Provate anche voi ad ascoltare l’inquietante video postato, pochi giorni fa, sul canale di un’abitante della comunità di Witset, fino allo scorso settembre nota come Mooricetown. Finché la sua nutrita componente di appartenenti alle Prime Nazioni, ovvero i popoli nativi della Columbia Britannica, non hanno organizzato una petizione per far tornare il nome tradizionale della città. Non sembra anche a voi uno di quei test psicologici che vanno per la maggiore sul Web? Di che colore è il vestito, blu o giallo? Dove si trova il cucciolo di panda? Stiamo tutti per morire divorati da una mostruosa creatura primitiva? Il primo impatto con la registrazione fortuita di Shelley Wilson non lascia in effetti particolari dubbi: ciò che riecheggia in lontananza non è prettamente umano. Ma neppure, fondamentalmente, del tutto non-umano. Come un grido di streghe impegnate a richiamare il loro maestro in un sabba del gelido solstizio, oppure un essere risvegliatosi dal suo eterno torpore. Le stranezze, prevedibilmente, non finisce qui. In un post di due giorni dopo, datato 18 dicembre, un utente mostra quelle che sembrano due serie d’impronte nei pressi di un bagno pubblico, decisamente sovradimensionate perché possa trattarsi di un umano. Qualcuno, inevitabilmente, suggerisce che siano state tracciate da qualcuno per scherzo, mentre altri ripensano alla donna di etnia indigena sparita lo scorso ottobre, mentre si trovava a raccogliere funghi nei pressi della stessa Kitseguecla Lake Road. Qualcosa si aggira nei dintorni di Witset. Qualcosa di grosso, rumoroso e di potenzialmente parecchio arrabbiato.
A giudicare dalle interpretazioni dei siti specializzati, il consenso online sembrerebbe dirigersi verso una singola specifica entità: l’abominevole essere noto col nome di Sasquatch, leggendaria creatura scimmiesca che si ritiene possa costituire l’ultimo esemplare vivente dell’antico gigantopiteco, ominide della preistoria. Le alternative, del resto, non mancano da queste parti: le genti delle tribù dei Kwakwaka’wakw, più a nord sulla costa dell’Atlantico, hanno per lungo tempo narrato della gigantessa Dzunukwa, un mostro sovrannaturale con l’abitudine di richiamare a se i bambini imitando la voce della loro nonna, prima di portarseli via per sempre nel profondo della foresta. Mentre coloro che udivano simili suoni, sopravvivendo per raccontare la storia e possibilmente uccidendo la strega, venivano onorati dalla popolazione del villaggio con prestigiosi doni attraverso la cerimonia del potlach. È vero del resto, che gli ululati assomigliano in un paio di momenti a una voce rabbiosa di donna, che vorrebbe vendicarsi dei molti torti subiti. Gli appartenenti alla società segreta degli Hamatsa, nel frattempo, venivano messi al corrente della storia di due fratelli senza nome, che in epoca remota s’imbatterono per loro sfortuna nella capanna di Baxbaxwalanuksiwe, enorme individuo cannibale dalle molte bocche accompagnato da tre uccelli, il corvo Gwaxwgwakwalanuksiwe, Galuxwadzuwus dal becco ricurvo e Huxhukw, la gru che succhia il cervello degli umani. Riuscendo poi a fuggire, facendo precipitare il mostro in un pozzo con uno stratagemma., Secondo un preciso rituale, quindi, i depositari dell’antica sapienza ricevono maschere e costumi che gli permettono di ricreare la scena, poco prima di assumere sostanze misteriose per andare a trascorrere un periodo trasformativo di solitudine tra gli abeti della foresta. Ma si dice che alcuni di loro non riescano mai tornare, trasformandosi in esseri cannibali che attaccano i viaggiatori. Strane spiegazioni di un fenomeno ancora più strano. Tralasciando le spiegazioni criptozoologiche e folkloristiche della situazione, dunque, quale può essere l’origine dello strano suono? La community del sito di scambio d’opinioni internazionali Reddit, nel thread recentemente dedicato al caso, non sembra avere molti dubbi: dovrà necessariamente trattarsi di un animale. Il fatto che si tratti di versi non familiari in questi dintorni, del resto, può essere spiegato col fenomeno del mutamento climatico, che con un effetto domino concatenato, ha portato ampie popolazioni di creature a migrare verso le candide lande del settentrione. Il primo consenso, quindi, sembrerebbe concentrarsi sui cervi o le alci in amore, note produttrici di spaventosi muggiti, occasionalmente simili, con la loro inusitata modularità. alla voce delle persone. Ma la sequenza qui rappresentata dimostra, in effetti, qualcosa di strano nella frequenza e la lunghezza del “discorso”, se così abbiamo intenzione di definirlo. Un utente di nome thecastingforecast, a quel punto, offre una serie di prove relative a una terza ipotesi, che da un punto di vista puramente auditivo, parrebbe dimostrarsi del tutto convincente. Possibile che tutto il fraintendimento abbia origine, in ultima analisi, dalle vocalizzazioni di una versione sovradimensionata del comune gatto di casa…
mitologia
Il pilastro che fluttua nel tempio dei giganti
Ci sono luoghi, dall’antica e importante vicenda storica, presso i quali la principale attrazione turistica finisce per essere un singolo gesto, eternamente ripetuto dai visitatori curiosi, secondo un rituale che di ben poco è cambiato attraverso i secoli. Così come i fotografi della torre di Pisa, che cercano d’inquadrare i propri compagni di viaggi mentre ne falsano la prospettiva sulla pubblica piazza, nel territorio d’India dello stato dell’Andhra Pradesh, ben pochi varcherebbero queste sacre mura senza portare con se una tovaglia, un canovaccio, oppure qualcosa di oblungo da far penetrare al di SOTTO. Del blocco granitico da svariate tonnellate, che costituisce una delle molte colonne riccamente ornate del sancta sanctorum del tempio dedicato all’Avatar di Shiva Veerabhadra, presso la cittadina di Lepakshi, non troppo distante da Bangalore. Il quale, in maniera piuttosto insolita, non sembrerebbe poggiare sul pavimento. O almeno non completamente, come ci spiega con precisione l’autore di questo video Dong Trieu, che sembra aver dedicato alla questione una lunga sequenza di pensieri, giungendo infine alla conclusione che nonostante l’esistenza di un “trucco” (la pietra poggia in corrispondenza di un angolo) esso costituisca cionondimeno una delle meraviglie architettoniche della sua intera nazione. Eventualità condivisa, a quanto sembrerebbe, dai precedenti funzionari del governo coloniale inglese, che tentarono di svelarne il funzionamento danneggiandolo e lasciandolo in posizione parzialmente inclinata: un altro punto di contatto, se vogliamo, con il campanile della cattedrale di Santa Maria. L’epoca di completamento per una mera coincidenza poi, non è così distante, visto come le possenti mura di un simile luogo di culto furono messe assieme, con una tecnica delle pietre cesellate ed incastrate fra di loro non dissimile da quella dei edifici Maya di Machu Picchu, durante la dinastia coéva dei re Vijayanagara (1336-1646) per volere dei due governatori e fratelli Virupanna Nayaka e Viranna, affinché al suo interno abitasse in totale ascesi il saggio vedico Agastya. Benché esistano leggende locali che fanno risalire, almeno alcuni degli elementi, ad un’epoca molto più antica. E alla situazione che venne a crearsi per l’amore smodato nei confronti di due donne.
Sita era la diretta discendente della dea della Terra Bhūmi, che scelse di vivere tra gli umani come figlia adottiva del re Janaka di Videha. Riuscendo ad affascinare, con la sua naturale bellezza e l’aura straordinaria, niente meno che il principe Rama, il settimo avatar del dio Vishnu. Se non che i due, scelto di vivere in esilio assieme al fratello di lui nel territorio di Lakshmana, finirono per attrarre l’attenzione del potente Ravana, il sovrano demoniaco del regno di Lanka, che senza la benché minima esitazione, la portò via con la forza. Questa vicenda, alla base della principale guerra del lungo poema epico Mahābhārata, fu alla base d’innumerevoli battaglie, gesta eroiche e sacrifici, tra cui il primo fu quello di Jatayu, l’uccello magico simile ad un’aquila che faceva parte del vasto seguito di Vishnu. Il quale, assistendo dall’alto all’efferato rapimento, si lanciò subito all’inseguimento del re, se non che questi, proprio nel mezzo delle lande desolate, non rivelò il suo vero e possente aspetto. Allora Ravana, nella sua guisa di vero appartenente alla schiatta dei demoni Rakshasa, si sollevò in piedi sul suo carro, con dieci teste e centinaia di braccia, ciascuna delle quali impugnava un’arma terrificante, il ventre rigonfio per effetto del nettare dell’immortalità. I due combatterono nei cieli del mondo, finché inevitabilmente, l’imprudente Jatayu si vide strappare le ali e precipitò rovinosamente al suolo. Mentre il malvagio riprendeva la sua fuga, quindi, Rama giunse sulla scena, trovando l’amico volatile morente. Così dandogli l’estremo saluto pronunciò le famose parole “Le, Pakshi” ovvero in lingua telugu: “Alzati, uccello”. Gli umani, che avevano sentito il suo grido di dolore, decisero quindi di scegliere questo nome per l’intera città, e il luogo di culto che sarebbero sorti sulla scena di un simile tragico evento. Ma il tempio di Lepakshi, che come dicevamo è anche associato al nome di Veerabhadra, ospita al suo interno una statua in pieno armamento bellico di uno spaventoso guerriero, che aveva amato, anch’egli, una leggiadra fanciulla e che se l’era vista sottrarre per un crudele scherzo del fato. Si trattava di una delle personificazioni terrene più terribili del dio Shiva, che dopo un lungo periodo d’impegno spirituale da parte di lei, aveva scelto di lasciarsi conquistare da Sati, la figlia del re che era figlio di Brahma, Daksha. Se non che quest’ultimo, circondato dai maggiori lussi terreni, provava disprezzo per la vita condotta dal genero, che abitava tra i poveri, portava la barba lunga e ricopriva la sua pelle di cenere come i guru itineranti, circondato dall’ordine dei suoi devoti Bhutagana. Così che un giorno, invitata sua figlia a palazzo con la scusa di uno yajna (sacrificio) a Brahma, prese a criticarla di fronte a tutta la corte, ricoprendola di insulti così terribili che la spinse a suicidarsi, gettandosi nel fuoco. Questo fu un terribile errore. Quando Shiva venne a conoscenza della notizia, subito si tagliò un capello e lo divise in due. Da tali frammenti, quindi, scaturirono i due avatara Veerabhadra e Bhadrakali, tra i più pericolosi guerrieri che fossero mai vissuti. Questi si posero alla guida dell’armata dei Bhutagana, e presero d’assalto il palazzo di Daksha.
Le tribù isolane delle monete di pietra giganti
Non scaricheresti il denaro, giusto? Sopratutto se il denaro pesasse 4 tonnellate, ed avesse un diametro di 3,6 metri assomigliando alla stereotipica ruota dei cavernicoli spesso raffigurati sulla Settimana Enigmistica. Immagina mentre rotola, fuori dallo schermo del tuo computer, sopra la tastiera e all’indirizzo di colui che ha premuto invio… Il Bitcoin, considerandolo da un certo punto di vista, è una forma di valuta molto avanzata, ma anche estremamente primitiva. Senza l’autorità di un sistema centrale, che emetta e regoli la sua diffusione, tutto ciò che resta per tracciarne i movimenti è la consapevolezza del gruppo, l’accordo comune tra individui che in circostanze normali, non si fiderebbero mai l’uno dell’altro. E tutto ciò che lo rende possibile, in una società globale di 7,5 miliardi di persone, è lo strumento di Internet, un sistema di macchine considerato, a torto o a ragione, del tutto infallibile e imparziale. Eppure ubbidiente per chi riesce a dominarlo, tramite l’approccio dell’hacking, un metodo di programmazione che opera sulle radici, piuttosto che i rami del grande albero delle transazioni. Credeteci: è già successo più di una volta, con conseguente furto ed inevitabile svalutazione, vista la pur sempre variabile fiducia della gente nei confronti delle innovazioni. E pensare… Che tutto quello che serviva per superare un simile drammatico problema, era “L’assoluta fiducia nel tuo prossimo, inclusi gli antenati e la posterità a venire!” Un qualcosa che qualsiasi società potrebbe acquisire in potenza, se soltanto può mantenersi invariata per qualche migliaio d’anni, lontana da influenze esterne e salda nel coltivare i pregi del suo specifico stile di vita. Certo è che, nel caso dell’isola di Yap, uno dei luoghi più remoti della Micronesia, ad aiutare ci abbia pensato la popolazione complessiva non propriamente spropositata, con appena 11.000 persone distribuite su una terra emersa di 308 Km quadrati, abbastanza pianeggiante e fertile da giustificare l’insediamento di una comunità dei leggendari navigatori polinesiani. Ricca di ogni risorsa tranne una: la pietra. Così che in un momento imprecisato dei secoli ormai trascorsi, tale elemento iniziò ad essere considerato estremamente prezioso. Troppo, persino, per utilizzarlo in architettura o altrove, perché utile per portare a termine diversi tipi di transazione. Benché fosse impossibile, esattamente come avviene per i Bitcoin, spostarla fisicamente dal giardino dell’acquirente a quello del venditore…
Tutto ebbe inizio, secondo una leggenda facente parte del loro corpus a trasmissione orale, con l’avventura del mitico Anasumang, una figura di capo, o grande capitano di solide canoe, che cinque o sei secoli fa intraprese, per primo da oltre un millennio, il viaggio fino all’isola di Palau. E lì vide, per la prima volta, un materiale bianco e splendente come il quarzo, in quantità tale da cambiare per sempre le regole della sua società natìa. Nient’altro che marmo. Si dice che da principio, l’eroico esploratore avesse dato l’ordine al suo equipaggio di picconare faticosamente con i propri attrezzi di pietra le relativamente friabili rocce calcaree, intagliandole nella forma di grossi pesci scolpiti. Ma quando si scoprì, inevitabilmente, come tale approccio comportasse una difficoltà di trasporto assolutamente non trascurabile, si passò all’attuale forma circolare di un disco forato al centro, predisposto per il sollevamento collettivo mediante l’impiego di un semplice tronco fatto passare al suo interno. Nonostante questo, il processo di acquisizione di simili pietre restò sempre estremamente complesso a causa del peso nonché potenzialmente pericoloso, necessitando anche il viaggio per mare lungo un percorso di 457 Km e la contrattazione diretta con le tribù estranee dell’isola di Palau. Così che una volta riportate in patria, le pietre denominate Rai venivano tenute in altissima considerazione, soprattutto se portate fin lì dall’opera di un famoso marinaio, o se qualcuno aveva perso la vita durante la missione per andarle a prendere oltre le onde dell’oceano più familiare. Ciò detto, il loro spostamento rimaneva possibile solamente in presenza di simili figure d’aggregazione, comportando lo sforzo collettivo dei membri di una o più tribù. Una volta che le pietre iniziavano a cambiare di proprietà più e più volte, a seguito di matrimoni, accordi tra i villaggi per la proprietà delle terre, acquisizione di cibo addizionale nei periodi di magra, spostarle di continuo diventò ben presto impossibile. Così che tutto ciò che rimase da fare, fu istituire un sistema secondo cui se una Rai veniva data in pagamento, tutti dovessero saperlo, sottoscrivendo implicitamente l’effettiva esistenza di detta transazione. Senza il benché minimo proposito d’errore. Questo perché a differenza di un registro scritto, la memoria collettiva non può essere modificata. E se pure qualcuno avesse l’iniziativa di mettersi a raccontare fandonie per avvantaggiare se stesso, ci sarebbero tutti gli altri pronti a smentirlo e punire la sua sciocca arroganza…
Le strane architetture della nebbia gallese
Recita il proverbio: “Tre cose non sono facili da far stare ferme: il corso di un fiume, il volo di una freccia, la lingua di uno sciocco.” Si tratta di una Trioedd Ynys Prydein o Triade dell’Isola di Britannia, l’accorpamento di tre concetti distinti in funzione di un singolo tratto rilevante. Sistema tradizionale di ragionamento filosofico, particolarmente apprezzato dai pragmatici abitanti della brughiera. Il che spiega perché manchi la menzione di un perfetto quarto elemento. Che sorge dal suolo a seguito di mutamenti imprevedibili del clima. Che assume forme sempre varie e qualche volta, vagamente inquietanti. Che evapora lasciando la limpidità di un cielo di primavera, quando il Sole emerge dall’orizzonte per gettare il suo possente calore nella giusta direzione. Gli antichi abitanti del Galles la chiamavano féth fíada o in senso lato “foschia magica” attribuendola alle macchinazioni dei Tuatha Dé Danann, gli dei preistorici evemerizzati, ovvero trasformati in uomini dal flusso incalcolabile delle generazioni. Mentre Internet, come suo solito, ha elaborato un altro tipo d’idea: “Si sarà certamente trattato di un ufo che tentava di nascondersi da occhi indiscreti” Ha dichiarato subito qualcuno. Già! Perché non c’è modo migliore di occultare la propria presenza, che coprirsi con un’impossibile cupola biancastra, dai contorni netti che vanno a formare un’impossibile parabola nel bel mezzo del cielo uggioso… Così come, per l’appunto, la scena è stata ripresa qualche mese fa da Hannah Blandford, giovane insegnante di Tremeirchion, nella contea di Denbighshire, mentre era uscita di mattina presto per andare a portare il cane. Esistono visioni che la mente umana può immediatamente metabolizzare, come “Una delle strane cose che succedono a questo mondo.” Ed altre invece, che modificano il concetto stesso di pianeta Terra, in qualche maniera estremamente specifica, eppure nondimeno profonda. Ora della cupola di nebbia, come stringa di ricerca su Google, non vi sono altre notizie o foto che questa singola, specifica evenienza. Mi pare chiaro che dovranno esserci all’opera un qualche tipo di forze misteriose…
Passiamo, a questo punto, a un’ottica d’analisi più prettamente scientifica: tra le teorie più interessanti, c’è quella che definisce lo strano oggetto vaporoso come frutto di un fenomeno noto in meteorologia col nome di “inversione”. Ovvero quando l’aria calda, spinta innanzi dall’energia del vento, si ritrova sopra un’area comparativamente più fredda, invertendo il naturale gradiente della temperatura atmosferica terrestre. Un situazione che può generarsi spontaneamente ogni notte, in determinate zone della Terra prossime al Circolo Polare Artico, oppure per compressione adiabatica altrove, a seguito del fenomeno noto come anticiclone. Una situazione in cui la naturale convezione atmosferica si blocca, causando una temporanea immobilità dei normali processi di ricircolo dell’atmosfera, il che crea un gradiente facilmente visibile ad occhio nudo. Non sempre si tratta di un fenomeno innocuo: famoso resta il caso, ad esempio, del grande smog di Londra del 5 dicembre 1952, quando una vera e propria tempesta perfetta di simili condizioni unita all’assenza di vento creò una letterale cappa d’inquinamento sopra la City, causando danni a lungo termine all’apparato respiratorio di molte migliaia di persone. Pensate che si stima come circa 4.000 persone sarebbero morte, negli anni successivi, in funzione di un simile tragico, quanto inevitabile episodio. È dunque possibile che l’accumulo di sostanze velenose prodotte dall’industria, nel caso della pacifica campagna gallese, sia stato sostituito da un fronte d’aria umida, fatta aderire dall’inversione a una possibile struttura umana, come un granaio o capannone di qualche tipo. In alcune versioni della storia, il calore stesso generato dall’edificio (possibilmente dotato di riscaldamento?) Potrebbe aver contribuito alla formazione di condensa nell’aria e quindi, gradualmente, alla nebbia. Il che potrebbe essere alla base, nei secoli passati, di svariati avvistamenti della piccola, ma operosa famiglia sovrannaturale dei Tylwyth Teg, che in altre regioni del folklore britannico prendono il nome di Fae. Ma al tempo stesso risultare sufficientemente raro perché il mondo digitale, suo malgrado, debba ammettersi ignorante del fenomeno. Non che simili episodi siano del tutto inauditi nella terra di Pryderi fab Pwyll, il leggendario re di Dyfed…