Una centrifuga per umani

Crowd Dynamics

(Versione in javascript con l’aggiunta del sonoro) Lucifero stesso, assiso sul suo trono di serpenti, non avrebbe concepito questa cosa straordinaria. Dov’è Wally? In Purgatorio. Dopo decadi passate in luoghi affollati, cercando di confondersi tra gli altri omini derelitti, la Divina Provvidenza l’ha trovato. E oltre alle due variopinte dimensioni dei suoi libri per bambini, il mattacchione con la felpa a strisce ne ha trovata un’altra, la profondità virtuale. Che tragedia. Ormai costui non manca di pensare, tutti i santi giorni:”Volesse il cielo farla scomparire!” Assieme all’assioma del poligono torturante, questa BARRA rotativa, che tutto vuole fare, tranne che fermarsi. È un Luna Park mortifero, da cui vorresti solamente scendere. È l’orilogio del destino – il frullatore, lo strumento che prepara gli astronauti all’accelerazione iper-gravitazionale. Però senza tute o seggiolino, solo il duro pavimento o spigoli perversi, da feroci versi. Fortunatamente, non c’è sincera sofferenza in questa dura forma di supplizio. Ne diavoli con forche acuminate. E a guardare meglio le bizzarre circostanze, se ne afferra la ragione: è tutta una simulazione.
Nasce dal computer fantasioso di Dave Fothergill, professionista di peso nel settore degli effetti speciali, alle prese con una nuova soluzione software: il plugin (gratuito!) Miarmy per il celebre programma tridimensionale Maya, concepito per la gestione avanzata delle folle inferocite. Oppure prese da quel sentimento soprattutto loro, il panico di gruppo. Un qualcosa di utile nella rappresentazione bellica di antiche guerre, fatte di schiere armate fino ai denti. Che può tuttavia servire a molto altro. Collettivamente, come si usa dire, abbiamo il potenziale delle bestie. Pecore o formiche, eternamente dedite a seguire il primo della fila. È un’implicazione del comportamento umano che in taluni si palesa prima o poi, mentre per altri resta lì, distante. Mentre c’è una certezza pragmatica, dal canto suo, che può colpire tutti a questo mondo: nel momento del pericolo, ciò che conta è uscire fuori. C’è un che di filosofico, nella maniera realistica in cui gli ingegneri informatici possono rappresentare la paura. Tanti singoli individui, con storie personali differenti, variabili gradi di saggezza o preparazione fisica, che nell’ultimo momento della verità si trasformano in fotoni. Vento protonico, un flusso di neutroni… Un qualcosa, insomma, che non pensa. Ma subisce il ritmo degli eventi e li connota. Peggiorando anche le cose, fin troppo spesso.

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Guardate gli sciatori tecnologici luminescenti

AFTERGLOW Philips

Avete mai visto una qualcosa di tanto incredibile, così straordinario, da non poter far altro che chiedervi “È un uccello quello? Una fenice? L’Immortale della montagna sta scendendo a valle, come profetizzato nelle sacre pergamene?” Una volta ogni vent’anni, soltanto quando le condizioni sono VERAMENTE giuste. Quando l’asse verticale della Terra si riorienta per il cambio di stagione. Nel momento esatto in cui le particelle ioniche dell’atmosfera si scontrano con i protoni di un pericoloso vento, l’insistenza radiolettrica del nostro Sole. Se le nubi si diradano. Quando il chiurlo canta, guarda caso, molto prima che sia sorta l’alba. E non risponde il gufo, chiaramente, per un concerto cacofonico, che spoetizza le preziose quanto rare circostanze. È in quel momento, o così si usa dire presso certe parti, che le stelle prendono la forma di una nebbia colorata di argento, blu elettrico e violetto, sulle cime candide di Alaska e Canada, per uno spettacolo meraviglioso. Forse, per qualcuno, l’esperienza di una vita.
Si, va bene. Il video AFTERGLOW – Lightsuit Segment della Sweetgrass Productions altro non sarebbe che una “semplice” reclame delle nuove TV luminescenti della Philips (bei prodotti, a quanto pare). La trovata non del tutto originale, scelta per associazione, di far scendere alcuni ottimi sciatori: Pep Fujas, Eric Hjorleifson, Daron Rahlves, e Chris Benchetler giù per le nevi notturne dell’estremo settentrione, vestiti della luce candida di quattro tutte al LED. Ma va da se che simili creazioni audio-visive possono colpire il pubblico, ben oltre la somma delle proprie singole parti costituenti. E l’insieme di una simile prodezza nel discendere dirupi, la cangiante alternanza di magniloquenti sfumature sul contrasto della notte oscura e il fantastico montaggio, creano una sequenza degna di essere inserita negli annali antologici del mondo pubblicitario. E se pure questi ultimi non esistessero, di crearli e farli iniziare proprio adesso, qui ed ora, così.
Il bello della neve non è il freddo, ma il candore. Che la rende come una tela specchiata, pronta a riprodurre ed amplificare certi fenomeni del mondo. Basti pensare al modo in cui, sopra il bianco manto, riesca ad allontanare l’assoluto buio. Se dovesse risplendere anche una sola stella, nel cielo di un dicembre coronato dalle precipitazioni principali dell’inverno, si può ben contare su una cosa: che tale remota splendida presenza sarà sufficiente per accendere il terreno delle cose. Ogni singolo fotone riassorbito, inevitabilmente dalla candida materia, ne verrà rinvigorito. Figuriamoci, dunque, tali variopinte code di comete! Più che uomini, fenomeni spaziali. Fatti materializzare, finalmente questa Volta, grazie allo strumento tecnologico per eccellenza: l’elettricità.

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Quanto ci vuole a togliersi la tuta antivirale

Tuta protettiva

È una semplice realtà dei compiti ripetitivi e naturalmente complessi. Tutti sanno che il cervello umano, se annoiato, tende presto ad automatizzare i gesti. Immaginate lavorare, un giorno dopo l’altro, in mezzo alla paura. Non quella vaga ed imprecisa del futuro, relativa alla perdita della propria privilegiata condizione, oppure l’ansia per qualcuno a cui vogliamo bene. Ma una paura microscopica, sottile ed intangibile, che vola nell’aria trasportata via dal vento. Finché non viene, in un attimo fatale, inalata. E allora si trasforma. Negli umidi pertugi di ciò che l’ospita per sbaglio ovvero tale fragile, inerme, vulnerabile organismo. Troppo spesso, troppo umano.
Questo tipo di terrore, che il mondo ingeneroso ci offre in molte razze o varietà, è subdolo e incredibilmente pieno di risorse. Una volta dentro cambia forma. Replicandosi infinite volte, tale parassita, rovina tutto ciò che gli è vicino, lo squaglia e lo fluidifica, trasforma il sangue in vino e lo decanta da ogni poro. Appropinquarsi ad una tale fonte di condanna, per un simile di quel malcapitato, non è facile. Ma conduttivo di salvezza perché si, anche di ebola si può guarire. Come muoversi, dunque? La risposta possibile è soltanto una: con cautela. In questa video dimostrazione messa in opera nel 2011 nel contesto del programma divulgativo dell’Università del Nebraska, HEROES – Healthcare and Emergency Responder Organization Education through Simulation (quite a mouthful, indeed) Venivano mostrati grazie alla simulazione, in tempi non sospetti, i metodi adeguati per rimuoversi una tuta per il pericolo biologico di livello C. Quella in uso, per intendersi, negli ospedali di metà del mondo, o almeno quelli tanto fortunati, o viceversa, da aver ricevuto attrezzatura e addestramento per gestire simili emergenze. È veramente impressionante.
L’infermiere oppure il medico, dunque, arriva puntuale sull’inizio del suo turno operativo. Potremmo trovarci, per dire, presso la sezione malattie di un grande ospedale, magari in un paese progredito d’Occidente, dove si trova, suo malgrado, l’ennesimo “paziente zero” – Sta già succedendo, dopo tutto, ieri ed oggi. E potrebbe continuare da domani, per quanto ne sappiamo! L’addetto è determinato, auspicabilmente, e forte d’animo, convinto del suo Giuramento. Prima di procedere verso il dovere, ha il sacro compito verso Esculapio, di mettersi la tuta protettiva usa-e-getta. Questo passaggio non è poi così difficile. Basta essere meticolosi. Può trattarsi, spesse volte, di una larga calzamaglia, plasticosa e resistente, sulla quale si assicurano due guanti ed altrettante calzature, attentamente chiuse con lo scotch. Sulla testa, invece, viene collocato un ampio cappuccio con maschera trasparente, collegato ad una bombola, oppure un filtro per la respirazione. Le soluzioni possono variare, in base alla pericolosità delle diverse circostanze. E purtroppo, anche in funzione dell’apporto tecnologico a disposizione…

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Robotica è la ricreazione per i mecha-bimbi giapponesi

Japanese Toy Mecha

Il più misterioso ed incredibile dei passatempi, per un gruppo di ragazzi pre-adolescenziali, è sempre il veicolo a motore in scala, che scorrazza per i parchi giochi e fa da calamita per gli sguardi dei coetanei. Tutti lo vorrebbero, ben pochi (genitori) hanno a disposizione lo stanzino per riporlo. Quasi sempre elettrico, prende la forma di un compatto fuoristrada, oppure un’auto sportiva rosa, un camion dei pompieri. È però relativamente piccolo, a misura di bambino, e si muove a un ritmo assai pacato. Quattro, cinque Km orari al massimo, per evitare rischi e improvvidi incidenti. Eppure parla, ai pargoli entusiasti, di un futuro prossimo, di mini-moto e saettanti ruote di go-kart, e anche di un tempo più remoto, ovvero di quando, terminata la stagione della scuola, si andrà in giro con la macchina proprio come i propri genitori. Giungendo qualche volta a deplorarlo, quel volante quotidiano, da stringere ogni giorno per dovere familiare o per lavoro. Ma il gioco è imitazione, come per i giovani leoni che imparano a cacciare, così per gli uomini di un giorno ancora da venire, stregati nell’apprendere i complessi gesti dell’odierna società. Ciò che guiderà tuo figlio, può condizionare il suo futuro. E giustamente, paese che vai…
La Sakakibara-kikai, compagnia produttrice di macchine pesanti per l’industria, con sede nella prefettura montana di Gunma, nell’entroterra dello Honshu, ha un’intera divisione dedicata all’intrattenimento delle giovani generazioni. I suoi giocattoli giganti, addirittura cavalcabili, assumono la forma di veicoli di fantasia, come aeroplanini semoventi, carri armati anfibi ed altre cose. Tra le quali, soprattutto, questi splendidi robot. I KID’S WALKER sono dei “titani” armati fino ai denti, alti all’incirca un metro e mezzo, dal ragguardevole peso di tre quintali e mezzo. L’insieme di un motore a benzina e un certo numero di servomeccanismi gli permette di portare in giro un pilota delle elementari-prima media (o equivalenti classi di studio) inscenando qualche memorabile momento dei suoi manga o cartoni animati preferiti. Non è chiaro quale sia stata l’origine del progetto. Se il tutto nasca, all’improvviso, dalla fantasia di un dirigente padre di famiglia, stanco di applicarsi solamente nei pur rilevanti campi di assistenza all’artigianato e all’agricoltura, che abbia scelto di trasformarsi nell’equivalente materiale di mastro Geppetto, anzi, il Dr. Tenma, lo scienziato che creò il Pinocchio giapponese. Oppure se l’intera venture sia una scelta equilibrata, fatta dai vertici aziendali, sulla base di un vero bisogno di allargare il portafoglio dell’offerta produttiva. Ad ogni modo, oggi, la Sakakibara-kikai organizza tour per il paese con i suoi robot migliori, da mostrare a turbe di possibili guerrieri del futuro. Potenziali difensori del pianeta Terra?

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