Tre storie di scoiattoli spericolati

Squirrel Trap

Chiamare il silvano roditore, semplicemente “topo con la coda folta” sarebbe un grave fraintendimento dei suoi presupposti di spavalda versatilità. Lo scoiattolo è il coltellino svizzero della natura. Victorinox: Posto in una scatola, sulla cima di un palo del telefono, questo animale troverebbe il modo di scappare. E come Harry Houdini, guidato dalla forza e la furbizia, giungerebbe fino a terra. Se lanci una simile creatura contro il muro, tu barbaro, non la vedrai mai rimbalzare. Perché in essa è contenuto non soltanto il principio generativo della palla di pelo piena d’aria, che preme con la stessa forza in ogni direzione, ma anche quello del rampino dalla volontà potente, nonché zampe presili e ungulate. Saldamente assicurato a tale liscia superficie verticale, lo scoiattolo striscerebbe verso l’alto. Per poi piegare la sua testa di novanta gradi, verso l’alto relativo, guardandoti con fare minaccioso, dritto nei tuoi occhi trepidanti: “Perché mi hai fatto questo, umano?”
La crudele verità del mondo, tuttavia, richiede spietatezza e iniquità. Come nel caso di un rumore di zampette, ritmico, insistente, che dovesse udirsi per metà del giorno e della notte. Non puoi ignorare il chiaro suono dei visitatori, che avessero scambiato il tuo controsoffitto per un albero, e le relative intercapedini per autostrade, verso l’opportunità di procacciarsi il cibo. Anzi per essere più chiari, di rubarlo. Questa è, per l’appunto, l’esperienza video di goodvisable, amico degli animali (davvero! Nevvero!) Che tuttavia, si era trovato innanzi a un bel problema. “Le feci sono ovunque!” Facevano i suoi amici: “Ratti, roba da matti?” O il sempre attuale: “Portano la peste bubbonica e la rabbia…” Fino al punto in cui, tormentato dalle voci di chi aveva attorno, lui prese l’ardua decisione. Trappole sotto l’oscuro tetto. Crudeli implementi della marca Victory, che è anche un augurio di rapida risoluzione, dal bordo metallico e una molla senza compassione. Ma compressione sufficiente, ahah! Per bloccare definitivamente chi dovesse ambire a quel formaggio. Solo che, notte dopo notte, le trappole scattavano senza prendere alcunché. Così che l’umano decise, infine, di metterci davanti una videocamera. Per poi trovarsi innanzi all’impensabile realtà: è più veloce la mano, di scoiattolo, che la moderna ingegneria. E chi sembra perduto, a volte, trova il modo di riprendersi dal suo torpore. L’aspetto migliore di questa prima vicenda, a conti fatti, è che nonostante l’apparenza il roditore sta perfettamente bene. Tanto da essere ricomparso, in un video successivo, mentre continuava la sua opera di ricerca e ladrocinio. Invulnerabile!

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Razzi rotanti per il re dei cieli thailandesi

Bun Bang Fai

Una guerra terribile contro il popolo degli uomini serpente, che costò la vita a decine di migliaia di individui, con e senza scaglie. Tutto quanto…Per un razzo non partito? Sua maestà divina Phaya Thaen, supremo sovrano di tutte le creature alate, del sole e della meteorologia, ha una problematica disposizione alla dimenticanza. Assiso sul suo trono di nubi e scaldato dalle radiazioni elettromagnetiche degli astri, talvolta lascia vagare la sua splendida eminenza grigia per le valli e per i sogni, trascurando la sua maggiore responsabilità: portare ai contadini del Laos e della Thailandia quel momento lungamente atteso, della stagione delle piogge, in cui si piantano i preziosi semi della sussistenza. È una questione problematica che si ripete da parecchi secoli, perché c’è bisogno di svegliarlo, praticamente tutti gli anni! Le Prapheni Bun Bang Fai sono le celebrazioni buddhiste di ambito rurale che hanno luogo tra il sesto o settimo mese del calendario lunare, per celebrare la fine della stagione secca e l’inizio del periodo agricolo migliore. In occasione di simili eventi, derivati dai riti della fertilità di culti ormai dimenticati, si balla, si canta e ci si fa regali a vicenda, con lo scopo di accumulare un karma positivo per le proprie vite successive. Si organizzano magnifiche sfilate con i carri a forma di serpente e poi, giunti nel momento fatidico della celebrazione, ci si cimenta nelle più incredibili gare di razzi. Sperando, come sempre capita, che anche stavolta quel frastuono, quelle terribili scie di fumo, il bagliore degli scoppi pirotecnici…Tutto questo e molto altro, serva nel difficile scopo di svegliare Phaya Thaen. Oggi, chi fallisce nell’impresa di assemblare un ottimo razzo, viene punito sul momento: spintonato giù nel fango, zuppo e sorridente, tra i lazzi dei suoi amici e istrionici rivali. Ma non fu sempre così.
Si racconta, nei canti popolari, di un tragico triangolo amoroso, ovvero della triste storia del giovane re Phadaeng, della principessa Aikham e del principe dei naga (uomini serpente) Phangkhi, l’essere mostruoso con la dannazione di un amore niente affatto corrisposto. Come biasimare, del resto, la bella erede dell’ancestrale regno Khmer, per la sua preferenza verso il primo dei due possibili mariti, un baldo sovrano tra i presunti favoriti dalla famiglia, dalla nascita altrettanto privilegiata. Finché non successe l’imprevisto… Di un razzo di quell’uomo insigne, rimasto, ahimé! Senza carburante. Per un dinasta degli Khmer, fallire durante la festa del Bun Bang Fai era un pessimo presagio, una questione niente affatto trascurabile. Così che, quando il fuoco d’artificio non partì, al suo posto, volarono in cielo i presupposti del futuro matrimonio. Il che ci porta alla venuta di un impròvvido scoiattolo. Che non era un semplice roditore, niente affatto, bensì lo stesso Phangki, principe dei Naga, segreto ammiratore della stessa donna, tramutatosi per fare visita alla bella, in occasione di questo sfortunato evento a carico del suo nemico in amore. Con la fievole speranza che la fanciulla, liberata dai suoi impegni, si lasciasse finalmente intenerire. Cosa che avvenne, da principio: quando lei vide la simpatica bestiolina, dicendo alla sua guardia di palazzo personale: “Prendilo per me” Il che voleva dire, nelle sue intenzioni: “Catturalo, affinché possa tenerlo come beniamino”. Ma la guardia, per l’effetto di un residuo karma negativo, non capì. E allo scoiattolo tirò una freccia, uccidendolo. Il che ci porta a…

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Quanto costa un gioco nato da 14 anni di lavoro?

Tobiasgame

Assolutamente… Potrebbe definirsi il fondamento stesso dell’immaginifico di stampo tolkeniano: “Un antico male si risveglia” sta alla fantasy moderna, come il “C’era una volta” aveva corrisposto ai classici dei celebri fratelli Grimm. Entrambe le alternative letterarie, ciascuna a suo modo, hanno da sempre costruito un piano prospettico temporale prolungato, pensato per donare rilevanza all’avventura. Ma mentre l’antefatto della fiaba si accontentava di allontanare dal quotidiano il punto di partenza, colpendo soprattutto un pubblico compiacente di bambini, l’altra cupa controparte… È decisamente carica di sottintesi. Nonché terribili preoccupazioni, perché verrà da chiedersi, ad alcuni: “Un antico male? E chi lo rimetterà a dormire? Di sicuro, non io”. Direi che fosse proprio questo il nesso dell’impresa, alla fine. Stabilire le regole di un grande gioco. Vade retroMammòna: questa fronte suda senza guadagnare. Nulla!
Da queste nubi temporalesche prese forma Tobias and the Dark Sceptres (notare la grafia britannica, laddove in America si sarebbe scritto Dark Scepters) l’opera maestra di Adam Butcher, una poliedrica avventura pixelgrafica tra terre di tormento e mostri torreggianti, da viversi nei panni di un curioso personaggio in giubba verde, liberamente tratto dalle pagine sugli hobbit de Il Signore degli Anelli. Un videogioco concepito nel 2000, disegnato, poi messo a punto e programmato dalla mente di lui, solitario e sola-mente; con qualche interruzione. Ciò è soltanto naturale. Del resto, nel frattempo, l’autore si era reso celebre come fabbricante di ottimi cortometraggi per il pubblico del web, dall’alta circolazione sui lidi dilaganti di YouTube. Centinaia di migliaia di click all’attivo. Per lui che a un certo punto sarà giunto a pensare: perché non unire le due cose! Trovare finalmente il tempo… Dopo tanti anni, di apporre la parola Fine sulla grande Opera, di un se stesso delle scuole medie, per poi trarne un pantagruelico racconto. Da narrare tramite l’apporto di tecnologia del nuovo secolo & la cultura info-memetica dei nostri giorni. Il gioco è bello. Il video, un’avventura ancor più grande: un post-mortem animato pieno di rimpianti, che tuttavia risuona del magnifico vagìto, lungamente atteso. Ecce gamus: per chi lo volesse, e non vedo proprio come resistere a una tale fantasia, il munifico prodotto è disponibile sul sito ufficiale, per il prezzo di cui parlavamo sopra. Nessuno. Ma con un guadagno, per chi l’ha creato, veramente significativo. Immaginatevi per un momento, questa sensazione di poter sfruttare un popolo senza confini, l’intero insieme di chi naviga per sport, al fine di realizzare i propri sogni di ragazzo. Diventare, finalmente, famosi; per ciò che si amava fare allora. Oltre che per quello che si è fatto dopo. Se non è questo un miracolo della tecnologia…Ma vediamola un po’ più nel dettaglio, questa gemma dell’interattivo-fatto-in-casa.

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Come inizia il sumo

Sumo Dohyo

Due rikishi, guerrieri potentissimi e massicci, che disseppelliscono la sostanza del momento. Sotto un tempio virtuale, l’imprescindibile struttura superiore di un santuario shintoista. Circondati dai quattro simboli e colori delle direzioni cardinali. Sappiamo già tutto di loro, come di ciò che viene dopo, perché è impossibile restare impassibili di fronte alla furia stessa dei terribili elementi, ridotti alla versione antropomorfa di una tale sacra scena. Mai nessuno si ricorda, invece, degli yobidashi. Tutti gli inservienti, gli artigiani specializzati, coloro che preparano il terreno usato per l’evento; peccato. Perché fanno un mestiere molto interessante. Un po’ come i giardinieri di uno stadio, però senza erba e senza spalti! Ma con molta sapienza delle epoche alle spalle. Per capirli davvero, occorrerà comprendere la loro pura essenza.
Traccia un segno cosmico con il pennello, demiurgo della nipponica esteriorità, partendo presso il centro esatto dello spazio: come una linea diagonale, questo abisso scuro, fatto con l’inchiostro dell’impegno e della convinzione. Sotto di esso, a media altezza e quasi perpendicolare, un secondo contrapposto, assai più breve, per il resto identico d’aspetto. Sembrerà una lambda o la torre Eiffel, questo kanji, l’ideogramma. Entrambe le sue componenti, la coppia di quei segni, appoggeranno saldi sulla Terra, ovvero il fondo definito dal tuo foglio. Ci siamo, hai terminato? Ebbene hai scritto hito人, uomo. Ma se pure il tratto breve del disegno calligrafico dovesse apparire assai meno importante del suo vicino, ai nostri occhi di profani, questo non significa che possa scomparire dalla composizione. Senza un tale inchiostro solido a fargli da sostegno, come potrebbe, la sua lunga e fiera controparte, stare dritta in verticale? Cadrebbe subito, è sicuro. Il tratto lungo sono i due lottatori di sumo, per metafora corrente. Quello breve, coloro che gestiscono il contesto. L’autista della metropolitana che conduce il manager fino in centro Kyoto, per assistere all’incontro. E tutti gli altri.
C’è la certezza, per molti di noi, che a questo mondo esistano dei metodi, diversi in base alla cultura, per comunicare con gli Dei. Cominciamo, per chiarezza, con quello più prossimo all’Europa. “Il mio corpo è un tempio, l’immagine perfetta del Creatore”. Unico, come l’edificio di Re Salomone, la fortificata origine di una visione che permane ancora: siamo frutto della costola di un Antenato, che a sua volta derivava dalla Terra e dalla mano di qualcUno. Quel qualcUno, ad oggi, ancora ci ascolta e ci comprende, proprio perché siamo fondamentalmente come LUI; per questo è nostro dovere sacrosanto, in tale universale concezione, essere belli, saggi, equilibrati. Succinti e piacevoli, per quanto ci è possibile. L’idea di partenza che sostiene il concetto monoteistico di preghiera si basa, fondamentalmente, sulla ricorsività dei metodi espressivi e dei modelli. Perfetta simmetria! Ci sono poi remote terre, come l’esotico Giappone, dove la visione delle Cose ha una sorgente differente. È priva di una forma chiara e definita, ma fluida, sfuggente: ci sono kami, ci sono mostri e draghi sommersi, spiriti del cielo e della terra. C’è Buddha che li osserva quieto, meditabondo e lì accanto c’è pure ogni profeta della Bibbia, perché no, intento a mescolarsi con gli apostoli del Nuovo Testamento. Sincretismo e commistione.
n tale poliedrica visione delle Cose, non può bastare più il singolo tempio, di un comune corpo umano, per pregare veramente a fondo. Occorre la creazione di un contesto magico, spirituale, in grado di coinvolgere lo sguardo degli Dei richiesti, di volta in volta e per ciascuna singola occorrenza. Che fortuna! Proprio a questo serve il sumo.

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