1944: lo strano incontro tra i Foo Fighters e la Vedova Nera

“Guardo il cielo in cerca di un segno di vita” cantava nel 1999 Dave Grohl, ex batterista dei Nirvana “Qualcosa che mi aiuti a illuminarmi e ritornare a casa, quando imparerò a volare in alto.” Interessante scelta di parole, quando si considera l’origine del nome del suo nuovo gruppo, prelevato direttamente da una particolare contingenza nella storia bellica del suo paese, gli Stati Uniti. Di cui conservano la precisa memoria un gruppo di aviatori assai specifico, che era solita affrontare le difficoltà di una missione notturna in territorio ostile a gruppi di tre: pilota, cannoniere e operatore radar; in altri termini, l’equipaggio al completo del più grande, costoso e impressionante caccia da intercettazione dell’intero secondo conflitto mondiale, originariamente progettato con uno specifico obiettivo: difendere Londra dai bombardamenti tedeschi. Quel P-61 Black Widow della Northrop che, dopo i lunghi quattro anni di modifiche e perfezionamenti, sarebbe entrato finalmente in servizio soltanto nel penultimo anno di guerra, permettendo il predominio in un’ampia serie d’ingaggi totalmente non-convenzionali. Per aprire incidentalmente la strada ad una nuova, imprevedibile realtà. Un articolo sull’argomento comparve per la prima volta il 14 dicembre del 1944 sulle pagine del New York Times, riprendendo la press release del Comando Alleato in Francia, secondo cui gli aviatori impegnati nel porre le difficili basi per la superiorità aerea che avrebbe dato inizio, di lì a poco, alla cruciale offensiva delle Ardenne e la conquista della Ruhr, concordavano nel rendere testimonianza di una misteriosa “nuova arma tedesca”. La descrizione a seguire, tuttavia, sembrava di difficile identificazione: oggetti dalla forma sferica capaci di apparire all’improvviso all’orizzonte, seguire i loro aerei o compiere virate all’apparenza impossibili, sparendo all’improvviso nel modo stesso in cui si erano d’un tratto palesati. Un particolare squadrone americano, quindi, si trovò associato a tali fenomeni: il 415° Operazioni Speciali “Nightstalker” composto da equipaggi addestrati sui bombardieri leggeri Douglas A-20 Havoc a volare e combattere nel lungo periodo, precedentemente considerato inappropriato, che si estende tra il tramonto e l’alba. Operativi quindi fin dal 1943 nel territorio Nord Africano, i membri di questa insolita elite sarebbero quindi riusciti ad apporre la loro firma in fuoco e fiamme sopra le carlinghe dei tedeschi soprattutto a partire dall’anno successivo, con lo spostamento di stanza in Corsica durante l’invasione della Francia Meridionale (Operazione Dragoon). E non fu certamente un caso, dato come nel febbraio di quell’anno avessero finalmente ricevuto, dopo tanti ritardi e tribolazioni, la possibilità di decollare a bordo del temibile velivolo destinato a renderli più famosi.
Dal punto di vista concettuale, il P-61 non era altro che un esempio di apparecchio progettato attorno ad una singola, ingombrante funzionalità. Quella che gli avrebbe permesso, nelle parole famosamente riportate quasi per caso dal colonnello d’aviazione Laurence Craigie al capo della ricerca della Northrop Vladimir H. Pavlecka “Di individuare gli aerei nemici in condizioni di oscurità totale.” E quindi: “Intercettare i suddetti aerei, al fine di distruggerli con la più totale efficienza.” In altri termini, doveva necessariamente trattarsi di un compatto radar basato sulle microonde, versione miniaturizzata dei celebri impianti che tanto avevano contribuito a cambiare l’esito della cruciale battaglia per difendere la Gran Bretagna. Il cui progetto era stato trasmesso in gran segreto, nel 1940, ai vertici del comando aereo statunitense…

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L’esperienza di venire abbordati da una coppia di leoni marini giganti

D’altra parte, nostro padre diceva sempre: “Una barca può essere la vostra casa via da casa, se soltanto imparate le regole di un diverso stile di vita!” E così pensai di nuovo anch’io, mentre appoggiavo la padella sopra il piccolo fornello elettrico, lo sguardo perso verso il finestrino, tra le onde lievemente increspate dello stretto di Puget. C’è in effetti uno specifico rapporto tra gli uomini ed il mare, nell’area settentrionale del Pacific Northwest, dove il territorio degli Stati Uniti, in corrispondenza del singolo tratto di mare che costituisce anche un confine tra i due paesi, tale da permettere uno spostamento rapido e privilegiato tra le due città di Seattle e Vancouver, Victoria e tutti gli altri centri abitati di questa popolosa regione umana. Attorno a questo elucubravo, quando a un tratto, l’uovo dentro il mio tegame si spostava di qualche centimetro a sinistra; strano! Pensai, l’acqua è stabile e la mano ferma. “Quale insolita evenienza, quale anomalia gravitazionale, quale scoglio inappropriato…” Ma non feci neanche in tempo a completare il filo di uno dei possibili pensieri, mentre con un terribile scossone, mi trovai a reggermi appoggiato al bordo dello scaffale, tutto quello che potevo fare prima di cadere rovinosamente sul pavimento. La barca, inclinata di abbondanti 30 gradi, mentre l’acqua minacciava d’invadere orribilmente la cabina. E fu allora che iniziai ad elaborare l’orrido sospetto, in un attimo riconfermato dal possente suono: “AwoooOooo, grunt!” No…Impossibile! “Grunt, sgrunt” subito rispose, da quell’acqua semi-gelida, una seconda fonte di rumore. Di quel verso, quell’orribile sentore. La provata locuzione del pinnipede, senza concetto del possesso e della proprietà privata…
Il video è comparso all’inizio della settimana sulla pagina Instagram di FishingJosh, ex calciatore della cittadina di Olympia nello stato di Washington, oggi a capo della compagnia di articoli da pesca Spawnyfish, durante un’escursione marittima presso l’insenatura di Eld, raccogliendo ben presto 10 di migliaia di visualizzazioni. La scena che vi compare, del resto, non è del tipo che possa essere facilmente dimenticata: un piccolo yacht a vela si trova sulla superficie dell’acqua, pericolosamente inclinato al punto da imbarcare una certa quantità d’acqua. In quanto sopra ad esso, incredibilmente, si trovano due massicci esemplari di leone marino di Steller (Eumetopias jubatus) dal peso unitario di svariati quintali, prossimi effettivamente alla tonnellata. In un secondo video pubblicato soltanto su YouTube se ne vede addirittura un terzo, che per qualche attimo sembra interessato a balzare anche lui sul natante, prima di cambiare idea perché oggettivamente, non sarebbe mai riuscito a trovare lo spazio sufficiente a farlo. Ed è una fortuna poiché difficilmente, a seguito dell’ulteriore aumento di peso, il mezzo di trasporto costruito per mani e utilizzo esclusivamente umane avrebbe potuto restare al di sopra della linea di galleggiamento, scaraventando tutto il suo contenuto al di sotto dei turbini vorticosi degli abissi della baia.
Visione sorprendente, per noi che non siamo di quelle parti, ma purtroppo niente affatto insolita dal punto di vista dei coabitanti geografici di tale specie. La cui recente proliferazione, iniziata a partire dall’emendamento del Marine Mammal Protection Act del 1972 ed ulteriormente favorita dalle norme per la tutela delle acque pulite, ha portato nell’ultimo decennio a difficili circostanze d’interazione e rapporti possibilmente conflittuali, fuori e dentro le acque dell’intera costa occidentale/settentrionale degli Stati Uniti, Oregon e California inclusi. Detto questo c’è ben poco che possa rivaleggiare, per invadenza, spirito territoriale e mancanza di timore, con la versione sovradimensionata di simili creature frutto dell’ipertrofia da climi freddi, che progressivamente sembrerebbe essersi trasformata nel più imprevisto, ma pervasivo di tutti i problemi animali…

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Centralia, una città condannata dagli oscuri veleni del suo sottosuolo

72 anni sono passati. Ed altri 250, secondo le stime informate, dovranno trascorrere, prima che la terra inizi anche soltanto a raffreddarsi. Quando si pensa ai più grandi errori nella storia dell’ingegneria, ciò che sorge dinnanzi allo sguardo della mente è sempre quella forma riconoscibile della tomba dei faraoni. Con al vertice sottile, il singolo fattore scatenante, letterale o metaforico cerino, sostenuto dai segmenti progressivi dell’incompetenza, distrazione o le ottime intenzioni. Ma alla base del malcapitato mausoleo, le cui conseguenze possono essere letali, non può che esserci la hubris, anche detta tracotanza, quella convinzione dell’umano medio di potersi definire il solo artefice del suo destino. Oppur di quello, se le cose prendono una svolta particolarmente sfortunata, di un’intera comunità di oltre 1.500 persone, destinata a ridursi, progressivamente, a soli 7 individui. E fu così che nel 2002, il servizio postale statunitense cancellò dall’elenco dei codici postali il 17927, corrispondente a una piccola città dello stato della Pennsylvania, decretando dinnanzi alle cronache del mondo il suo assoluto stato di presente, futuro e irrimediabile abbandono. Sarebbe tuttavia profondamente assurdo voler pensare, anche soltanto per un attimo, che tale scelta fosse stata presa alla leggera, quando le sue origini in effetti, possono essere direttamente collegate a una mattina ben precisa, del 27 maggio 1962, quando l’orrido sospetto venne finalmente confermato: che all’interno delle vecchie miniere abbandonate di Centralia, PE, ardeva un vasto inferno di carbone. Le cui fiamme, per quanto incredibile possa sembrare, ancora oggi ardono con enfasi immutata.
Coal-seam fire è il termine tecnico, generalmente usato per riferirsi all’evento catastrofico e del tutto naturale di uno spazio sotterraneo, ricco dei resti fossili della foresta, che all’improvviso sperimenta la combustione spontanea (probabilmente per un’innalzamento improvviso della temperatura) e un poco alla volta si trasforma in brace che non sembra mai riuscire a consumarsi, data la limitata quantità d’ossigeno presente nel sottosuolo. Ed in effetti fu proprio questa, da principio, la spiegazione usata in termini ufficiali dall’amministrazione cittadina dinnanzi agli abitanti, i media e i proprietari della miniera. Finché a qualcuno non venne in mente di collegare, in maniera alquanto semplice, l’impresa di quel giorno stesso relativa all’uso del fuoco per liberare la discarica di superficie nei pressi del cimitero cittadino, designata pochi anni prima al fine di eliminare in un sol colpo diversi siti di scarico abusivo della spazzatura. Discarica composta, nei fatti, da una grande buca nel terreno, sul cui fondo viene ritenuta oggi probabile la presenza di un pertugio insospettato. Collegato purtroppo alle propaggini del dedalo di combustibile color corvino. Fu una realizzazione, da principio, graduale: definita nel momento in cui i cinque membri del corpo dei vigili del fuoco incaricati di supervisionare le operazioni spensero i lembi di fiamme piene di diossina, soltanto per vederle rispuntar di nuovo. Ancora e a distanza di ore, come se qualcosa continuasse ad alimentarle da una sorta di dimensione parallela. Oppure, perché no, sottostante… Nel giro di una settimana, quindi, la situazione non sembrava intenzionata a migliorare, così che la città chiamò sul posto un bulldozer al fine di rimuovere forzatamente la spazzatura infuocata, se non che a un certo Art Joyce, ispettore minerario, venne in mente d’impiegare in-situ il proprio armamentario per la misurazione del monossido di carbonio. Rivelando, in un sol attimo, la vera ed orrida realtà: l’intera miniera aveva ormai ricevuto il dono trasformativo del fuoco. E il destino stesso dell’intera città, contrariamente a quanto si potesse pensare, era ormai segnato…

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X-59: quasi pronto l’aereo che oltrepasserà la barriera del suono in silenzio

Lungo e aerodinamico essere da 25 metri, le ali raccolte lungo i lati a un’estensione di 9 soltanto. Così affilato da non poter sembrare possibile, mentre neppure l’ombra di un finestrino “rovina” la parte frontale del tuo aghiforme muso. Quale potrebbe mai essere lo scopo di una simile meraviglia della tecnica parte della lunga serie degli “X” planes, ennesimo frutto del dipartimento progetti segreti della Lockheed Martin, nome in codice Skunk Works? Era il marzo del 1964 quando, ormai dopo un mese dall’inizio degli esperimenti, una troupe incaricata dalla Federal Aviation di documentarne i risultati tra la gente di Oklahoma City scoprì qualcosa di peculiare. Un gruppo di operai impegnati in un cantiere cittadino, piuttosto che aspettare il suono della propria sirena per andare a pranzo, avevano preso l’abitudine di sincronizzare la fine del turno con il passaggio di un aereo sopra la loro posizione. Il passaggio di un’aereo tanto rumoroso e preciso da non poter semplicemente passare inosservato, così veloce, in effetti, da rompere il muro del suono. E non soltanto… Quello.
Se c’è una lezione che possiamo trarre in effetti dalla serie di test sul volo ultra-veloce condotti dal governo degli Stati Uniti a spese della propria stessa popolazione, più o meno lieta di collaborare, è che l’orecchio umano può abituarsi a tutto; non così, invece, le ancor più vulnerabili vetrate dei palazzi: nel giro delle prime 14 settimane dell’operazione in effetti, la città scelta per il suo “grado di tolleranza” considerato superiore alla media, 147 tra le sole finestre dei due edifici più alti della città erano andate in frantumi. Ed entro l’arrivo della primavera vera e propria, gremiti gruppi di protesta erano stati organizzati al fine di chiedere l’immediata chiusura dell’iniziativa. La famosa operazione Bongo II, come era stata soprannominata, costituisce dunque oggi una delle maggiori basi (più o meno) scientifiche che operano a sfavore dell’adozione su larga scala del volo supersonico commerciale, permettendo nei fatti il superamento della barriera del suono soltanto sopra zone disabitate o le acque dell’oceano. Perché contrariamente a quello che si potrebbe pensare, tale roboante suono perfettamente udibile terra persino dalla quota elevata di un volo di linea, non è un qualcosa di momentaneo che termina alla successiva accelerazione, bensì un vero e proprio cono geometrico in grado di seguire il passaggio dell’aereo, udibile di volta in volta ad una precisa distanza del suo passaggio, PER TUTTO IL TEMPO in cui esso continuerà a muoversi al di sopra della velocità Mach 1. Ecco, dunque, la base operativa del progetto X-59 QueSST (dove Que sta per “quiet” ed SST vuole significare, per l’appunto, super-sonic transport) iniziato su richiesta della NASA nel febbraio del 2016 e con la sola partecipazione di uno dei maggiori fornitori aeronautici dell’esercito statunitense. Verso la creazione di un nuovo velivolo in grado di raggiungere i 1.510 Km/h (1,42 volte la velocità del suono) producendo un “boato” percepibile di appena 60 decibel contro i 105, ad esempio, del Concorde. Un qualcosa di effettivamente paragonabile, in modo prosaico, al rumore prodotto dalla chiusura decisa dello sportello di un’automobile finalmente lasciata nel suo parcheggio. Un proposito questo, ideale continuazione del processo iniziato nel 2003 con la definizione di Shaped Sonic Boom Experiment, finalizzato ad andare ben oltre i semplici F-15B con la forma di ali e fusoliera modificate al fine di limitare la coalescenza dell’aria sopra queste ultime, lasciando il posto ad un vero e proprio velivolo costruito da zero. Sostanzialmente diverso, dal punto di vista esteriore, da qualsiasi altro abbia mai solcato i cieli fin dal primo decollo sperimentale dei fratelli Wright…

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