Proietta un videogioco per ballarci dentro

Kenichi

Qualcuno se lo ricorderá, due mesi a questa parte, mentre imitando Neo di Matrix finiva per svitarsi la testa. Difficile andare oltre. Non impossibile! Ieri sera, che sera… Mostri verderana con lingue serpentine! Fanciulle spaziali in fiamme sui bastioni di Orione! Mega-chief-robot tagliati a filetto, shazbot!
Il format TV internazionale dal titolo unificato di “X” Got Talent (Italia… America… Britain…) costituisce, qui da noi e altrove, il trampolino di lancio ideale per quei prodotti discografici che tendono a comparire in classifica tra l’estate e il Natale, con un’ottima risposta del target e guadagni, d’immagine o monetari, comodamente distribuiti su piú livelli: diritti, produzione, distribuzione, pubblicitá… L’industria del talent show é una macchina inarrestabile, che fagocita e riconverte con efficacia le doti di certi suoi protagonisti, purché siano A – Cantanti o B – Cantautori. Il bello di questa serie di programmi per la TV, peró, é anche il modo in cui riescono occasionalmente a far conoscere artisti piú eclettici o particolari, forse meno adatti alla commercializzazione diretta e proprio per questo tanto piú meritevoli di ricevere, per lo meno, un certo grado di visibilitá sullo schermo dei nostri plasma ed LCD, prima di avviarsi all’inevitabile e sfolgorante carriera teatrale. Ogni annata, ogni paese ha sempre avuto i suoi mistici avant-gardisti, portatori di un messaggio segreto al di sotto dell’apparente leggerezza della loro esibizione. E anche l’edizione di America’s Got Talent di questo 2013, attualmente in corso, ha un personaggio che potrebbe incarnare un tale identikit: il ballerino di Tokyo, Kenichi Ebina, proprio colui che, a giudicare dalle acclamazioni reiterate del grande Web, potrebbe pure guadagnarsi l’ambita vittoria. E grazie al canale di YouTube del programma, strumento di marketing d’elezione, anche noi possiamo assistere ai suoi trionfi. Scene da non perdersi, questa come le volte passate. Spento il proiettore, cessata l’estasi della danza, si é finalmente compresa la portata storica del momento. “I miei colleghi si lanciano spesso in lodi spropositate” ha enunciato Howard Stern, l’essenziale “cattivo” fra la triade giudicatrice “Io invece non amo definire qualcuno un genio, a meno che davvero lo sia”. E tu lo sia, snodato danzatore d’Oriente. Il pubblico, meno rompiscatole per copione, pareva elettrizzato.

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La gara degli aerei che atterrano da fermi

valdez

Tutte le cose sono fantastiche, ma se giudichi un pesce dalla sua capacitá di salire un albero gli arrecherai un gran dispiacere. La variabilitá delle specializzazioni é un’importante strumento di affermazione individuale. Da un lato all’altro dell’Oceano Atlantico i cieli vengono solcati da futuribili jet di linea, affusolati e agili quanto uno squalo martello in cerca della sua preda. Tra i piccoli centri abitati dell’Alaska é di casa invece un altro tipo di aeroplano. Il bushplane, placido e piacente come un roseo salmone di fiume, semplice nell’aspetto, si riconosce dal suo gusto spontaneo e un pó retró. Pare costruito, esteriormente, come si usava fare qualche anno fa. Peró si arrampica, dal canto suo, meglio di un lemure equadoregno, purché l’azzurro arbusto del suo desiderio risulti essere un frutto della nostra immaginazione. Ci sono diversi modi per praticare il volo motorizzato. La capacitá di decollare e atterrare in poco spazio, riassunta con l’acronimo inglese STOL (short take-off and landing) consegue da tutta una serie di accorgimenti, variabilmente visibili ai non iniziati. Ciascuno degli esperti in materia ha le sue idee, che mette in pratica con entusiasmo e sapienza costruttiva. Per il tipico pilota di queste regioni, irraggiungibili via terra per diversi mesi l’anno, l’arte di farsi bastare piccole piste, piú o meno improvvisate, diventa un significativo punto d’orgoglio, a suo modo importante quanto la capacitá di seguire alla lettera le istruzioni di un controllore di volo sopra l’aereoporto di un’affollata cittá. L’inverno questi piloti lo trascorrono cosí, passando da un lato all’altro del continente, per trasportare cose o persone oltre le tormente di neve e la morsa dei ghiacci piú impietosi. Poi, ogni volta che arriva il mese di maggio, si riuniscono coi loro mezzi per decidere chi sia il migliore. Lo spettacolo risultante, per chi abbia voglia di apprezzarlo, ha ben pochi eguali in tutto il mondo.

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Cacciatori di un fiume magico del deserto

Rankinstudio

18 luglio 2013, parco nazionale del Bryce Canyon. Il lago Powell, bacino idrico artificiale, riflette placidamente i dardeggianti raggi di un sole che non conosce tregua. Il caldo é feroce, non si avvista una nube e i diversi aspetti del paesaggio, antropico e naturale al tempo stesso, coesistono tranquillamente, sotto il cielo terso di un pomeriggio d’estate. Regna la pace, ancora per qualche tempo… E non di piú. Perché 40 miglia piú a nord, 6 ore prima, si é verificato un grande rovescio di pioggia, improvviso quanto insolito per delle regioni tanto secche degli Stati Uniti. Sulle onde radio, in televisione e da un capo all’altro del web rimbalzano due terribili parole, temute da chiunque abbia mai sperimentato un particolare fenomeno: la flash flood. É questo il nome dell’inarrestabile ondata di detriti e fango che, come uno tsunami, percorre il terreno ben poco permeabile di un precedente letto fluviale, corre a valle e s’infrange caustico contro gli ostacoli, le persone, qualsiasi cosa. Per fortuna, stavolta il mostro serpeggiante non mieterá vittime designate: ben pochi animali sopportano l’arsura di questo luogo e ancor meno individui l’hanno eletto a loro dimora. Se un albero cade nella foresta….? Le aquile di mare osservano dall’alto, distaccate. Per gli uomini é piú complicato. La grande onda ci affascina, ma non andremmo mai a metterci sulla sua strada: spavalderia e curiositá non sempre vanno a braccetto! Per ottime ragioni evolutive. Considerando questo, é un bene che si possa contare su di lui, David Rankin, l’equivalente idro-terrigeno di un cacciatore di tornado. Qui l’osserviamo stupiti mentre, ancora una volta, si dedica alla registrazione diretta di una simile contingenza, cosí feroce e al tempo stesso tanto spettacolare; con lui la moglie e un collega, anche loro dediti alla rischiosa attivitá. L’attesa é spasmodica. Si approntano le telecamere, si verifica il piú probabile punto di passaggio del flusso torrentizio, pieni di ansiosa speranza e reverenziale entusiasmo. Si spera che il fiume miracoloso giunga puntuale, comparendo d’improvviso sul suolo di un arido arroyo abbandonato.

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Porcospino brasiliano che mangia una banana

Kemosabe

Appeso al fitto sottobosco del Sud America c’è un piccolo animale, del peso di 4-5 Kg, con la schiena ricoperta di aculei e un simpatico musetto rosa. Gli erethizontidae, o porcospini del Nuovo Mondo, hanno ben poco a che vedere con il riccio comune europeo, diretto discendente dei primi mammiferi nati sul pianeta; intanto, la stazza è decisamente un’altra storia. La loro coda lunga e muscolosa, simile a quella di una scimmia, gli consente di arrampicarsi sugli alberi con grande agilità. E poi mangiano con gusto le banane. Almeno, nel caso in cui sussistano determinate condizioni.  Durante questa scena in particolare, si può assistere al ricco pasto di Kemosabe, grazioso coendou prehensilis del centro zoologico Animal Wonders, sito nello stato americano del Montana. Lui se ne sta lì, sopra una trave. Il suo costante vociare, simile al verso di un Furby, basterebbe già di gran lunga a renderlo adorabile. La complessa serie di vocalizzazioni prodotte da questa specie, in natura, serve a comunicare la presenza di un pericolo e aiutarsi a vicenda contro i predatori. Usando le sue due manine da procione, dotate di cinque dita ma prive di pollice opponibile, il porcospino tira continuamente su un buffo cestino di vimini, fra le risate dei presenti, forse per abitudine o perché spera di trovarci dentro il cibo. Il premio arriva, invece, per mano umana, già  comodamente tagliato in pratiche fettine. La dieta di questi animali e prevalentemente vegetariana e include foglie, radici, boccioli e corteccia. L’occasionale frutto, per loro, è una vera e propria delizia. Riesce facile immaginarsi, quindi, l’entusiasmo provato da Kemosabe al momento di addentare la giallissima banana.

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