è fine a se stesso: come spesso avviene in natura, ciò che ha forma circolare assolve ad una finalità ben precisa. In questo caso, fare scena, non passare inosservati. Persino nell’oscurità sommersa, l’anfiteatro sessuale del pesce costruttore diventerà come una tela di ragno, impossibile da trascurare. Ma se quella funzionava mediante la forza dell’inganno, qui c’è la realizzazione fisica di una promessa, la più importante per qualsiasi essere vivente. “Vieni da me, per procreare”. Certo, la situazione è strana. Il misconosciuto rituale di corteggiamento dei cosiddetti fugu, tanto elaborato, sta ottenendo un ampio spazio sulle riviste di etologia di ogni parte del mondo. Nessuno capisce, in realtà, perché un animale come questo, tanto sobrio e primitivo, debba sentire il bisogno di costruirsi una casa così bella, soltanto per impressionare il gentil sesso. Tra l’altro, i pesci palla giapponesi ci vedono (relativamente) bene e si troverebbero comunque. Questa sabbiosa cattedrale sembrerebbe più adatta ad affascinare altre creature, come noi, bipedi terrestri e super-evoluti. Che di cerchi ne tracciamo a nostra volta sui campi di grano, per gli alieni. Dimenticandoci il destino che attende i fugu troppo estroversi, sul finire della sera: tagliati a fettine, sopra un piatto di sashimi. Non tutti “Vengono in pace”, pesciolino…

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La frenesia dell’uccello sghignazzante

Kookaburra

Difficile descrivere il verso del chiassoso kookaburra. Come un ululato, una risata, mille scimmie impazzite o il delirio derisorio di una iena innamorata sul finire dell’estate. Hollywood, nonostante le sue molte prerogative creative e immaginifiche, tende a riciclare di continuo certi elementi. Tutti avranno sentito, almeno una volta, il celebre grido di Wilhelm, l’ululato in dissolvenza prodotto da un personaggio colpito da qualcosa, che cade rovinosamente dentro l’abisso senza fondo. E se tale gemito è da sempre un elemento fondamentale dei film western o d’azione, puntualmente riemesso dai cattivi sconfitti in prossimità del pirotecnico finale, ecco qui una prestigiosa controparte, altrettanto importante eppure decisamente meno nota. Lo produce naturalmente questo uccello, altamente stimato in funzione della straordinaria dote. Sarebbe il classico suono di sottofondo per ogni scena ambientata nella giungla, irrinunciabile in ciascun capitolo dell’eterna saga di Tarzan o negli exploit dei suoi molti imitatori. Sotto l’ombra degli alti alberi pluviali, grondanti d’umidità e di vita, risuona in questo modo: (vedi video, registrato presso lo zoo di San Diego). Se si potesse prendere tutta l’Amazzonia, concentrarla in un barattolo come quelli della serie cow-in-a-can, poi aprirlo e guardarci dentro, spunterebbe fuori uno di questi kookaburra. Ci starebbe un po’ strettino, poco ma sicuro. Una volta uscito, meglio correre ai ripari.

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Manipolando il fiume impetuoso per fare surf

Waimea River

Il fiume Waimea, sull’isola hawaiana di Kauai, è il più lungo dell’intero arcipelago. Un flusso d’acqua che nasce all’interno della grande palude di altura delle Alakai, attraversa la spettacolare valle in pietra vulcanica che prende il suo nome, anche detta il Grand Canyon del Pacificoe poi, si ferma. Perché nel corso della stagione secca, a causa di particolari condizioni ambientali, subisce un prosciugamento quasi totale della foce, trasformando la parte finale del suo letto in una sorta di bacino naturale, con poco più di una sottile striscia di terra a chiudere la via che porta all’agognato oceano. Normalmente, a partire da quel momento si verifica un’impasse, solita prolungarsi per diversi mesi. Con il ritornare annuo delle piogge il flusso aumenta gradualmente finché, raggiunto il punto critico, da un giorno all’altro la pressione diviene così forte da non poter più essere trattenuta. Allora il fiume, sfogando la sua frustrazione, sgorga potentemente verso il mare con un effetto simile al cedere di una diga, benché fortunatamente privo di alcuna conseguenza. O meglio, con una sola, ma certamente positiva: l’accorrere dei surfisti, categoria sportiva fortemente legata ai fenomeni metereologici e geodinamici, pronta ad approfittare di ogni occasione per cavalcare onde particolari o fuori dal comune. E farsi lanciare dalla fionda torrenziale di questa specie di railgun, follemente puntata verso il vasto blu marino, è un’esperienza che si può solo una volta l’anno, per di più in quell’unico luogo al mondo. Non c’è verso di perdersi un tale momento; perciò se c’è un ritardo, meglio scavare!

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Il bonsai subacqueo di Makoto Azuma, artista della botanica

azumamakoto

Nella filosofia tradizionale del Taoismo non esistono i concetti di aldilà o reincarnazione, perché niente ha mai fine. Al momento della morte ciò che era stabile diviene fluido, trasformandosi materialmente e spiritualmente per dare origine a esseri nuovi e differenti. L’anima e il sangue degli uomini generano piante, animali e creature fantastiche in base alle condizioni del cielo e della terra, in un ciclo infinito di partenogenesi e trasformazioni. Come raccontato dal maestro Chuang-tzu “Dai vecchi bambù esce l’insetto z’ing-ning, che diventa leopardo, poi cavallo, poi uomo. L’uomo torna nel telaio cosmico, per tessere”. Ma esistono fenomeni prodotti dalla nostra mano, come l’ikebana e la coltivazione dei bonsai, che nella ricerca del bello impiegano ciò che è naturale secondo gli schemi personali e soggettivi degli artisti. Nell’ultimo lavoro di Makoto Azuma, scultore di piante proprietario di un haute coutoure floreale nel quartiere di Moto-Azabu a Tokyo, il legno morto di un piccolo albero di ginepro, appartenente alla specie Sabina chinesis, è stato immerso in un acquario, dove ricoperto da muschio e alghe sembra ritrovare il fogliame della sua precedente esistenza. La pianta terrestre si è dunque trasformata in creatura acquatica, dimostrando in tale perfezione artificiale l’immortalità della sua essenza.

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