Ragazza pseudo-psionica sconquassa la caffetteria

Carrie

Nell’era di YouTube, ci sono diversi modi per creare la perfetta candid camera. Ne abbiamo di semplici, spontanee come una vecchia barzelletta: tre uomini entrano in un bar, la cassiera pone domande imbarazzanti, si spegne la luce d’improvviso e… Surreali, bizzarre: qualcuno si veste da lumaca, si apposta vicino ad un semaforo e al momento di attraversare la strada… Tecnologiche, innovative: il drone telecomandato con la forma di un grosso scorpione, sballonzolante, corre fra le gambe che… E poi, c’è questo. La sublimazione più totale del terrore, ovvero qualcosa di così elaborato, tanto scenografico e inconcepibile, che parrebbe appartenere ad una classe del tutto differente. Che ti colpisce quando meno te lo aspetti, scomodando il cardiologo di fiducia. La scena, stavolta, si svolge a New York, all’interno di un pacifico luogo di ristoro, riempito per l’occasione di carrelli motorizzati, carrucole e altri implementi malandrini.
Il momento in cui ci si concede, in luogo pubblico, l’essenziale tazzina di caffé assume connotazioni differenti qui da noi, rispetto ai remoti Stati Uniti, paese da cui proviene quella classica bevanda. Il sacrosanto bar della tipologia italiana, rumoroso, confabulatorio, è un luogo d’incontro, il veloce attimo di sosta fra casa e lavoro, una breve tregua nel mezzo dell’ennesima giornata piena d’impegni. Tutt’altra storia questo tipo di serafiche caffetterie, comunemente dette dagli anglofoni café. Sedersi a tali tavoli, spesso forniti di un ottimo segnale Wi-Fi, sarebbe quasi come farlo in una biblioteca. Al visitatore, laptop o tablet alla mano, viene automaticamente riconosciuto un diritto a star tranquillo, mentre sorseggia con eleganza quel decilitro di prestigioso europeismo, riprendendosi, soavemente, dagli sgravi e le panciate dell’ennesimo fast-food. Ma gli incidenti, ecco, possono capitare. Per esempio, se ti versano dell’acqua sul MacBook (eresia!) Non è che puoi scatenare un putiferio. Facevi forse meglio a lasciarlo nella borsa, cara giovane fanciul-err, volevo dire Carrie. Come, chi è Carrie?

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L’immortale Dubstep Kombat, che non ammette noob

Mortal Kombat

Ultima frontiera delle botte, questi due brutali ninja nel deserto, magistralmente interpretati da Johnny Yang e Tony Sre, al soldo di un digital director d’eccezione, Mike Diva. Due minuti di pura adrenalina, sulle note disarmoniche del più inumano dubstep. E a guardarli un poco meglio, i mostri occulti paiono parecchio familiari: Scorpion, vendicatore non-morto del suo clan, VS. Noob, tenebra sfuggente, con un nome dal pericoloso doppio senso. Disse Confucio: “He who calls for a noob, is often the noob himself!” E pure in questo specifico contesto, tutto sommato, quel saggio ci aveva visto giusto. Ai tempi, quando il misterioso guerriero delle ombre fece il suo ingresso nell’arena fulgida di Mortal Kombat 2 (1993) trionfo della digitalizzazione combattente, non c’era il gioco online, mancava la netiquette e si andava in sala giochi col grugno del duro marinaio, pronti a scambiarsi spaventevoli minuzie verbali con i propri avversari d’occasione: “Sei una schiappa! Come, non lo sai che la fatality di Sub-Zero si esegue con  Avanti – Avanti – Basso – Calcio Alto (Dalla distanza esatta di un calcio) e non Avanti – Dietro – Basso – Pugno Basso (Da distanza ravvicinata)? Che ci sei venuto fare? Lascia il passo, ritirati e medita su ciò che hai fatto!” Gradualmente, giustamente, noi gamer siamo tutti diventati molto più attenti (alle apparenze) del buon competere civile. O per meglio dire, più sottili, perché indubbiamente via l’etere, senza metterci la faccia, si riesce ad essere altrettanto crudeli. O anche di più. Tanto che nell’era dei deathmatch, dei MOBA e del matchmaking, basta una parola di quattro lettere per scatenare l’odio collettivo, che rimbalza fino a provocare l’improvviso sfaldamento, pure dei gruppi più affiatati. La pronunzia, anzi scrive su tastiera, lo stregone del party ruolistico alla World of Warcraft, oppure il cecchino trincerato dietro tre saldi strati di sacchetti antriproiettile: “Siete tutti dei N-O-O-B”. Noob: contrazione di newbie, novellino. L’eterno principiante. Non importa che tu abbia 350 ore di volo, 1.000 abbattimenti all’attivo nella tua carriera di Battlefield 3, il maligno co-pilota potrà pur sempre, prima o poi, darti del Noob. E allora, apriti cielo, perché la situazione sta per precipitare. Quindi, tornando a quell’omonimo di Mortal Kombat…Il nome completo del ninja, Noob Saibot, dal punto di vista etimologico è molto più antico. E dunque, vanta una diversa provenienza: sarebbe l’inversione di Boon & Tobias, i nomi dei due creatori della serie. Miglior luogo per nascondersi, non potevano trovarlo!

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Fuga dal dedalo di Gottlob Leidenfrost

Leidenfrost maze

Restava una porta, mancava l’uscita. E ogni giorno sparivano i topi. 10 ce n’erano, poi ne rimasero nove. L’eterno dilemma dei camici bianchi: non si può mettere la bestia in un labirinto, aspettandosi che ogni volta ritrovi la via. Sinistra, sinistra, destra, sinistra, destra e dopo? Sono imperfetti, gli esseri viventi, cedono e smettono di affannarsi, troppo stanchi per cercare il formaggio… Oppure: succede qualcosa. Persino i gladiatori del Colosseo, un bel giorno potevano guadagnarsi la libertà. E dopo 1.000 volte, se i Pianeti si allineano, quando risplendono Stelle diverse, il topo può diventare. Acqua, che corre veloce, verso. Fuori! La scienza, come diceva il chimico più famoso della città di Albuquerque (che tutti, per presunte ragioni di privacy, usavano chiamare Heisenberg) è lo studio del cambiamento. Quindi, se vari l’ordine degli addendi, purché rimanga il conflitto, tutto tende a allo stato di quiete. Quando Gandalf evocò gli acquosi cavalli del fiume di Granburrone, turbinante Rombirivo, questi erano nove, tanti quanti le belve cavalcate dai malvagi, spettrali aggressori. Ad ogni azione, corrisponde una reazione uguale e contraria. Così potrebbe esser nato, fantasia permettendo, questo dedalo enorme, l’occulto Labirinto di Leidenfrost, basato sull’omonimo, imprescindibile principio della dinamica dei fluidi, che a comando si scatena, previo riscaldamento di un’adeguata superficie d’appoggio. Stiamo parlando, come da video allegato, di un esperimento realmente messo in pratica da Carmen Cheng e Matthew Guy, studenti dell’Università di Bath. Che va visto, per essere creduto. 1,2,3…9… Gocce, una per ciascun topo, gettate sul primo pannello, invitate, anzi no, costrette, a correre verso l’uscita. Eccome, se andavano! Più sicure, veloci che mai. Altro non sarebbe, questo prodigio, che l’applicazione di un fenomeno facilmente osservabile anche da noi, uomini della strada. Quello secondo cui, quando si riversa un liquido sopra un solido MOLTO al di sopra della sua temperatura di ebollizione, questo non evapora completamente, bensì solo in parte. E il gas che ne deriva, intrappolato sotto la goccia residua, gli fa da cuscinetto protettivo, rendendola, per così dire, sguisciante. Fu confermato, come principio, tramite gli esperimenti del fisico tedesco Johann Gottlob Leidenfrost. Da quel giorno, ci assilla. L’avrete probabilmente notato, facendo bollire un uovo, nel formarsi di piccole perle bizzose, goccioline d’acqua che scivolano, libere, per tutta la vostra padella. Però, qui si fa scienza: a noi, solo questo non ci sarebbe bastato.

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Scansatevi, passa il gatto robotico guerriero

Wildcat

La voce circola tra gli stanchi soldati dell’accampamento, reso umido dallo scioglimento della calotta artica settentrionale: “Piccolo diavolo quadrupede, che corre velocissimo nel sottobosco…” E nessuno, per sua fortuna, l’ha mai visto bene. Si dice che abbia denti d’acciaio, scaglie impervie e occhi di brace, questa terribile creatura dell’armata antagonista, assemblata in fabbriche sotterranee, per il tramite di altre strane macchine, ancor più distanti da ciò che possa normalmente dirsi umano. E le sentinelle del turno di notte, che puntano la torcia fra gli alberi con mano tremante, cercano di udire quel suono fin troppo conosciuto, araldo di eventi tremebondi. “Che diavolo di guerra è questa?” sussurra una di loro, all’indirizzo del suo commilitone, la sigaretta floscia che pende dalla bocca, bagnata di sudore “Contro mostri rasoterra, che non dormono, non hanno paura, non si ritirano mai…” In un’epoca passata, anzi, in questo nostro tempo (perché stiamo gettando uno sguardo d’ipotesi verso un distopico futuro, non fosse ancora sufficientemente chiaro) si combatteva fra uomini, tutti uguali almeno in una cosa: l’attenzione per la propria preziosa incolumità. Controintuitivo è il processo attraverso cui, quanto più si esaurivano le risorse del pianeta, tanto aumentava la produzione collettiva del cosiddetto drone da combattimento. “Di cielo, di terra e di mare” dapprima telecomandati: aeroplani lanciarazzi, subordinati alla volontà di un pilota dentro una scatola, cautamente rimosso dall’azione, che potesse compiere i suoi pattugliamenti rovinosi, senza il rischio di farsi coinvolgere direttamente. E poi, giorno dopo giorno, figli di ferro sempre più automatici, scaltri e intelligenti.
2050: costruita la fabbrica SkynetOD, sotto i ghiacci gelidi dell’Artico. Un massiccio sforzo internazionale, finanziato dai paesi più forti del nuovissimo ordine mondiale, che avrebbe garantito la sicurezza eterna contro ogni fonte di aggressione armata, chiunque fosse il suo mandante. All’interno della base, 10.000 soldati robotici del tutto senza sentimenti, privi del concetto di confini nazionali.
2060: crollo repentino dell’economia mondiale, con esaurimento quasi contemporaneo del petrolio e dell’uranio. Aumento drastico della temperatura, a causa dell’effetto serra. I droni della Terra vengono decommissionati, per mancanza di fondi. SkynetOD chiude le sue porte, per sempre?
2075: nubi fosche all’orizzonte. Continenti semisommersi, città ventose prive di elettricità, rivolte diffuse nelle strade, voci a dir poco preoccupanti. Un eschimese in fuga irrompe fra i palazzi di ferro e cemento: “C’è un bagliore a nord, di tenaglie dentate, puntatori laser e…” Venne la sanguinosa battaglia dell’isola di Greenland, fatta di fuoco, fiamme e lunghe veglie notturne al cardiopalma. I demoni correvano nella notte.
“J-Jimmie, l’hai sentita l’ultima?” Spegne la sigaretta, la getta a terra. “Pare che questo affare, il gatto robotico da battaglia, sia un progetto piuttosto vecchio, addirittura del 2013. Il primo prototipo fu fatto dagli Stati Uniti. Te la ricordi Boston? Ci vivevano i miei nonni” Silenzio. “Jimmie…?! La mia torcia n-non…Cos’è questo ronzio?”

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