Che fa l’esercito se trova un fiume

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È davvero una dimostrazione puntuale di tecnologia ed organizzazione tedesche, la sequenza operativa che viene mostrata in questo spezzone dello show del 2004 Massive Machines con Chris Barrie, l’attore inglese famoso per la serie fantascientifica Red Dwarf. In cui, durante quella che sembrerebbe a tutti gli effetti essere una vera e propria esercitazione militare, ma potrebbe anche costituire una scena approntata appositamente per la TV, un reparto della Bundeswehr mostra la propria abilità nell’impiego e manovra degli M3 Amphibious Rig, gli unici camion che sono anche hovercraft, isole mobili, ponti… Tutto ciò e molto più, a seconda delle necessità palesate dal corpo di spedizione in cui vengono normalmente incorporati: una colonna di moderni carri da battaglia Leopard 2; oppure nel caso in cui ci si trovi all’altro lato della Manica, di altrettanto temibili Challenger 2; o ancora, per quanto concerne il terzo e quarto degli utilizzatori di simili mezzi anfibi (Taiwan, Brasile) di ben più desueti Leopard 1 ed M60 Patton, benché la situazione potrebbe cambiare assai presto. Almeno, secondo i piani di budget stilati dai governi di un mondo tutt’altro che stabile. In cui persistono, tuttavia, le certezze: che nel momento di un ipotetico ingaggio campale di terra, eventualità già tutt’altro che probabile in uno scenario di guerra moderno, l’addestramento e la tattica possano rispondere soltanto al 65% circa del carico operativo necessario per conseguire un vantaggio strategico a medio-lungo termine. Laddove avanzare indisturbati, persino sotto il battente fuoco delle postazioni nemiche, non significa assolutamente nulla, a meno di poter assicurare il raggiungimento dell’obiettivo in tempo utile, senza subire ritardi dovuti alla conformazione del teatro operativo.
E forse ci avrete già pensato, oppure magari no: far spostare un veicolo cingolato del peso di 62,5 tonnellate (Inghilterra) o 62,3 (Germania) per quanto quest’ultimo sia potente ed inarrestabile, può incontrare più di qualche “piccolo” problema. Primo fra tutti, l’assenza effettiva di un ponte adeguato a sostenere il suo peso, specie in prossimità di un guado troppo largo, e/o vorticoso. Intendiamoci: è l’assoluta verità. I carri armati moderni, generalmente, sono progettati per operare sott’acqua fino alla profondità di 3-4 metri, facendo affidamento su un sistema di prese d’aria rimovibili che gli consente di trasformarsi in goffi  palombari d’acciaio. Ma un conto è dimostrare la fattibilità di un simile approccio nelle condizioni ideali e patinate di un ingaggio “per finta”, tutt’altro è applicarsi ad impiegarlo sul campo di un vero conflitto, in cui l’individuazione da parte del nemico al momento sbagliato potrebbe far da apripista a un’attacco a sorpresa. Fu perciò determinato, nell’ormai remoto 1982, che le forze della NATO necessitavano di un’apparato altamente mobile, sempre pronto all’uso e facilmente schierabile, che permettesse di approntare una struttura di passaggio di corpi d’acqua d’entità significativa, ovvero le difese naturali di un eventuale territorio soggetto ad invasione di terra. Scenario inquietante, a quell’epoca, se mai ce n’era stato uno…L’appalto venne così dato alla Eisenwerke Kaiserslautern, compagnia ingegneristica dell’allora Repubblica Federale Tedesca (Germania Ovest).
Fast-forward di 12 anni; ebbene si, i tempi di simili progetti tendono ad essere piuttosto lunghi. Talmente tanto, che il muro era caduto, il grande freddo finito, e un nuovo ordine globale apparentemente incline alla Pace, pareva essere subentrato alle turbolente correnti politiche del secolo più buio vissuto dall’uomo (ah, beate illusioni!) Era il 1999, e mentre le autoradio di mezzo mondo vibravano al ritmo di I Don’t Want To Miss a Thing degli Aerosmith, il primo reale Trasformer ad uso militare spalancava le sue braccia, ad abbracciare la superficie umida del grande corso del tempo.

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Echi nella pampa: lo strano abbaio del cervo-cane

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Un fruscio tra l’erba sudamericana, un movimento ai margini del proprio sguardo. All’improvviso, in mezzo alla vegetazione, si palesano due orecchie triangolari. Una volpe rossa? A queste latitudini? Con la barba bianca? Poteva sembrarlo, fino a poco fa. Se non che in questo momento, dietro a quel paio di acuti occhi neri, si sta sollevando una criniera scarmigliata, simile per certi versi a quella di iena. E poi, cosa ancor più strana, tutto l’animale parrebbe fluttuare nell’aria fresca della pianura, tanto è distante da terra in proporzione alle sue apparenti dimensioni. Esso avanza lentamente all’altezza di 90 cm circa, senza sobbalzare in alcun modo. quindi fuoriesce  dalla copertura del sottobosco, per mostrare…. Quattro zampe nere, lunghe, lunghe, affusolate. Degne del più leggiadro tra i levrieri o gli ungulati. Che si muovono in alternanza, negli spostamenti: prima le due destra, poi quelle in opposizione. Finché l’impossibile chimera, giunta ormai troppo vicino, apre la sua bocca. Ed inizia a parlare.
Si usa dire che il lupo sia l’antenato del cane, così come la scimmia lo è dell’uomo, ma se lupi e scimmie ancora esistono, come potrebbero mai questi essere i nostri progenitori? Non è attestato, nell’evoluzione così come in qualsiasi aspetto dell’universo, il concetto di un qualcosa che resta immutato attraverso i secoli e i millenni, senza sviluppare dei tratti che derivino in qualche maniera dal suo ambiente naturale. Sarebbe quindi più corretto affermare che, in ciascuno dei due binomi citati, sia presente un punto di partenza in comune. Un precursore, una creatura simile a una delle due rimaste che colonizzò il pianeta, incorporando il seme della propria crescita futura. Proprio per questo si usa parlare di “albero” genealogico, in cui il tronco è antico e solido, mentre i rami molteplici, flessibili e progressivamente più sottili. Certo, non fa piacere pensarlo! Che una creatura elevato come l’uomo, persino all’apice delle sue possenti e variegate civiltà, non possa fregiarsi di una discendenza più onorevole di quella dell’orango, del gorilla e dello scimpanzé. Ma la stessa cosa si sarebbe potuta dire dell’Homo neanderthalensis, e guardatelo ora. Riprodotto nella cera, dietro le vetrose teche dei musei. L’abbiamo (fin troppo) chiaramente dimostrato: noi non siamo figli suoi.
Mentre il genere canis, cui appartengono le mille e più razze del nostro compagno domestico più diffuso, si sa, è piuttosto omogeneo. Non c’è una grande differenza, dal punto di vista genetico, tra un carlino, un pitbull, un alano, o persino la temibile creatura che divorò la nonna di Cappuccetto Rosso. Benché i ruoli e gesti quotidiani, questo è inevitabile, risultino piuttosto vari. Diverso è invece il caso, se prendiamo in considerazione l’intera famiglia dei canidi, della quale fanno parte anche gli sciacalli, i dingo le volpi… Esseri non così distanti nell’aspetto superficiale, ma che presentano caratteristiche altamente specifiche nella dieta, nella dentatura, nella forma del cranio e per innumerevoli altri marker distintivi della biologia. Tanto da costituire, a tutti gli effetti, dei rami ben distinti dell’antico arbusto, il cui punto condiviso è tanto in basso che potremmo situarlo, se vogliamo, anche nel punto in cui s’incontrano le radici; che per inciso, nella classica metafora non andrebbero considerate. Tutto cresce e muta, dunque. Ma talvolta, riesce a farlo rimanendo ben distante dai suoi simili, tanto da mantenere la propria fondamentale identità. Se oggi esistessero ancora gli uomini di Neandertal, che fine avrebbero fatto? Li avremmo riconosciuti come nostri distanti e meritevoli cugini? Nel mondo dei cani, qualcosa di simile è già successo. Purtroppo, nessun lupo accetterebbe nel suo branco un crisocione.

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Il sistema più avanzato per l’affilatura dei coltelli

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Non credo che nessuno abbia mai visto Mr. Wranglerstar più soddisfatto di così. Certo, la premessa non è tra le più insolite: un vlogger di YouTube riceve una grossa scatola per corrispondenza, quindi accende la sua telecamera e si mette a trarne fuori il contenuto per la gioia e l’interesse dei suoi fan. Ma questo non è l’ultimo iPhone. Non è un videogioco, non è un modellino, non è una carabina per fare battaglie con le palle di vernice. Siamo piuttosto, di fronte ad un oggetto (misterioso) proveniente da un settore molto specifico, composto dal più fenomenale assembramento di bulloni, parti in metallo realizzate al tornio, molle, ingranaggi e cinque magnifiche pietre oblunghe, realizzate in fabbrica impiegando l’ossido d’alluminio. In realtà, nella loro custodia c’era posto per una sesta, ma a quanto pare Paul non ne aveva un’altra disponibile al momento dell’invio. D’accordo, sarà meglio a questo punto che chiarisca chi è Paul; per lo meno, nella misura in cui ci è dato di capirlo. Dovrebbe trattarsi, in due parole, di un ingegnere russo. Ma la storia è un po’ più lunga di così. Costui sarebbe l’inventore, infatti, di un particolare meccanismo basato sul vecchio concetto degli affilatori di lame ad angolo variabile, completamente personalizzabile e dotato di una qualità costruttiva del tutto priva di precedenti. Tanto da poter costituire col suo impiego, parafrasando le parole dell’estasiato recensore, già di per se un hobby degno di occupare le vostre lunghe ed appassionate giornate di libertà.
“Osservate qui: è semplicissimo.” Egli afferma enfaticamente in apertura, creando già una giustapposizione quasi comica tra il tono semplificatorio e l’impressionante serie di componenti gradualmente messi in mostra sul tavolo da lavoro, a cominciare da questa pesante base metallica che dall’aspetto potrebbe risultare sufficiente a fissare una lanterna di marina battuta dalle onde del mare in tempesta. Quindi, subito dopo viene il momento del “cuore” della macchina, ovvero il meccanismo che governa il fissaggio e la rotazione del coltello da sottoporre volta per volta al trattamento. Ed è proprio qui, che le cose iniziano ad esulare dalla normalità presunta. Perché l’apparato in questione, attraverso il nugolo di iperboli impiegate da Wranglerstar, si presenta effettivamente come un notevole sfoggio di perizia tecnica costruttiva. C’è un raccordo con guida per il fissaggio dei morsetti in grado di ruotare a 360 gradi, con delle estrusioni ad emicupola che vanno ad incastrarsi a scatto negli appositi alloggiamenti, permettendo un’agevola manovra dell’intero insieme ritornando sempre in posizione neurale e pronta all’utilizzo, da un lato oppure dall’altro. Il che, come vedremo molto presto, risulta essere assolutamente fondamentale.
Il punto è che ci è sempre stato insegnato, attraverso anni ed anni di pubblicità televisiva, che i prodotti tecnologici abbiano lo scopo di ridurre il tempo che dobbiamo dedicare a determinate attività. “Niente più pulire, riordinare, preparare il cibo attentamente!” C’è un gadget per ogni situazione, e ciascuno di essi può permettere, con la pressione di un singolo pulsante, di eliminare dalla nostra agenda una noiosa operazione ricorrente. Basta avere spazio illimitato per immagazzinarli. Ma la vita, a conti fatti, non è mai semplice, e l’esperienza ci dimostra che andare alla ricerca di scorciatoie, molto spesso, comporta un calo qualitativo dei risultati. Così è possibile, senz’altro, affidarsi ai semplici sistemi della pietra ad olio, ben lubrificata prima di passare ad occhio il filo, per poi autoconvincersi di aver fatto un buon lavoro. Come pure del resto, non c’è niente di male nel ricorrere prima di ogni sessione di taglio allo strumento dell’acciaino, il pezzo di metallo con l’impugnatura che ha lo scopo di rettificare, raddrizzandola, la lama. Una volta sperimentato l’effetto di un’affilatura realizzata con metodologia professionale, tuttavia, sarà molto, MOLTO difficile tornare indietro. Quello che nessuno si aspettava, tuttavia, era di poter effettuare quest’ultima operazione in casa, con pazienza, attenzione, e il più formidabile apparato uscito da un’officina nella grande casa Russia…

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Le leggendarie patatine dei penitenziari americani

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Secondo la leggenda, avvenne un giorno che un dipendente di un piccolo stabilimento per la produzione di snacks della regione di New Orleans, che stava trasportando un carrello con i condimenti per il bancale del giorno, inciampò e cadde. Le polverine speziate si mescolarono quindi tra di loro e i dipendenti, preferendo salvarle dalla spazzatura, verso l’ora di pranzo presero la strana mescolanza a grandi pizzichi, la portarono in tavola e la misero sopra le proprie personali patatine. C’è il gusto della paprika, quello della salsa barbecue, il sapore dello zenzero e del jalapeño. Il tutto mescolato in un mistico melange, in grado di rapire i sensi e trasportarli dentro un mondo d’estasi cibaria post-industrialista. Nacquerò così, secondo la leggenda, le Voodoo Chips della Zapp, un prodotto particolarmente diffuso negli stati del Sud, ma che risulta letteralmente sconosciuto altrove, tranne che in alcuni fornitissimi autogrill o in alternativa, grazie alla copia che ne ha realizzato il Keefe Group, compagnia detentrice di un importante monopolio. Che potrebbe anche valere, a voler essere (molto) conservativi, svariati miliardi di dollari l’anno: fornire il cibo a tutti coloro che non possono, per cause di forza maggiore, scegliere dove comprarlo. Creando una sorta di piacevole dipendenza… Finché, una volta ritornati liberi, come capitato al protagonista di questa intervista della NBC, un ragazzo tatuato di nome Terry, non possono far altro che procurarselo su eBay. Ed usarlo, ancora una volta, per preparare il proprio piatto preferito…
Negli Stati Uniti c’è un modo in dire. In realtà, ce ne sono diversi, ma questo è particolarmente rilevante per l’argomento di oggi: “The WHOLE shebang” ovvero, traducendo assai liberamente: “Tutto quanto il mucchio/cucuzzaro/bastimento”. Come spesso capita in simili casi, l’etimologia specifica risulta essere tutt’altro che chiara, e non c’è praticamente più nessuno al giorno d’oggi che ancora si preoccupi di chiedersi cosa esattamente fosse, a conti fatti, uno shebang. Secondo Walt Whitman, poeta di Long Island dell’epoca della guerra civile, si trattava di una sorta di rustica abitazione costruita dai disertori della società in fiamme all’ombra dei cespugli, il più lontano possibile dagli spari di moschetto e i colpi di cannone. Nell’utilizzo del celebre scrittore Mark Twain invece, risalente al 1875 e collocato nel romanzo Roughing It, si sarebbe trattato di una carrozza con dello spazio extra per i passeggeri, un versione modificata dell’inglese sharra-bang, a sua volta una derivazione del francese char-à-bancs. Mentre ciò che conta tuttavia, nell’odierno impiego di una tale terminologia, è molto spesso il sentimento: accettare i fatti della vita l’uno dopo l’altro, senza mai fermarsi un attimo a pensare, senza separare il buono e il bello dal cattivo, il brutto e lo sgradevole, ma fagocitare tutto quanto e trarne quanto meno, un’occasione di apprendimento e crescita personale. C’è sempre una pepita d’oro, persino nelle più oscure e orribili miniere. Ciò che occorre, è illuminare i passi che si compiono con la torcia inestinguibile dell’ottimismo, sempre, addirittura quando si è contratto un debito col karma e con la società civile.
È un fatto noto che gli Stati Uniti abbiano, fra tutti i paesi del mondo, uno dei tassi d’incarcerazione più alti in assoluto. È stato calcolato come in media un maschio bianco abbia in quel paese una possibilità su 12 di finire dietro le sbarre nel corso della propria vita, che cresce fino ad 1 su 6 se è di etnia ispanica, e raggiunge addirittura l’1 su 4 nel caso, tristemente noto, del lungo braccio della legge Vs. gli afroamericani. Ciò succede per le ragioni più diverse: per frode, furto, aggressione, omicidio. Per ragioni reali o qualche volta, gli errori umani di giurie fallibili, nonostante le prerogative. Per il proprio egoismo! Oppure, a causa dell’altrui crudeltà. Resta il fatto che con una parte tanto considerevole di cittadini rinchiusi attraverso i differenti gradi della sicurezza imposta, esista una sorta di cultura parallela, come quella dei vampiri e dei licantropi, o degli agenti/hacker del film Matrix, che prospera e si rinnova in condizioni di difficoltà, generando gli strumenti per combattere (bonariamente) il sistema. Punizione? Meditazione? Rieducazione? Niente di tutto questo sarebbe possibile, se da un estremo all’altro dell’esperienza tutto quello che potesse esserci fosse un senso di raccoglimento e lo spegnimento totale delle sinapsi ritenute, a torto, secondarie. Così rinasce quotidianamente, persino in situazioni tanto avverse, il fascino universale della cucina.

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