La vendetta dell’oblungo ballerino

s Funk Guy

Chi l’ha visto, assai probabilmente, lo ricorda. Difficile rimuovere dai propri archivi il sottile, storto volto di Cool Guy, l’uomo ganzo. Persino pericoloso. Di questi tempi, colorati pupazzi californiani si armano di fucili giocattolo, oppure di sassofoni, poi vanno e danzano per strada in cerca di celebrità. La prima volta è capitato nel 2009, sulla sincopata musica di un breve brano funk. Alquanto ripetitivo, ma tant’è. Ci aveva pensato un certo Grigio un po’ dinoccolato, con la felpa ed il cappuccio, come fosse fuoriuscito dall’ennesimo episodio degli X-Files, a dargli un senso duraturo. Internet funziona in questo modo: qualcuno crea una cosa, poi sparisce. Milioni di persone cliccano il gustoso video, lo commentano ne aspettano l’evoluzione. Poi per anni tutto tace, fino a che… Da un paio di settimane, sul canale YouTube dei Lonely Boy Industries, il duo di comici auto-pubblicato dietro a quell’idea memetica senza particolari imitazioni, si svolgeva questo strano conto alla rovescia. Sullo sfondo di scenari cittadini poco chiari, sulla spiaggia di località non meglio definite, c’era nuovamente lui, quello che non parla: con la stessa maschera violacea che nasceva da “un progetto scolastico di Devin” (cit. Knowyourmeme) e il passo degno di uno showman anni ’50. A questo punto pensavamo tutto fosse chiaro; ahimé, che svista!
Giorni cupi richiedono l’apporto di più freschi buontemponi. E giustappunto, sull’alzarsi del sipario virtuale, sullo schermo abbiamo ritrovato non il già celebre Cool Guy, ma il del tutto nuovo “Mr Funk”. Con una corporatura che pare fuoriuscita dritta dal pianeta folle di ToeJam & Earl (Sega Megadrive – 1991), l’indimenticabile epopea funk dei videogiochi a 16-bit, l’allegro figuro vanta pantaloni bianchi, scarpe lucide e camicia fantasia. Ma sopratutto un ponderoso capoccione con sopracciglia fuori posto, capelli crespi e bocca tonda. I suoi creatori, coadiuvati da un notevole miglioramento tecnico nel plasmare la cartapesta, hanno giocato sulle strane proporzioni: le mani del costume sono finte ed alla fine di avambracci spropositati. Questa incongruenza, fra le altre, è forse quella che contribuisce maggiormente alla stranezza dell’insieme. I fondamenti del genere musicale cosiddetto “sporco ed attraente” nato dai fortuiti sincretismi tra la musica del jazz e il blues, dovrebbe soprattutto favorire un senso naturale di cameratismo. La fratellanza festaiola di chi ha soltanto voglia di giocare, libero da pregiudizi e inibizioni. Peccato che questo fatto, per astruse ragioni, nessuno l’avesse mai comunicato al primo mietitore della serie. Che si nascondeva fra le mangrovie soffocanti…

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Musica di rocce vietnamite

Litofono

A vedere questa ragazza vietnamita con due martelli, mentre suona il suo litofono ancestrale, sovvengono questioni stravaganti. Come questa: chi l’avrebbe mai detto, che rock è un genere, ma anche uno strumento! Nascosto nelle viscere magmatiche di questo mondo c’è un macigno così pesante, grosso e denso da resistere alle forze delle epoche trascorse. È lucido ma opaco, smussato ai bordi, eppure frastagliato. Nessuno l’ha mai visto, né sentito. Ha molti nomi e due pronomi, poiché racchiude Venere, femminea, ma anche Marte, il vigoroso. Tale roccia monolitica ed immota, se percossa col martello, produrrebbe un suono tanto preminente, così accattivante, da poter svegliare draghi ed unicorni. Per secoli e millenni la soave pietra, bella e maledetta, è stata al centro dei pensieri e delle gesta degli esploratori, armati della zappa, della corda del piccone. Mentre narratori e menestrelli, con la penna e con la cetra, l’hanno tratteggiata pure troppe volte, tramite parole dalla dissonanza sovversiva. Maledette malelingue. Cerca e scrivi, sfrega e stridi, siamo giunti a questa conclusione: questa qui è la Volta, il Paragone. Se davvero fosse mai trovata, tale stele, se qualcuno la suonasse, nascerebbe l’universo. Con un doppio tonfo sordo, in sovrapposizione a quello già esistente! Un disastro senza precedenti. Ciò che serve per la mente non è quella originale ma una copia, l’approssimazione.
Nulla si crea e niente si distrugge, tranne le note di una qualsiasi melodia. Termodinamica permettendo, certe vibrazioni sono figlie di due fonti ben distinte: una è la mente, l’altra l’energia. Non puoi contare i tuoi neuroni, da vivo. C’è un contenuto di pensieri che si aggiunge a quell’oscillazione di atomi e ossicini, dentro al tubo misterioso dell’orecchio umano. Giustappunto, furono i nostri antenati ad inventarla. La musica. Come il fuoco, acquisito per associazione dalla furia elettrica dei temporali, anche il suono armonico è stato ripreso dalle cose preesistenti. Che affioravano placidamente, sotto i piedi, senza voce ma ricche di precipue possibilità. Difficile intuire chi l’abbia capito prima, dietro a che confini, sotto quale sole. Però ebbene, in Vietnam, prima delle antiche civiltà, alcune culture montanare erano solite scavare delle pietre assai particolari…

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Stampare su legno dal PC di casa

Inkjet wood printing

Purché la stampante sia del tipo inkjet, ovvero a getto d’inchiostro. Non è chiaro quando sia successo, che le parti si scambiassero tra loro. Stando ai superstiti dei vecchi tempi, siano questi libri o autentiche persone, il verde si è ridotto col procedere degli anni. C’erano una volta le foreste, qualche rigogliosa giungla, selve, macchie, boschi e schiere di conifere ammassate; talmente tanti arbusti c’erano, che persino dopo l’invenzione della carta, ne restavano diversi. E quelli lì, abbattuti e fatti a lastre incise, si usavano per dare corpo ai lumi ed ai pensieri. L’equilibro del mondo dell’arte si reggeva sugli opposti: polpa da una parte, cellulosa in quella opposta. Poi di nuovo insieme in un romantico racconto visuale, attentamente tramandato. Era, quella, l’epoca della xilografia. L’inchiostro scorreva libero nei fiumi, non ancora intrappolato nelle pratiche cartucce di un qualsiasi centro commerciale.
Di carrelli, nella stampa d’oggi, ce ne sono due: il secondo è quello che rincorre il foglio sotto lo sportello in plastica, dell’apparecchio digitale collegato in USB. Come cambiano le cose! Ormai non si dipinge, non si intaglia attentamente, non si usano le presse con la vite senza fine. Ciò vuol dire: niente legno. Solo un tasto, il gesto e la parola. La prassi è pure troppo chiara. Si trae l’immagine da un sistema rigido che non ammette cambiamenti: dallo spazio digitale ci si sposta sulla carta, senza intermediari. A meno che qualcuno non ci metta….L’intenzione. Steve Ramsey è il video-falegname che, in questo particolare frangente, ci dimostra una particolare proprietà delle moderne macchine da stampa che teniamo in ogni casa. Stiamo parlando delle Epson e Hp entry-level da qualche decina d’euro, meno care dell’inchiostro stesso. Apparecchi accessibili, eppure più versatili di quanto si possa pensare. Cosa sta facendo, questo hacker dalle mani multiformi? Ha preso un foglio di etichette per i pacchi, li ha staccati tutti quanti. Ah, che spreco di adesivi!
E ad ogni modo, resta il retro. Quella carta liscia, floscia e maneggevole, di un insignificante color crema. Un residuo che la prassi porterebbe a gettar via. Ma la prassi, ebbene, non è il campo degli artisti.

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Stanley, un corgi tra gli zombie

Steadfast Stanley

Nella notte senza fine, tra disgrazie immisurabili, nel profondo della cupa disperazione di un’apocalisse tremebonda, questo giovane protagonista troverà l’eroe che si era meritato. Di cui, probabilmente, aveva anche bisogno. Non ha una mantello nero, Stanley, ma vanta le stesse appuntite orecchie dell’uomo pipistrello, un passo agile e le mille risorse del più prototipico dei cercatori. È tozzo ma compatto, nelle gambe e nella forza d’animo. Questa salvifica palla di pelo, come Ulisse che dalla rocca di Troia ebbe a ritornare ad Itaca, terrà nella mente ben fissato l’ideale del ritorno. Con una significativa differenza: per un cane, l’unica casa è il suo padrone.
Il commovente cortometraggio, intitolato Steadfast Stanley (Stanley il coraggioso), è l’opera di John Cody Kim, studente al terzo anno del CalArts di Valencia, nella contea di Los Angeles, in California. Dopo essere stato pubblicato giusto in questi giorni, assieme agli altri cartoni animati degli iscritti ai quattro anni del corso programmatico di Character Animation, ha ottenuto un successo su scala globale, grazie alla circolazione virale sui diversi social network. E non c’è molto da meravigliarsi, soprattutto visto come in poco meno di 5 minuti, dalla tecnica stilistica eccellente, la storia riesca a coinvolgere ed appassionare. Si tratta, essenzialmente, di un crossover tra due punti salienti della cultura contemporanea: da una parte c’è l’eterna fedeltà dei cani, dall’altra il presunto pericolo dei morti viventi. La recente resurrezione (pardon) dello zombie mediatico, per il quale è giusto usare la grafia inglese, ha profonde ragioni sociologiche e culturali. In questo 2014 d’incertezze economiche, instabilità globale e disoccupazione, la mente collettiva è sempre in cerca di un nemico limpido e lampante. Come gli alieni che invadevano le pagine dei pulp occidentali anni ’60, a guisa d’ipotetiche armate provenienti dall’Unione Sovietica, gli zombies rappresentano qualcosa. Forse il tuo prossimo sconclusionato, privo di raziocinio per la causa di una scriteriata civilizzazione. L’inesorabile cadavere guidato da una forza arcana, golem sanguinoso della tradizione haitiana, è ormai svanito da parecchio tempo. Nelle creazioni orrorifiche di questi giorni, partendo da Resident Evil (videogioco – 1996) fino a The Walking Dead (serie tv – 2010), i morti affamati hanno una fonte più credibile e possibilmente, probabilmente ancora più perversa. Virus mutageni, nanomacchine scientifiche, tremendi esperimenti di genialità deviate. Spesso, c’è di mezzo il terrorismo, un avversario tanto più tangibile nelle creazioni di fondamentale fantasia.
E il bello del cortometraggio di John Cody Kim è proprio il modo in cui decostruisce, sfata certi miti appena nati, tali evangelismi d’incipiente disumanità. Perché se lo zombie è sempre un prodotto della sfiducia collettiva, chi poteva ostracizzarlo, meglio di quel Fido paragone…

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