Giocattoli magnifici di un falegname giapponese

Kinohaguruma

Decine di ingranaggi, meccanismi complessi quanto quelli di un orologio, incastri tecnici al millimetro e leve piene di potenti implicazioni. La natura fondamentale del giocattolo è la simulazione, mentre il materiale principale, fin da principio, è sempre stato il legno. Nei mezzi da cantiere e le altre cose assemblate da Kinohaguruma, successivamente messe in mostra presso il suo incredibile canale di YouTube, pare albergare la scintilla di una sorta di sincera utilità. Gli elfi stessi di Babbo Natale, dovendo edificare nuove dependance dei loro stabilimenti senza fine, utilizzerebbero probabilmente attrezzature affini a queste. Non è forse necessario, persino al Polo Nord, poter disporre di uno scavatore? E di una gru, di un mezzo di trasporto semovente grazie all’energia di un motorino… Di certo, tutto inizierebbe allo stesso modo, così: tagliando, grazie all’impiego di una sega a nastro, dei cubetti di ghiaccio adatti per costituire le pareti dell’igloo. Esattamente nella stessa maniera in cui lui, ad ogni superamento della prima fase di progettazione, fa con le assicelle e i cubetti di pino, faggio e tutto il resto. O per essere maggiormente specifici, come mostrato nel video specifico, il suo ausilio principale è la maneggevole, poco ingombrante bandsaw, uno strumento automatico da taglio in cui la lama, piuttosto che scorrere infinitamente, fa su e giù, su e giù. Vederlo all’opera ricorda molto da vicino l’immagine di un sarto con la macchina da cucito, tranne che invece che unire la stoffa, lui separa i pezzetti di legno al fine di produrre cose inaspettate. C’è qui la chiara dimostrazione, per chi avesse ancora dubbi, di come talvolta il giusto grado di sapienza manuale sia impossibile da rendere obsoleto. Immaginatevi produrre cose come queste attraverso il metodo moderno, ovvero utilizzando macchine da taglio CNC. Dover programmare, attraverso l’uso di un computer, le precise dimensioni e ciascuno degli incastri rilevanti! Sparirebbe l’immediatezza e forse anche il piacere. Ci vorrebbe, per la prima e unica volta, anche assai di più.
L’artista parla a lungo, presso il profilo del canale e nel suo sito web personale, di come lui non abbia mai prodotto queste meraviglie a fini commerciali. Definendole piuttosto un suo regalo alla famiglia, e indicando esplicitamente moglie e figlio come unici proprietari di ogni prezioso pezzo fuoriuscito dalla sua officina. Ma nonostante questo, pubblica orgogliosamente le numerose copertine di riviste di settore, i premi e i riconoscimenti ottenuti nelle mostre di portata nazionale. Niente di cui stupirsi, direi. Le sue creazioni paiono provenire da un universo alternativo. In cui non solo l’epoca della plastica, ma neanche quella del metallo, sono mai subentrate al naturale approccio di chi abita la Terra: appoggiarsi alla vita vegetale, non soltanto per fagocitarla. Ma anche per trarne gli oggetti di uso quotidiano, favorendo un ciclo di trasformazioni che da sempre alberga nello stelo dell’imprescindibile realtà.

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L’allegra carica del ragno-cane

Cane ragno gigante

E allora tu conoscerai la PAURA di essere inseguito da un ragno gigantesco. Dieci chili di zampe, peli e un probabile veleno micidiale. Con la lingua penzoloni, gli occhi strabuzzati fuori dalle orbite e la coda che si agita festosa. Un mare di saliva… Con questa sequenza siamo giunti all’ultima frontiera degli scherzi buffi a beneficio della digitale collettività: piuttosto che mettersi direttamente in discussione, questa volta, il genio del settore SA Wardega ha qui bardato un buffo ma simpatico cane, metà volpino, metà mistery e naturalmente, per la terza sua metà, una bestia mutante all’inseguimento degli inconsapevoli passanti. Per giocare o farsi nuovi amici, perché il cane in questione non dimostra una comprensione concettuale dell’abbigliamento – soprattutto il proprio. E senza fermarsi alle apparenze, per caso oppure ingenua volontà, fa le feste a tutto e tutti, nonostante l’orrido aspetto di ciò che porta sulla schiena. Che sarebbe, praticamente, la ragionevole approssimazione dell’esoscheletro di un aracnide, scartato a seguito di una sua crescita ancor maggiore. Un chiaro frutto delle cose innominabili che si aggirano nella notte.
Terminata la scena di apertura, in cui un inquietante troll deforme, con gesto imperioso, libera la belva dodecapode (4+8) in mezzo a un parco cittadino, inizia la reale burla. E forse la prima scena del video, fra tutte quante, è quella che genera maggiormente un certo seme del dubbio sull’autenticità dell’intera operazione: un giovane con due sacchi della spesa apre una porta e si ritrova innanzi la creatura. Senza pensarci un attimo balza indietro e scappa via, nonostante la luce piena del vicolo potesse ampiamente bastare a dimostrare la vera natura delle cose. L’immediato quanto enorme successo di questo genere di candid camera, del resto, è un fatto largamente noto: da ieri sera, l’ora del caricamento, questo video ha già ottenuto oltre due milioni di visualizzazioni. Cosa vuoi che sia, al confronto, convincere qualche amico a fare finta di essere un tremendo credulone! Però il bello è proprio questo: resta sempre il dubbio. Esiste pur sempre l’aracnofobia, che fra tutte le paure psicologiche ed irrazionali, secondo studi sociologici recenti, sarebbe una delle maggiormente diffuse al mondo. E va pure detto che il costume, così collocato in movimento sopra il cagnolino, genera illusioni veramente interessanti. Le zampe del ragno, semi-flessibili, paiono muoversi autonomamente. Mentre, come nell’ormai celebre costume meccanico da dinosauro, la parte inferiore dell’interprete tende facilmente a scomparire. Non sarebbe forse poi così difficile, presi alla sprovvista, cadere vittime di questo scherzo.

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Drone contro pecorone, solo lui la spunterà

Ram Drone

Un’ape gigante. Dal cuore pulsante. Quattro ronzanti eliche, una telecamera squadrata. Con l’occhio placido e le lunghe corna spiraleggianti, egli l’osserva mentre scende presso la sua corte rigogliosa. L’oscuro signore del bosco pedemontano non ha dubbi: questa cosa è l’opera dell’uomo. Ancora una volta, come fatto con i suoi antenati candidi e lanuginosi, l’invasore neozelandese ha portato qualcosa presso i boschi oscuri dell’antico mondo. E dopo l’ha lasciata lì, libera di fare il suo bisogno. Le tredici tribù percorrono, da nord a sud, queste strade splendide delle due isole di un arcipelago, accogliente. Ma talvolta insidioso. Sono, costoro, le pecore perdute. Così può capitare d’incontrare una creatura come questa, l’ennesima orgogliosa erede della dinastia merinos, gran risorsa della vecchia Spagna.
I droni non sono così propensi alla rivolta. Collegati da un sottile ponte d’onde radio all’ombelico di un telecomando, trovano la massima soddisfazione nel portare a compimento la missione di giornata. Risultando disposti, addirittura, a rischiare la propria robo-incolumità soltanto per una manciata di preziosi fotogrammi, sopra l’acqua, tra le nubi, oltre i palazzi di città inconsapevoli e spietate; mentre la pecora è libera, incostante. Come può esserci una comprensione di qualunque tipo, tra queste contrapposte verità? Sembra quasi di sentirgli dire, al cupo abitante: “TU-NON-PUOI-PASSARE” Nello stile cinematico del vecchio Gandalf, benché il suo aspetto complessivo, con massima evidenza, ricordi piuttosto l’altra parte di quella drammatica battaglia. Ma non c’è cattiveria, in questo Balrog veramente meno fiammeggiante. Placido e piacente. Giusto un po’ di testardaggine, e la testa (dura) per portarla fino alla fatale conseguenza. Perché mentre la mucca mangia solamente l’erba, ruminando con lo sguardo a terra, la pecora talvolta preferisce fare il bruco. E masticando foglie, il pericolo lo vede da lontano. Colpisce il drone, lo scaglia nel cespuglio. Poi colpisce pure il proprietario.
Si, Buddhanz1, l’hai trovato. Il Sacro Graal di chi va in cerca di video virali, la chiave innegabile di un vasto successo internettiano. L’ariete arrabbiato, una nostra vecchia conoscenza, che tu hai recentemente battezzato Ram-bro. Grande avversario delle moto, portatore di GoPro, ultimo guerriero di una landa ormai civilizzata. Colui che ruba popolarità e un alto numero di click, ridistribuendola attraverso lucide testimonianze battagliere. Se anche lo sceriffo di New-Nottingham dovesse venire ad arrestarlo, causa dronecidio, il pecorone tornerebbe presto libero in potenza. Tutte le pecore neozelandesi possono trasformarsi in Rambro. Questo nome non è un individuo ma un’idea. E già suo stesso sangue cresce, sotto l’ombra della libera faggeta…

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Finché non giunsero alla forgia di Damasco

Forgiare un martello
Torbjörn Åhman forgia un martello da forgia del peso di circa un Kg e mezzo

Ogni forma di tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia. E come Arthur C. Clarke, l’autore di Odissea nello Spazio, ben sapeva questa cosa il Grande Yǔ, semi-mitico fondatore dell’antichissima dinastia cinese degli Xia (XXI-XVI secolo a.C.) e primo fabbro fonditore nella storia dell’umanità. Non a caso, tra i suoi molti titoli spiccavano traforatore delle montagne e il minatore felice che bonifica la terra. Secondo la fondamentale opera Memorie di uno storico, scritta dagli studiosi Sima Tan e Sima Qian durante il regno molto successivo dell’imperatore Wu (140 – 87 a.C.) questo grande civilizzatore aveva ricevuto in forma di tributo, dalle nove province del suo regno, altrettanti carichi di un prezioso metallo: il bronzo, fondamento delle arcaiche civiltà. Non contento di impiegarlo solamente per forgiarne umili spade o zappe, l’eroico governante fece dunque portare una significativa parte del materiale all’interno della sua officina personale. E proprio in tale luogo, lavorando giorno e notte per un tempo imprecisato, ne trasse nove enormi calderoni a tripode, riccamente decorati, ciascuno del peso di 30.000 Jin (7 tonnellate e mezzo). L’aspetto maggiormente affascinante di questi giganteschi oggetti rituali, destinati a diventare il modello dell’intera produzione bronzea della Cina antica, era il modo in cui presentassero dei fregi geometrici, e figure di draghi o altri esseri mitologici, non semplicemente realizzati a bassorilievo. Bensì tratteggiate in tre dimensioni, attraverso l’incorporamento sulla superficie metallica di una diversa qualità di metallo, con caratteristiche e colorazione in assoluto contrasto. È soltanto naturale, in un mondo che si perde tra le nebbie occulte della storia, identificare in un tale maestro dell’ingegneria il principio ultimo della divinità.
Nell’antichità d’Occidente, tuttavia, non siamo mai stati governati da un grande forgiatore. La civiltà greca, tra i suoi molti immortali, celebrava l’epica opera del dio Efesto, figlio di Ares del conflitto armato, e di Era, la personificazione femminile della Terra stessa. Egli aveva costruito, nella sua fucina sotto l’isola di Lemnos, ogni sorta di stupenda meraviglia: il carro del Sole, l’arco di Apollo, i sandali di Ermes, addirittura lo scudo del grande Zeus, ovvero la mitica Egida in grado di scatenare di tempeste. E inoltre riforniva di armamenti, fin dall’epoca della guerra di Troia, i principali semi-dei e tutti gli altri eroi dei piccoli e insignificanti umani. Era un genio e un fenomenale inventore, in grado di costruire, secondo alcune tradizioni, figure antropomorfe nel metallo e nella pietra, in grado di muoversi e parlare, veri e propri robot dei primordi, anticipatori dell’androide asimoviano. Ma anche un bruto sregolato, che venne cacciato dall’Olimpo dopo aver tentato di stuprare la sapiente Atena, precipitando lungo una catena fin dentro le viscere del mondo. Si parla sempre del creatore e dei suoi maggiori successi e fallimenti, dimenticandosi le umili origini del suo mestiere. Prima del primo fabbro dell’intero universo, non esistevano nemmeno gli strumenti del mestiere: nessun incudine o tenaglia, soltanto il fuoco eterno e periglioso. Persino il martello, con cui battere insistentemente il canto ritmico della tecnologia, era soltanto un aleatorio sogno nella mente dei sapienti.

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