Tutti conoscono la storia di Elena e del suo fatale rapimento, dovuto all’impaziente bramosia del principe Paride, colui che di nascosto la portò con se a Troia. Il suo gesto sconsiderato, dovuto in parte alle manipolazioni della dea Afrodite, portò grandi sventure e tremendi lutti a due fra i più importanti popoli del mondo antico. Eppure questa non fu la sola volta, né la prima, in cui un’intera guerra venne combattuta per l’amore di una donna. Nel corpus mitologico di un paese lontano si narra infatti di una battaglia epocale, la cui portata impressionante giunse a mettere a rischio l’esistenza stessa del pianeta, combattuta da due possenti semi-dei per il diritto di conquistare la personificazione terrena della dea Lakshmi, signora di tutto ciò che è bello e fortunato. Il nome di questa splendida fanciulla era Sita, e delle sue vicissitudini trattano i due più importanti poemi epici indiani: il Ramayana e il Mahabharata. Il momento culminante di tale appassionante vicenda rivive nello spettacolare rito del Kecak, la danza balinese delle scimmie in guerra. L’ammirazione di alcuni movimenti occidentali per le ritualità e l’estetica dell’Induismo, religone strettamente legata alla meditazione e all’apertura intellettuale, talvolta induce a tralasciare i suoi aspetti più conflittuali ed esuberanti. Proprio questi potrebbero invece, a mio parere, offrire una chiave di lettura estremamente affascinante per comprendere quei popoli che la vivono in prima persona. Approfondendo le origini di questa danza sciamanica dell’Indonesia, adattamento di un’antico rito segreto, s’intuisce la presenza di un filo conduttore che fa parte, ora più che mai, del subconscio collettivo e dell’arte popolare della società moderna. Scopriamolo insieme.
Che succede la notte nel centro commerciale
Luoghi solenni, cuori profani. Nel santuario del consumismo, le folle percorrono ieratiche i corridoi monumentali, le sale maestose e i supermarket grondanti articoli colorati. L’ominide urbano, naturalmente affamato di averi materiali e cose nuove, conosce (o così pensa) ogni segreto della sua basilica prediletta, quel fulcro dell’acquisto che il più delle volte viene chiamato centro commerciale. Nell’oscurità della notte, tuttavia, la logica e le umane cognizioni trovano indegno sostituto nell’astruso sogno della ragione. Quali misteri si rendono manifesti dopo la calata delle opache ed acciaiose serrande? Oscuri e strani rituali, ben oltre il mondo diurno dei pensieri sensibili e razionali… Come ampiamente dimostrato, questa è la logica del marketing: alimentare, a suo vantaggio, ogni tipo di fantasia. Cora è la catena di ipermarket di origine francese, fondata nel 1974, che può vantare oltre 100 location sparse in giro per l’Europa. Questo video virale di qualche anno fa, creato sotto pseudonimo da alcuni impiegati del loro grande centro nella città di Rennes, ci offre uno scorcio singolare in merito a ciò che, dietro le porte chiuse di uno di tali luoghi, potrebbe anche svolgersi ogni giorno a nostra totale insaputa. Comincia in prossimità dell’ingresso principale, con una fila di bancali di legno disposti accuratamente in verticale, e procede a mò di onda inarrestabile lungo varie corsie e reparti del negozio. Un gioco del domino, ma diverso per finalità e stile.
Sculture che si trasformano in lanterne cinesi
La carta è un materiale che facilmente trae in inganno l’intelletto umano. Bianca come marmo, opaca oppure lucida, suggerisce un senso di fondamentale impermanenza. Poiché leggera, sembra delicata, effimera. Nell’uso quotidiano, si strappa e rovina facilmente, oppure si macchia e finisce per perdere ogni utilità. Statue di marmo e bronzo, nate dall’opera di antichi artisti, sono giunte a noi attraverso secoli di polvere e maltrattamenti; mai, fino ad ora, qualcuno aveva scelto d’infondere la sua sapienza scultorea nella mera carta. Li Hongbo, ispirandosi alla struttura a nido d’ape di un certo tipo di lanterne cinesi, quelle dette “a zucca”, spesso usate nelle feste dei bambini, incolla l’un sull’altro queste migliaia di fogli, per poi cesellarli e limarli con una fresetta elettrica, riuscendo così, dopo mesi di lavoro, a ritrarre un qualche tipo di soggetto. Quindi, nel momento della verità, basta un colpetto per compromettere il preciso baricentro di una di tali creazioni, causandone l’inarrestabile dispiegamento vermiforme. Ma una volta rimessa in ordine la strana molla slinky in cellulosa, tutto torna come prima. Fluidità delle forme non sempre significa disfacimento, anzi talvolta crea diverse chiavi d’interpretazione. Queste teste allungabili, serpentine, nascondono l’abilità di cambiare aspetto da un momento all’altro. Proprio come gli esseri fantasmagorici di un racconto surreale.
Street Fighter (parzialmente) fatto a mano
In principio era il torneo di arti marziali. Ryu e Ken, lottatori degli anni ’90 alla ricerca dello shotokan definitivo, viaggiavano per il mondo, allo scopo di mettere alla prova la loro possanza e maestria guerriera. Sei bottoni colorati, un grosso joystick e il tipico monitor interlacciato dalle vistose barre nere orizzontali. A quei tempi, non tutti i videogame richiedevano un racconto epico. C’erano, si, Final Fantasy, Dragon Quest… Esistevano molte delle grandi saghe che ancora si affollano, un seguito dopo l’altro, dentro alle attuali console portatili e casalinghe. Ma insieme a loro, dominando il tempo libero e la fantasia degli appassionati, svettavano i ponderosi coin-op, versatili macchine d’intrattenimento elettroniche, disposte ordinatamente lungo le candide pareti delle sale giochi e dei bar. L’unico Anello, creazione tolkeniana, era poco conosciuto allora, appannaggio di bibliofili e lettori di fantasy che si applicassero agli autori più impegnativi; eppure il metallo brillante, in quell’epoca lontana, aveva già un suo potere. Purché si presentasse nella forma di un particolare, miracoloso manufatto: il gettone da 200 lire. Quel dischetto lucido, equivalente al costo di una telefonata, da cui scaturivano interi mondi paralleli, privilegiate vie di fuga dal grigiore quotidiano. Così, noi combattevamo. Tra le pagode inclinate dell’iconico fondale giapponese, scagliavamo i nostri hadouken verso il cielo. Per le affollate strade di un mercato cinese, pieno di ciclisti e galline, bloccavamo i calci fiammeggianti di Chun-Li. Sotto il sole rosso della Tailandia, di fronte al Buddha disteso del tempio di Wat Pho, il nostro Blanka frapponeva il suo flusso elettrico al tuono del pugno della Tigre, lo sfregiato re orbo del kickboxing. Poi, un giorno, in occasione dell’ennesimo remake, comparve lui: Akuma, il grande demone.