Mentre il ciclo delle stagioni procede nel suo incedere nella più assoluta indifferenza alle tribolazioni umane, invisibili titani si risvegliano dal sonno millenario, seguendo e anticipando i lenti movimenti delle nostre aspettative. Sono i fronti d’aria calda e fredda, che s’intersecano sopra zone d’interesse, al confine tra i diversi insediamenti e nelle zone d’interesse, per procedere nell’assoluta marcia delle loro conquiste terrene. Ultima vittima: la spiaggia di Hoover presso il piccolo paese di Hamburg, sulle coste del lago Erie nello stato americano di New York. Ai confini di un sistema d’acqua dolce tra i più vasti della Terra, che in funzione di una simile caratteristica, presenta innata propensione a trasformarsi in ghiaccio, non appena le temperature scendono al di sotto dello zero. E questo, a quanto sembra, è normalmente un bene, come hanno scoperto i pochi abitanti invernali dell’insediamento, normalmente usato come luogo di villeggiatura, nel momento del risveglio avuto giusto al termine di questo febbraio 2020, accompagnato dalla strana consapevolezza che l’astro solare, per qualche ragione, dava l’impressione di non essere salito al di sopra dell’orizzonte. Se non che recandosi alla finestra più vicina, essi ebbero la consapevolezza che un qualcosa, come un velo impenetrabile, ne aveva incapsulato l’abitazione, così come l’essenziale porta, tirando e spingendo, non sembrava muoversi di un singolo millimetro. Così molti tentativi, ed enfasi possente, diventarono la prova necessaria per uscire a rivedere il cielo, dall’interno di quel che si era trasformato nella più perfetta manifestazione architettonica della valle del Cocito, quinto ed ultimo dei fiumi infernali.
Gelo, freddo, glaciazione. Nessun tipo di espressione d’uso comune può arrivare a descrivere semplicemente quello che le telecamere delle principali Tv locali si sono affrettate per andare a riprendere, consistente essenzialmente nella copertura integrale di ogni superficie, incluse quelle verticali, da uno strato candido d’impenetrabile acqua congelata, ricoperta di strani bitorzoli e pendule stalattiti. Per l’effetto, contrariamente a quanto titolato dai maggiori quotidiani, non tanto dalla “Magia compiuta dall’inverno simile a quella del film Frozen” quanto a un effettivo fenomeno atmosferico dalle conseguenze spesso gravi, definito in gergo tecnico la glaciazione da effetto lago. Il cui principio, se approcciato con la razionalità opportuna, apparirà tutt’altro che inaudito, bensì frutto della conseguenza totalmente logica degli eventi: 1 – Fronti d’aria fredda si spostano, per l’effetto dei venti, sopra una grande massa d’acqua; 2 – Il calore e l’umidità dell’ambiente sottostante causano la condensazione, e successivo incorporamento, di grandi quantità di liquido all’interno delle nubi; 3 – Quest’ultime, sospinte ulteriormente innanzi, raggiungono il clima continentale dell’entroterra, scaricando spesso copiose quantità di neve; ma ora immaginate la stessa cosa velocizzata di svariate centinaia di volte, causa l’insorgere di una tempesta sufficientemente forte da spingere quantità ingenti d’acqua direttamente a congelarsi sulle case stesse. Con l’effetto di creare la versione più terribile, e inerentemente minacciosa, dell’ideale concetto di una Winter Wonderland…
Stati Uniti
L’unica ragione per cui non esistono i pancake volanti
Durante il primo terzo degli anni ’30, il giovane ingegnere elettrico del Kansas Charles H. Zimmerman con già una carriera alle spalle nella progettazione di tunnel del vento per il National Advisory Committee for Aeronautics (quella che sarebbe diventata, un giorno, la NASA) era un uomo con una visione ben precisa, e questa visione era rappresentata dal prototipico disco volante. Non che fosse provenuto da un diverso pianeta, tuttavia, bensì controllato da un pilota di nazionalità rigorosamente americana, intento a proteggere, o in qualche modo espandere, i confini del possibile immanente. E sebbene tale oggetto del pensiero fosse destinato ad attirare qualche sguardo di perplessità, giungendo a guadagnarsi l’appellativo di pancake (frittella) o flapjack (barretta/galletta ai cereali) volante, tale insolito aeromobile sarebbe stato un giorno non troppo distante realmente costruito, complice l’inasprirsi di un conflitto globale che avrebbe reso i più alti vertici militari aperti ad ogni idea & suggerimento, non importa quanto folli potessero sembrare inizialmente. Ed almeno sulla carta, il futuro Vought V-173, inserito non a caso nel sistema di numerazione della stessa compagnia responsabile per il caccia di grande successo F4U Corsair, di stranezze ne aveva molte: prima fra tutte, la completa assenza di ali in senso letterale, dato che nei fatti, l’intera struttura del velivolo sarebbe stata responsabile di generare l’essenziale portanza. Grazie a un’intuizione assolutamente geniale, avuta probabilmente da Zimmerman durante i suoi studi approfonditi del flusso aerodinamico latente, relativa al fatto che quest’ultimo venisse costantemente modificato, e di frequente compromesso, dall’inevitabile generarsi di vortici al di sotto delle carlinghe di tipo convenzionale. Che cosa sarebbe successo, dunque, egli si chiese, se la coppia di eliche di un aereo bimotore fosse stata disposta in maniera tale da spingere via un simile orpello, liberando in questo modo le più segrete potenzialità del mezzo? Giungere a scoprirlo e dimostrarlo, naturalmente, non fu facile e l’avrebbe infine condotto, nel 1937, a lasciare il suo posto sicuro nei laboratori di Langley per spostarsi a Long Island presso gli uffici della Vought Aircraft Division, dove finalmente, gradualmente, il suo sogno si sarebbe trasformato in incredibile realtà. Non prima di aver dimostrato, tuttavia, tramite la costruzione di un modellino a propulsione elettrica, come il fattore d’efficienza del suo velivolo potesse trarre un improbabile beneficio dal valore d’attrito sviluppato contro il passaggio dell’aria, dimostrato nelle prove matematiche come proporzionale al coefficiente di portanza e direttamente inverso alle proporzioni delle ali. Tale fattore venne quindi definito in gergo “FOO” ed avrebbe confermato come, in ultima analisi, l’assenza del più grande elemento ingegneristico ispirato dalla natura (degli uccelli) fosse dopotutto sopravvalutato, e addirittura superabile mediante l’applicazione di particolari artifici…
New York del 1911, ripresa l’altro ieri
Come se niente fosse, sbarco dal traghetto di Ellis Island, dopo l’obbligatoria visita alla Statua della Libertà. Con aria spensierata faccio quattro passi per il lungomare dell’Hudson, gettando sguardi verso il celebre ponte di Brooklyn, nel tentativo vano di soprassedere alla perplessità delle persone. Che continuano a guardarmi, mentre m’inoltro lungo il corso della 5th Avenue sotto l’imponente forma del Flatiron, tra automobili d’importazione con la guida a destra, carrozze ed il brusio indistinto di una folla che pur essendo numerosa, non raggiunge certo i limiti di quanto avremmo modo di vedere quest’oggi. Tutti vestiti in maniera stranamente elegante, con giacca, cravatta (o cravattino) gli uomini ed imprescindibile cappello, ciascuno intento alla risoluzione di questioni che nonostante tutto, mi riesce difficile riuscire a immaginare. Ed è mentre passo sotto alle rotaie sopraelevate della svettante High Line costruita dalla New York Central Railroad, segno straordinario dell’ineccepibile “modernità” di tutto questo, che il mio essere sfasato sembra allinearsi su un diverso grado dell’esistenza, quasi come se per ogni trascorrere di un singolo secondo, e ciascun atomo all’interno della scena, qualcosa d’inusitato ne avesse creato un secondo. E quindi un terzo, un quarto quantum, proveniente dal reame parallelo della purissima immaginazione! Quello spettro che ogni cosa sovrintende, in questo caso fatto materializzare, dentro e dietro i nostri schermi, grazie all’artificiale cognizione… Digitalizzata?
È pregno considerare come l’infinita ed irrisolvibile sequela di paradossi, da cui non possibile prescindere nel momento in cui si teorizzano o ipotizzano i viaggi nel tempo passato, scompaiono immediatamente soltanto in un caso: quello in cui la leggendaria “macchina” risulti essere, per l’appunto, di un tipo solamente adatto alla foto/video-grafia. Non permettendo quindi di mettere in atto nessun tipo di alterazione sugli eventi, ma soltanto l’acquisizione di un supremo grado di conoscenza, su questioni d’interesse, le epoche trascorse, i nostri stessi antenati. Come una telecamera fluttuante o per restare in tema, magica cinepresa, pilotata in remoto sulla base del potere inalienabile della tecnologia. Che poi costituisce senza dubbio la tipologia d’idea creativa ricreata dallo stesso Denis Shiryaev, informatico e probabile addetto al marketing dell’azienda russa KMTT (Комитет) operante nel campo della pubblicità e (almeno sembrerebbe) le criptovalute, diventato celebre appena un paio di settimane fa per la creazione di un lavoro simile basato sul primo grande successo dei fratelli Lumière, inventori del cinematografo e scopritori del tipo di reazione simile all’orrore che potevi aspettarti dalla folla, nel momento in cui produci sullo schermo l’illusione di un treno in corsa che si appresta ad investirli tutti, nessuno escluso. Opera basata come la sua più recente, per l’appunto, sull’impiego di un particolare strumento tecnologico che pur non piegando le regole dello spazio-tempo, sembrerebbe appartenere nondimeno al regno della pura ed assoluta fantascienza: sto parlando delle reti neurali convoluzionali, baby.
Ovvero l’ennesima dimostrazione che non soltanto i computer possono essere più svelti e avere una migliore memoria degli umani, ma che in determinate circostanze, risultano persino in grado di superarli nella capacità cognitiva che maggiormente siamo certi ci caratterizzi: la speculazione immaginifica delle Ore…
Aquile di ferro: la spensierata precarietà degli operai newyorchesi degli anni ’30
Era la primavera del 1930 quando due alti progetti avviati anni prima si avviavano al completamento nel centro della Grande Mela, innanzi agli occhi carichi d’aspettativa dei suoi abitanti. Entrambi grattacieli destinati a diventare iconici, per il ruolo che avrebbero saputo conservare nella storia presente e futura: il Chrysler Building ed il Trump Bulding, allora ancora identificato con il nome di (Edificio della) Banca di Manhattan o 40 Wall Street. Entrambi destinati ad essere, nell’idea dei rispettivi architetti, il singolo edificio più alto al mondo, portando ad una corsa folle da parte dei due cantieri nell’aggiungere più piani ancòra e ancòra, causando continui ritardi nel rispettivo completamento. Fu in quella fatidica data dunque che il principale progettista della seconda, H. Craig Severance, in piedi dal più alto piano coperto della sua opera osservava in direzione del palazzo rivale, scambiò un commento col suo supervisore principale dei lavori: “Non sembra anche a te che abbiano quasi finito?” Mentre si sistemava il cappello e l’essenziale cravatta, spostati di lato da una folata di vento d’alta quota, compiaciuto dalla meta raggiunta dei notevoli 283 metri. “Sono d’accordo, capo. Gli argani di sollevamento sono stati rimossi e le gru smontate. Non c’è assolutamente alcuna possibilità che il palazzo cresca di nuovo. Diffondo l’ordine di concludere anche il nostro?” Fatalmente, l’architetto annuì. Un paio di settimane quindi passarono, e mentre le ultime rifiniture venivano applicate nel grattacielo, qualcosa d’inusitato iniziò a verificarsi: una punta dalla sommità del Chrysler comparì un poco alla volta, per continuare quindi a crescere, e crescere. Quel furbastro di un William Van Alen! Il progettista dell’altro gigante aveva fatto costruire, in gran segreto, un alto pinnacolo appuntito dentro le vaste sale degli ultimi piani dell’edificio. E adesso, senza colpo ferire, lo stava sollevando, per raggiungere la vetta di 318 metri e con essa, il primato tanto agognato! Per la massima gloria del suo committente, il magnate delle automobili che aveva costruito un Impero. Ed ora, l’avrebbe governato dai cieli…
Prima di ogni periodo di crisi sussiste una bolla, che può rappresentare il momento di massima opulenza e migliori prospettive, per lo meno in via teorica, di un’intero contesto sociale. Ed in questo non fecero eccezione, di sicuro, gli Stati Uniti nell’epoca immediatamente antecedente al Grande crollo di Wall Street. Portando conseguentemente a quella situazione, particolarmente reiterata nella storia, di una classe indotta, tramite le prospettive di un miglior tenore di vita, a lavorare per coloro che impugnavano le chiavi del potere cittadino, sostenuti da una rigida struttura fatta di denaro, privilegi e potere politico multi-generazionale.
Essi avevano un soprannome, che sarebbe stato usato in seguito dal mondo del cinema quasi per caso, per definire un diverso tipo di eroe: Skywalkers, ovvero “Camminatori dei Cieli” ma anche in via informale, “Cowboys” di quello stesso luogo, ovvero gli operai metallurgici sufficientemente spericolati, o folli, da riuscire a compiere l’impresa riportando a casa, nel migliore dei casi, un decente salario per nutrire la propria famiglia. La storia narrata in apertura del secondo più celebre palazzo in stile Art Decò di New York (superato unicamente, anche in altezza coéva, dall’Empire State Building) e mostrata in video dall’affascinante cinegiornale della serie Fox Movietone, che li mostra alla prese con le celebri aquile scolpite in ferro battuto dell’edificio, fu in particolare collegata a quella di una specifica tribù di nativi canadesi, che usavano chiamare loro stessi Kanien’keháka ma che oggi, tutti conoscono col nome di Mohawk.