Ci sono 10 tipi di persone a questo mondo: chi capisce il codice binario e chi invece costruisce cose piccole, perché chiaramente aspira a diventare il gran sovrano degli gnomi? Perché vuole dimostrare quanto è bravo e attento nella rilevante circostanza, sopra il banco da lavoro, a percepire i calibri infinitesimali? Affinché i problemi grandi, per comparizione, spariscano dai lati dello sguardo? Le tolleranze calano, in determinate circostanze, e ciascun errore può condurre al fallimento dell’intera operazione. O per meglio dire, costruzione. Di una spada e di un’idea, della pulsione irrefrenabile a trovare nuovi sfoghi per quel folle sentimento, l’incantevole creatività senza uno scopo. Fai attenzione! Fellone(-ino)! En garde!
Inspire to Make è il canale di YouTube che da un paio di mesi insegna per immagini, a chiunque dimostri il giusto grado d’interesse (ovvero, appena un click) come costruire cose profondamente, straordinariamente utili nella vita di ogni giorno; quali un tripode per cellulare, sostegno valido di selfies & altre amenità turistiche dei nostri giorni; un bel portafoglio di morbido cuoio, oppure perché no, un anello fatto dello stesso materiale. E a partir d’oggi, a quanto pare, aiuta pure nel compiere i primi passi nel sublime campo metallurgico dei vecchi armieri, che facevano gli attrezzi di materia inerte ed inflessibile, quali oggi sono i martelli, badili o piccoli picconi, ma! Per scavare via la carne e il cuore dei nemici, sulla polvere dei campi di battaglia consumati dal tonante calpestìo di mille militi infuriati. Ricoperti dalla polvere e dal sangue dei soldati… Che impugnavano, a seconda del bisogno, varie misure o tipi d’implementi. È una tendenza molto interessante, quella che si osserva nel procedere della tecnologia: ciò che è piccolo, gradualmente, lo diventa ancor di più. Nell’elettronica, di questi tempi, come nell’arte bellica applicata, sul finir dei secoli trascorsi. Vedi un attimo, ad esempio, i dardi delle ponderose baliste romane, trasformatisi, a partir dal medioevo, in semplici quadrelli da balestra, piccole freccette sibilanti, seppur capaci di bucare due centimetri di ferro lavorato. E poi proiettili di piombo, ma non andiamo troppo avanti. Mirabile a vedersi, ancor più strano a dirsi: la quale tendenza si osserva, magari in misura meno marcata, anche per quanto riguarda le armi cosiddette bianche, ovvero concepite per il mazzuolamento propriamente detto, quel compito che da sempre trae vantaggio nell’applicazione della forza muscolare. Eppure, eppure. Anche la finezza, conta qualche cosa! Provate, con giganteggiante spadone da mezzo quintale o un’ascia bipenne, ad affrontare un esperto schemidore della più moderna persuasione, allenato a schivare, allungarsi e tendere il suo braccio in rapidi affondi, fulmini di sciabola o fior di fioretto etc. Prima ancora di vibrare un solo colpo, sarete già perfettamente aerodinamici damblé, vista l’alta percentuale di ottimi buchi, così praticati da una parte all’altra della vostra prestigiosa essenza corporale.
Quindi, non serve esagerare, ma piuttosto penetrare (le difese). Come già teoricamente dimostrato da certe sequenze ludico-simulative, vedi l’ultimo Assassin’s Creed, anche uno spillone d’argento per mantelli, se sapientemente manovrato, può porre le basi politiche di una Rivoluzione. Basta trovare il punto giusto per l’inserimento, come si fìa con il gettone, presso le cabine telefoniche dell’altro tempo. Figuriamoci quindi, la ragionevole approssimazione, così piacevolmente tascabile, dell’arcinoto Mr. Excalibur, —Esquire.
metallurgia
Bolidi meccanici da borchie di metallo
Il pezzo senza senso. Come il cuore di un motore, ma strano, grande, portentoso. Con parte centrale fatta per girare, liscia e lustra quanto il ventre di una sanguisuga. Lucide sfaccettature da bullone, sotto denti d’ingranaggio diagonali. Sezioni zigrinate trasversali, utili a trasmettere la forza si, ma di che cosa? Quattro avvitamenti contrapposti e perpendicolari, con l’aggancio per…Sbarre che… Niente, non ci arrivo. Eppure, esiste. Eccolo qui!
Le attrezzature fattive tracciano il sentiero per la fantasia. E non c’è macchina migliore, né più complessa, di un braccio robotico per lavorare l’alluminio. La torretta motorizzata che si muove oscillando tra percorsi disegnati da un computer, posto all’estremità di un giogo elettroni. Il blocco intonso che ruota, vorticosamente, sopra l’aggancio di un massiccio tornio. Mentre ad ogni contatto tra le due parti generatrici, scalpello diamantato e ruvida materia prima, pur se splendente, si separano le scorie dell’inconseguenza: cento lunghi trucioli ritorti, fili di metallo senza fine. Né utilità residua, una volta separati. Sarebbe questa, la migliore esecuzione di un progetto ormai davvero collaudato. Il sistema che consiste nel creare grazie all’uso della sottrazione. Tutto serve, tranne tutto il resto. Come gli scultori delle statue greche, fatte in marmo solo successivamente colorato. Loro che dal fianco di un’alta montagna già scorgevano il titanico dio Chronos, la dea della Terra e quel suo figlio Zeus, con tutti gli altri, pronti a manifestarsi da un passaggio di sapienza operativa, quattro colpi di martello, la doppia Z fatta col cesello. Purché ispirata, direttamente dalla mente di costoro. Li aiutava lo strumento dell’osservazione. Oltre a un carro di buoi, usato per raggiungere il laboratorio. E lì giù polvere, schegge, blocchi piccoli e superflui, perché privi di corrispondenza con la sacra verità. Ovvero il corpo umano. Che esisteva già in potenza, in ogni materiale. Ma si manifesta, questa è cosa noto, solo per la forza artificiale della mimési, sospinta innanzi dal supremo desiderio.
Con il procedere dei tempi ingegneristici, la stanza di creazione delle opere dell’uomo si è evoluta, raggiungendo nuove vette di complessità. Ciò che era un tempo una comune abitazione d’ablazione, forse un po’ più grande del normale, si è trasformata in capannone, poi opificio. E infine, fabbrica. Dove cambiano le regole del mondo tecnico, in funzione della scala operativa. È una forma di miracolosa moltiplicazione: in uno spazio tanto grande, si connota la sostanza di partenza, a pochi metri di distanza e un sol contesto. Non più comanda quel progetto, unico e indivisibile, della Cosa da Produrre. Poiché ne convivono diversi; nascosti sotto il vetro ed il metallo; ciascuno supervisionato, separatamente, da uno specialista; assemblato dalla forza pura della scienza tecnica, applicata.
Chi fabbrica gli stemmi del Trono di Spade
Il regno del fantastico si concretizza grazie alle regioni fluide della mente. Le immagini, non i ragionamenti, danno forma ai territori straordinari dell’ambito letterario. O di quello cinematografico e televisivo. Nel più recente e significativo caso, ce ne sono sette. Regni, non semplici feudi, disseminati in senso longitudinale; dal Tropico del Cancro a un succedaneo Polo Nord, popolato di creature innominabili e perverse. È un mistero, questo, che avviluppa ormai da anni numerosi appassionati, tutti coloro che aspettano con ansia il moto lasco di una penna celebrata, quella di George Martin, scrittore: perché succedono determinate cose? Chi è il mandante di quello oppure quest’orrido delitto? Di chi è figlio Jon Snow? E com’è davvero il suo volto, quello dei diversi fratellastri, quanto svettano in effetti le alte torri del Castello Rosso… I migliori autori abbozzano, non spiegano del tutto. È bello non sapere quasi niente, mentre si leggono parole di una tale caratura! È questo uno stato di grazia, che permette di spaziare più liberamente. Poi è arrivato il telefilm, un vero colossal per la tv. Con tutto il suo carico di forme, raffigurazioni, sembianze chiaramente definite. Il che, se da una parte toglieva i presupposti dell’inestimabile invenzione immaginifica, di chi stava leggendo in-fieri questa serie di romanzi (ancora incompleta) nel contempo apriva il ponte levatoio ad un diverso tipo di ricchezza. Il merchandising derivato, per un pubblico di soli adulti.
Rendere giustizia ad un mondo tanto chiaramente collocato in tempi antichi e truci, non è facile. Anzi, tramite le correnti metodologie commerciali, praticamente impossibile. Entrino, dunque, i moderni artigiani dell’empireo digitale. Tutti coloro che, aiutati dall’alta visibilità che si guadagnano le cose belle, nonché sfruttando a dovere gli strumenti del web marketing, riescono a tenersi attuali commerciando in spade, scudi ed armature. Più altre strane cose, in questi giorni che, spesso e volentieri, gettano uno sguardo indietro, verso gli antenati medievali. Vedi ad esempio questo stemma, fabbricato tramite la tecnica toreutica dello sbalzo, presso l’officina Rextorn Metalwork, sita in Polonia. Sembra quasi di sentire il ringhio della scagliosa bestia, l’enorme metalupo degli Stark. Questa splendida creatura, una delle poche concessioni di Martin verso le tematiche chimeriche della fantasy convenzionale, fuoriuscita dritta dritta dai pericoli della preistoria, che costituisce lo stendardo di una nobile ed immaginifica casata. Qui rappresentata, se vogliamo, con metodi davvero degni del suo nome.
La tecnica dello sbalzo, talvolta definita con il termine francese repoussage, prevede che una sottile lastra di metallo malleabile venga riscaldata fino al calor rosso. Normalmente si usano l’ottone, lo stagno, l’oro, l’argento oppure, come in questo caso, il rame. Il materiale viene quindi posto su un’incudine e battuto sistematicamente, tramite l’apporto di diversi tipi di ceselli, larghi e stretti, angolari o stondati. Ciò che ne risulta, se l’artista è veramente bravo, potrebbe costituire l’equivalente visuale di un bassorilievo ligneo o marmoreo, ma molto più leggero e maneggevole, abbastanza resistente da essere trattato con ossidi e resine, piuttosto che semplici vernici. Un’approccio di rifinitura, quest’ultimo, qui usato tanto abilmente, da riuscire a donare alla creazione una patina scura e lucida al tempo stesso, capace di sottintendere tutta la cupa truculenza e la spietatezza della storia che ha ispirato questo manufatto. E l’inverno…
Costruisce il suo coltello dalle sospensioni di una Jeep
Chi ben comincia è già a metà dell’opera. E non c’è modo migliore di approcciarsi ad essa, che scegliere il perfetto punto di fusione. Trollsky, forgiatore polacco di moltissimi capolavori metallurgici, ci dimostra i meriti del vecchio modo di dire applicandolo alla dinamica dei materiali. Nella balestra di un’automobile c’è un particolare tipo di acciaio armonico, resistente ma flessibile, in grado di tenere il filo come poche altri. Dunque lui, dallo sfasciacarrozze, non ci è andato solamente per far visita, ma con un attrezzo già formato nella mente. Mancava solo una giornata di rumore. Martellando su di un ferro che risplende, quel signore dei coltelli!
Viaggiatori di terre inesplorate si aprono un sentiero tra le fronde. Senza asfalto. Niente macchine con quattro ruote. Resta loro la risorsa dell’ingegno. Camminando innanzi faticosamente, nella mano stringono il machete; la sciabola subtropicale che ha sfrondato mezzo mondo. Destra, sinistra, un fendente dopo l’altro, disboscando portano la civilizzazione. Ovvero il metodo, la procedura che delimita le circostanze: smantellare l’impossibile, rimettendolo in sequenza. Il tempo può essere lavoro, denaro, attrezzo, testa-di-martello, lama solida, persino sacro carburante. Solo se hai presente come fare. Altrimenti, vince la natura, tutto resta come prima. Serve il giusto apporto di creatività.
Immaginate un fabbro di altri tempi, ante-storico, per dire, che dovesse fabbricarsi un arma o uno strumento agricolo, però partendo dai concetti primitivi. Costui, in qualche modo empirico, avrebbe già compreso che il metallo viene dalle viscere del mondo. Dunque, battendo faticosamente sulle pietre, si sarebbe guadagnato una pepita del prezioso minerale ferro. Dieci ore per scavarlo, nella forma di un’ammasso di pietrisco e impurità. Come procedere, a quel punto?