Scelte: prenderne una non è sempre facile. Come decidere tra il mare e la montagna, il caffè o la cioccolata, oppure vivere in un mondo moderno piuttosto che pulito. Fortunatamente è possibile, qualora sussistano determinate condizioni, ricongiungere le strade alternative, possibilmente attraverso l’aiuto della tecnologia. Chiunque volesse sciare, ad esempio, mentre si trova in un’isola di appena 96 chilometri quadri, benché fare il bagno risulti purtroppo sconsigliato, potrà dallo scorso ottobre recarsi presso il singolo punto più densamente popolato della Danimarca, quella landa di Amager che è anche un quartiere/parco e luogo commerciale della capitale Copenahen, per arrampicarsi in cima a quello che costituisce assai probabilmente il più singolare, e improbabile, di tutti i metodi per lo smaltimento di rifiuti. Ideato su richiesta della fondazione governativa preposta Amager Ressource Center dallo studio di architetti locale & internazionale BIG (Bjarke Ingels Group) l’Amager Bakke (letteralmente: collina di Amager) costituisce ad oggi la destinazione più importante di tutta la produzione collaterale di materiale non riciclabile nella città, trasformata diligentemente dalle sue fornaci e dinamo in 0-63 MW di elettricità e/o 157-247 MW di riscaldamento a beneficio di tutti coloro che vivono nei suoi immediati dintorni. Il tutto rilasciando, in cambio, nient’altro che copiose quantità di anidride carbonica, bianca ed innocua, dopo l’attenta depurazione del vapore risultante attraverso una serie d’ingegnosi ed innovativi impianti di filtrazione, in un’importante iniziativa di supporto strategico all’arduo traguardo di portare la capitale ad emissioni zero entro il 2025. Detto ciò è indubbio come a colpire la nostra fantasia di osservatori, analogamente a quella dei committenti, dev’essere stato l’espediente usato da Ingels per rendere qui benvoluta tale tipologia d’impianti, generalmente bersaglio d’infinite e continuative proteste civiche, causa l’inevitabile aumento del traffico ed il cattivo odore dovuto ai camion della spazzatura, che comunque dovranno scaricare il proprio carico a livello della strada, per quante misure possano esser state prese al fine di contenere la liberazione di tossine nell’aria. L’Amager Bakke ha infatti la forma, tutt’altro che scontata, di un cuneo discendente alto 85 metri, coronato da una coppia d’imponenti ciminiere. Ma il tetto in questione, piuttosto che essere di un materiale qualunque, è stato ricoperto da copiose quantità di uno speciale materiale verde-erba prodotto dalla compagnia italiana Neverplast, sostanzialmente perfetto al fine di praticare attività sciistiche in assenza di quanto normalmente viene dato per assolutamente necessario: la neve. Così che oggi, nelle giornate di sole, è possibile osservare l’improbabile scena degli abitanti di Copenaghen che piuttosto di fuggire il più possibile lontano dai rifiuti prodotti come conseguenza dell’odierna civiltà industriale, in qualche modo prendono atto della loro esistenza e li celebrano, praticando gli sport invernali sopra una metaforica montagna coperta dalla loro ingombrante presenza prossima all’incenerimento. Tutto perfetto, dunque, o quasi…
ingegneria
Il fulmineo balzo del Me 163, l’aereo più estremo della seconda guerra mondiale
Il maggiore Wolfgang Späte, capo dell’unità top-secret EKdo 16, si era calato nella stretta cabina del suo minuscolo aeromobile rosso fuoco verso la metà di una mattina di sole del 1944, presso l’aeroporto di Brandis, vicino Lipsia. Quella primavera d’altra parte, più e più volte gli impianti di trasferimento del gasolio sintetico di Leuna erano stati attaccati dai bombardieri americani, causando ulteriori danni alla macchina bellica già stanca della grande Germania, non più invincibile come un tempo. Pressoché immobile per circa due ore, salvo l’occasionale movimento per sporgersi al fine di ricevere gli ultimi aggiornamenti dai suoi sottoposti, aveva quindi osservato con aspettativa il cielo, in attesa del primo remoto segno di un nemico. Pensando alla patria, agli amici, alle sue 72 vittorie confermate in diversi teatri di guerra grazie all’impiego di diverse versioni dell’iconico caccia Me 262, al fine di allontanare il caldo ed il senso d’inquietudine latente. Proprio mentre ripercorreva nella mente l’epico culmine dell’ennesima opera wagneriana, quindi, udì un grido dall’altra parte della pista “Achtung, Bomber kommen!” Ci siamo! Pensò. Con un solo fluido movimento chiuse la bolla protettiva della cabina, afferrando con entrambe le mani i controlli. Esattamente mentre premeva il pulsante d’accensione del suo motore a razzo Walter R-1-203, udì gli altri membri dello stormo di cinque aerei fare lo stesso qualche metro più indietro. E con gesto sicuro, premette innanzi la manopola del Me 163 che aveva ricevuto l’onore, e il dovere, di pilotare. Ora normalmente l’accelerazione di un velivolo avviene in maniera incrementale: dapprima con la velocità di un rubinetto d’acqua, quindi quella di un fiume ed infine una cascata in piena. Ma in questo specifico caso, avrebbe piuttosto potuto ricordare il getto di un possente idrante industriale, che aperto al 100%, da lì continuava ad aumentare. Dopo circa 15 secondi di rullaggio, la pista si stava già allontanando sotto di lui ed iniziò a tirare verso di se la cloche; il cielo riempì lo sostituì lo stretto ritaglio di panorama visibile al di sotto dello stretto campo visivo offerto alla sua postazione di comando. E fu allora che li vide, giusto mentre premendo un pulsante ad attivazione elettrica, rilasciava il carrello di decollo, scaraventandolo da qualche parte tra i campi della Sassonia: una formazione di sei fortezze volanti B-25, seguite dal classico gruppo di P-51 Mustang, il caccia americano che tanti problemi aveva causato nell’ultimo anno ai propri connazionali. Egli sapeva, tuttavia, che in quel giorno non ci sarebbe stato alcun combattimento. Soltanto l’ora di pranzo, da parte di un gruppo di falchi veloci come il fulmine e dotati d’un incomparabile potere distruttivo. 10.000, 11.000, 12.000 metri. Inviando segnalazioni sulle tempistiche d’attacco ai membri del gruppo d’attacco, Wolfgang si preparò quindi ad attaccare i bombardieri, con una singola raffica dei sui due cannoni da 30 mm MK 108. Il nemico, lo sapeva bene, non avrebbe neppure avuto tempo di comprendere che cosa lo avesse colpito.
Il Me 163, primo aereo della storia ad entrare il servizio con l’effettivo motore di un razzo verso la fine della guerra in Germania, diventò istantaneamente il caccia più veloce che avesse mai preso il volo, grazie alla sua velocità massima confermata di 1.004,5 km/h, misurata durante le prove tecniche ad opera del pilota sperimentale Heini Dittmar. Una volta completato il suo processo d’attacco, d’altra parte, diventava istantaneamente anche l’aliante più assurdo dei cieli; con i suoi appena 7 minuti di carburante, infatti, il pilota non poteva far altro che spegnere il motore (una scelta in effetti obbligata) ed usare l’ingente spinta residua per planare di nuovo verso la base di partenza, nella speranza che i P-51, P-47 o altri membri della scorta statunitense non riuscissero ad intercettarli sulla via del ritorno. Egli aveva, quindi, una singola possibilità per riuscire nel mettere a terra il velivolo, prima che l’esaurimento della spinta inerziale lo portasse ad uno stallo dalle conseguenze particolarmente orribili, data l’alta volatilità di entrambi i tipi di carburante contenuti al suo interno, situati a pochi letterali centimetri dai comandi di volo. Ma chi dovesse pensare che l’assurda follia di un simile aeromobile si esaurisca in questa descrizione, dopo un mero approfondimento, potrebbe facilmente restare del tutto basito…
Lasciare l’edificio in fiamme sulle ali di un fiore d’argento
Immaginate di trovarvi nel seguente caso: siete in bilico sul davanzale, al 58° piano di un palazzo in fiamme. Le vostre scarpe appoggiate, una di fianco all’altra, sulla morbida moquette dell’ufficio, mentre con le braccia vi reggete alla cornice della finestra inoperabile, dal vetro fatto a pezzi grazie all’uso di una sedia girevole, ora gettata al suolo accanto a voi. I vostri occhi spalancati che scrutano innanzi, verso la porta che si apre in corridoio, da cui proviene un minaccioso fumo nero. Mentre percepite il peso di un oggetto di circa 25 Kg, situato come zaino sulla vostra schiena, che minaccia di tirarvi fuori da un momento all’altro, trascinandovi verso l’abisso dell’ultima non-vita. Ed è allora che contando fino a quattro, siete voi ad anticiparlo, tirando al massimo il lungo pezzo di spago (che in realtà sembra, possibile? Un guinzaglio allungabile per cani) il quale libera l’energia contenuta in un solenoide, riempiendo di gas espandibile la forma rannicchiata dentro a quel contenitore a spalla. D’un tratto, sentite l’effetto di una forza impressionante che vi chiama in Paradiso. E prima ancora che possiate esalare un singolo respiro, andate via…
La questione da considerare in merito al corpo umano è che può anche risultare fragile, ma non poi tanto Fragile! Ragion per cui diverse situazioni, all’apparenza irrisolvibili, possono anche andare incontro ad un epilogo felice. A patto di disporre di un mezzo appropriato che possa essere capace di tirarvi fuori dai guai. Contingenze dal pericolo gravoso, come quelle di un alto edificio che, a causa di un disastro oppur l’intento distruttivo di qualcuno, si è trovato all’improvviso avvolto dall’effetto ed i bagliori della distruzione termica di tutto quello che contieneva. Cosa fare, dunque, quando ci si trova sopra il tratto divisorio tra la vita e la morte? In molti, ahimé, conoscono l’orribile risposta. Poiché hanno conosciuto, in un momento o l’altro della copertura mediatica di tali eventi, il gesto estremo di chi ha innanzi l’impossibile finale decisione, tra morire lentamente soffocati ed ustionati oppure farlo in modo rapido e (si spera) meno doloroso, con il privilegio aggiunto di restare gli unici padroni del proprio destino, fino al tonfo dell’impatto subito seguito dall’oscurità del nulla. Ma se ora vi dicessi che, in futuro, un simile gesto potrebbe anche essere fatto con criterio e la certezza di svegliarsi per vedere l’alba successiva, nonostante sia passata l’ora del disastro fatale? Già, proprio grazie ad uno di quegli specifici sistemi, definiti “soluzioni di salvataggio”, che diverse compagnie hanno avuto modo di proporre, successivamente all’ora tragica delle due Torri, con variabile successo commerciale ed un servizio o due nelle rubriche dei telegiornali. Tecnologa in questo caso russa benché l’attenzione alla sicurezza individuale, generalmente, non trovi collocazione nello stereotipo pubblico di quel paese. Ed in effetti nulla, nel presente caso, parrebbe il prodotto di una sessione di brainstorming alimentata con vodka e musica trance… Escluso forse il rendering pubblicitario, tendente a far apparire l’oggetto di tale promozione ancor più assurdo di quanto non sia in realtà, nonostante il fatto che il funzionamento dello stesso sia una chiara conseguenza dell’Era Spaziale. Capace di traghettare un’ipotetica astronave sul suolo di Marte, oppure voi medesimi oltre il fuoco purificatore, presso questo marciapiede del livello strada che è sinonimo di un altro giorno da trascorrere, serenamente, sulla Terra.
Ultima frontiera della guerra corazzata: un WC russo dentro il carro del domani
Con un sibilo imprevisto, il sistema d’intercettazione reattivo Afghanit scatena l’inferno. Il proiettile nemico, rallentato sensibilmente, impatta contro l’armatura del T-14 Armata con traiettoria diagonale. Colpi, scosse tremebonde, il rombo senza sosta del motore. Un tocco delicato sul sistema di controllo d’armi, in grado di ruotare l’armamento in direzione del nemico. “Fuoco” grida il comandante; ma voi sapete, molto bene, che la situazione sta per prendere una piega totalmente differente. Avete mai provato il senso di quel brivido freddo che vi percorre la schiena? L’orripilante consapevolezza, poco dopo che lo scritto è cominciato, di come avreste fatto meglio dopo tutto ad andare al bagno, piuttosto che ripassare per l’ultima volta gli argomenti dell’esame. Seguìto da quel senso di condanna ineluttabile, l’inesprimibile terrore, di chi sa che non potrà recarvisi per oltre un’ora. Fretta. Sudore. Agitazione. Ebbene ciò è una parte, prima o poi, profondamente inevitabile dell’esperienza umana. Poiché meri esseri viventi siamo, ed in quanto tali, concepiti per sopravvivere grazie a un ciclo che non al 100% regolare. Ma vi sono attimi, drammatici momenti, in cui la società ci vieta d’espletarlo; ed uno di essi, come ben sappiamo, è pericoloso il fronte di battaglia organizzato tra due contrapposti schieramenti di veicoli da guerra: carri armati. Cari amati, oggetti fatti al fine di annientare ciò che si trova all’esterno, ma che talvolta possono finire per fiaccare anche lo spirito dei loro passeggeri. Poiché un soldato, per quanto abile e disciplinato, resta fatto della stessa carne e sangue, e tutti gli altri materiali, che caratterizzano la nostra forma fisica di questa Terra. E questo include, chiaramente, la copiosa risultanza dell’imprescindibile escrezione. Se hai mangiato, devi farlo, se hai bevuto non potrai resistergli. E talvolta, tanto basta a far la differenza nel momento della verità.
Nessun problema! L’UralVagonZavod (Bureau di Progettazione d’Armi degli Urali) ha pensato veramente ad ogni cosa e tale ogni, come largamente trattato negli ultimi giorni dai siti d’argomento tecnologico di questo mondo, non prescinde l’inclusione all’interno del nuovo progetto di carro armato russo, dal costo unitario di 3,7 milioni di dollari ed un peso di 48 tonnellate, un gabinetto “dotato di sciacquone” perennemente disponibile a vantaggio dell’equipaggio di comandante, pilota e cannoniere. Si tratta, in parole povere, del primo carro armato della storia a presentare un tale accorgimento, che oltre a colpire chiaramente la fantasia popolare potrebbe a conti fatti riuscire a far la differenza tra la vita e la morte. Poiché tra tutti i membri della guerra meccanizzata, probabilmente non ve ne sono altri costretti a passare un maggior numero di ore dentro ad una scatola impenetrabile quanto i carristi, pena il rischio di trovarsi pericolosamente esposti nel momento in cui, infine, il nemico dovesse presentarsi all’orizzonte. Ed il bisogno di condurre a greve compimento il ciclo del proprio processo energetico mitocondriale, nella maggior parte delle situazioni, non può che rivestire un ruolo di primo piano a margine di tutto questo. Ora come d’altra parte avremmo potuto facilmente prevedere, tali aspetti chiave della nuova piattaforma d’armi russa restano largamente protetti dal segreto militare, benché sia possibile ipotizzare la presenza a bordo dello stesso tipo di gabinetti normalmente utilizzati negli RV (camper e roulotte) coadiuvato da un serbatoio chimico posizionato in una zona protetta dell’involucro impenetrabile del carro armato. Questo in considerazione, largamente discussa negli ultimi anni, di come il T-14 Armata possa in effetti giungere a costituire uno dei mezzi più previdenti e “sicuri” dell’interno campo di battaglia contemporaneo, quando finalmente entrerà in servizio in un qualche momento imprecisato dell’incipiente anno 2020…