L’argenteo pennuto metallico d’Inghilterra

Silver Swan

Passa il tempo, si compiono i gesti, ripetitivi. Mangiando, dormendo, tutti gli esseri sembrano uguali. Le stagioni corrono, inesorabili, come lancette di un orologio. Meccanismi del mondo animale, pennuti. L’identità è nei dettagli: di uccelli che cantano, volano? Ne abbiamo milioni. Splendidi e variopinti, qualche migliaio. D’argento e d’oro, bé, se ne vedono pochi. Come questi, nessuno. Il cigno d’argento del museo di Bowes vive, per così dire, dentro un alto castello. Vi giunse, attraverso le alterne vie aeree del fato, nel 1872. Al suo nido, giorno dopo giorno, accorrono centinaia di esseri umani, per trarne un ricordo, una foto, il video di un incredibile evento. Lui, con eleganza, flette il suo collo. Si risistema le penne. Mangia un pesce. Sempre lo stesso! Vanesio, magnifico cigno. Sei soltanto un automa, non potrai digerirlo…
Nel 1869, John Bowes, figlio del decimo Earl di Strathmore, e sua moglie, la contessa di Montalbo, misero in atto un enorme progetto. La costruzione di un museo delle meraviglie, con gallerie d’arte, sculture, vasti giardini e luoghi di ristoro. Investirono, secondo una stima, più di 100.000 sterline, con l’obiettivo dichiarato di far comparire magicamente, nella campagna inglese della contea di Durham, l’anacronismo di una reggia francese del Primo Impero. Tra quelle mura, progettate dall’architetto Jules Pellechet, avrebbero posto tesori di ogni tipo, dipinti e gioielli. Le manifestazioni fisiche dell’ineffabile mondo dell’arte. Questa, avevano deciso, sarebbe stata la loro eredità al mondo: un’enorme finestra sull’infinito. Come spesso capita, non mancarono le critiche. Nell’orgogliosa Inghilterra vittoriana, si pensava che l’edificio fosse inappropriato, mancasse di una giusta identità nazionale. Persino dalla lontana Germania, Nikolaus Bernhard, studioso d’arte coévo, lo definì: “Sproporzionato, più simile al municipio di un paesino della Provenza”. I tempi si allungarono, al punto che 20 anni dopo, purtroppo, la costruzione risultava ancora incompleta, chiusa al suo auspicato pubblico. I due mecenati, ormai anziani, passarono oltre. Non prima, tuttavia, di aver disseminato le vaste sale di oltre 800 dipinti, varie cose e…Almeno un uccello. Il cigno d’argento di James Cox. Ancora oggi, alle 14:00 di ogni giorno, risuona il suo canto. E quel singolo, dannato pesce nuota in un fiume di vetro, inespugnato.

Leggi tutto

Sotto il segno dell’aerografo spaziale

Spray Paint Art

Centinaia di migliaia d’atomi d’idrogeno, polvere di stelle, dozzine di pianeti variopinti spruzzati gaiamente sulle superfici. Che New York fosse prettamente multiculturale, questo si sapeva, ma del suo lato galattico si parla molto poco. All’ombra degli svettanti grattacieli, tutto intorno ai colonnati della celebre Grand Central Station, fra una traversa e l’altra della pantagruelica Fifth Avenue, oltre i banchetti del gelato e dei panini, l’osservatore attento scorgerà delle finestre, bianche, in un primo momento, e poi subito rosa, viola, gialle o bluastre come nebulose siderali. Portali, ovvero fogli di carta lavorati per pochi minuti. Sono l’opera degli artisti della strada, espressionisti dell’aerografo, che con tecnica semplice (ma efficace) riproducono le astruse meraviglie dell’Universo più remoto. Nel campo della creatività grafica ci sono due registri contrapposti. Da una parte il regno dei metodi, dello studio conoscitivo e dei modelli. Poi, dall’altra, l’improvvisazione pura. Lontani dai musei e dalle gallerie d’arte della tradizione, giovani come questo si guadagnano dei dollari applicando vernice, spostandola di lato, imbrigliandola tramite l’apposizione di coperchietti rugginosi. Perché sminuire questa tecnica? Si tratta di un’invenzione comunicativa, come tante altre, che permette di produrre immagini tendenzialmente simili tra loro, però indubbiamente gradevoli, decorative. Se quel che conta è il solo risultato, questi quadretti della spray paint art sono difficili da criticare, facili da appendere a parete. E in fin dei conti, il merito che hanno, più che nell’ambito del prestigio misurabile, rientra in quello della filosofia. Miliardi di secoli nel nostro passato, con botto fragoroso, secondo le simulazioni e la teoria dei fisici, la materia si espanse in ogni direzione, costituendo galassie, stelle, pianeti e altri astri rarefatti. Non con calma, frutto dell’ingegno, ma tramite il sentimento della folgorazione, l’ineffabile casualità, si giunse all’attuale stato delle cose. Rappresentando il cosmo, si dovrebbe pensare a tutto ciò, includerlo nell’arte del momento. Il graffitaro, come questo suo vicino concettuale, l’artista galattico della mini-bomboletta, dedicano il tempo al solenne immaginare, piuttosto che al materialistico creare. Quest’ultimo gesto, a causa delle implicazioni tipiche di quel mezzo espressivo, si compie in due, tre, quattro minuti. E per giunta, all’incontrario.

Leggi tutto

Il bruco che squittisce quando disturbato

Usutabiga

Il grido d’imbarazzo della giovane larva di Rhodinia fugax, la falena pelosa del Giappone, risuona del pathos dell’effimero e del senso dell’impermanenza di ogni cosa. Lei era lì, sul suo ramo, quando quella grezza mano umana si stringeva, con presunzione, sul suo splendido didietro. Un altro tipo di bruco, al suo posto, si sarebbe vendicato con propaggini pilifere urticanti. Non lei. Sottoposta alla molestia delle virginali e candide pudenda, come da prerogativa della sua disarmata specie, si è invece limitata a strofinare le mandibole d’insetto tra di loro, producendo un suono non dissimile da quello di un giocattolo per cani, quando masticato. Facile riesce immaginare quanti gufi affamati, cornacchie avide, batraci famelici e altri esseri carnivori, sottoposti a un tale suono tremebondo, siano scappati, nei secoli, letteralmente a due centimetri, oppure quattro di distanza. Probabilmente, nessuno. Gustando l’agognato pasto, al massimo, si saranno chiesti come mai quel bruco, in particolare, squittisse come un topo. Talvolta, ed è questo il caso, gli strumenti di difesa evolutiva finiscono per trasformarsi in semplice prerogativa ornamentale. La Natura funziona come una corsa agli armamenti. Mossa e contromossa, preda e predatore, lascia che ciascuno sviluppi gli strumenti adatti a prosperare, a discapito di altri. E il suono emesso da quel bruco, dal punto di vista della sopravvivenza, oggi ci pare così fine a se stesso. Se non per un fatto, in particolare: quello di renderlo assolutamente adorabile. Tutto considerato, niente affatto un brutto affare! Negli stretti di Shimonoseki c’è una tipologia di granchi, gli heikegani, che secondo una leggenda sarebbero la reincarnazione dei samurai sconfitti di un antico clan. Sul loro ventre, a guardarli, si può scorgere l’immagine di un volto. Si dice che quelli che ne hanno uno più marcato, vivido e somigliante, vengano risparmiati dai pescatori, come forma di rispetto per la Storia. Nell’epoca moderna, affascinare gli uomini può bastare per giungere, tutti interi, al giorno dell’accoppiamento.

Leggi tutto

Percorso motoristico per scatole di cartone

Box Gymkhana

Famosa è l’immagine del bambino a Natale che, una volta scartati i regali trovati sotto l’albero, decide piuttosto di giocare con le scatole. Castelli, diventano, rapide astronavi, fortini e fortificazioni. Armature, rifugi,  gusci della tartaruga. E poi alla fine, inevitabilmente, automobili sportive. Strano, a pensarci. Non c’è quasi alcuna somiglianza. Mancano le ruote, il motore, il volante, i fari, i sedili, leva del cambio, i tergicristalli, il portabagagli e l’aria condizionata. Basta l’immaginazione. Gli adulti osservano basiti, tali e tante ore, passate dai giovani se stessi nell’immoto scatolone, facendo BRUMBRUM e agitandosi per una curva che non c’è, non ci sarà mai, con faccini tesi e concitati. Si chiedono, allora che l’ho comprata a fare, tutta quella roba? Tanto valeva procurarmi un surplus dal supermercato. Eppure, simili processi di svago sono un passaggio fondamentale, dicono i didatti, dello sviluppo intellettivo. Quei costosi giocattoli, temporaneamente accantonati, avranno ciascuno il suo momento, nei giorni, nelle settimane a venire. Però prima prosperi la fantasia, che fa di tanto poco, l’infinito. Ma qualcuno giustamente potrà dire: “Se mio figlio vuole la macchina, quella deve avere, niente più!” Per sua fortuna, un marchio americano, la Razor, produce da qualche mese il prodotto perfetto all’occorrenza. Che compare in questi giorni nel nuovo virale di YouTube, caricato sul canale ufficiale della compagnia. O meglio, che appare a sorpresa, da una scatola, nel finale.
Il setting è di sicuro effetto: siamo di fronte al debutto di un aspirante eroe dell’automobilismo, il newcomer “Ken Box” (Ken la scatola) emulo proprio di colui che più d’ogni altro ha saputo trasformare uno spettacolo di auto in successo internettiano, con le sue imprese al limite del possibile. Stiamo parlando, ovviamente, del quasi omonimo Ken Block, il pilota, imprenditore nonché maggiore promotore della nuova specialità pseudo-rallystica della gymkhana, la prova di guida e abilità, che si compie su tracciati creati all’occorrenza. Fra coni, salti, slalom e sgommate, che si affrontano a bordo di auto da strada con preparazione specifica. Famosa, in particolare, è quella sua Ford Fiesta, dalla riconoscibile livrea verdognola, dedicata all’altro energy drink. Tanto che basta la sua immagine, sulle pareti di un cartone, per dar fuoco alle polveri della festa. Occhio al gorilla!

Leggi tutto