Come correvano i cannoni d’Inghilterra

Royal Field Gun Race

Il concetto della competizione sportiva come una fonte di pura soddisfazione intellettuale è un’invenzione piuttosto recente, che nasce dalle garanzie di un mondo benestante, industriale e moderno. Persino adesso, sui campi delle Olimpiadi estive e invernali, si respira un’aria tutt’altro che pacifica, con frecce volanti, fucili squillanti, giavellotti spiraleggianti ed altri implementi similari, che soltanto in tempi molto recenti hanno perso una buona parte delle loro connotazioni naturalmente guerrafondaie e deleterie, surclassati da nuove, più letali tecnologie. C’è però la tradizione secolare di uno sport praticato unicamente dalla Royal Navy, la marina militare inglese, in cui la preparazione atletica dei partecipanti trova la sua applicazione in un contesto ancor più strettamente legato alle guerre di oggi, proprio perché nato negli anni turbolenti di un’epoca, e una sfortunata regione geografica, che ancora risuona dell’eco dei colpi dell’artiglieria. Praticamente, quelli erano gli stessi cannoni che qui rivediamo, in un video del 1997, trasportati a spalla da due gruppi di soldati, nel tentativo di guadagnarsi l’ambìto premio di un modellino in bronzo, commemorazione di una delle battaglie più famose della storia britannica moderna. La statuetta in questione rappresentava una squadra di marinai al momento dello sbarco dalle navi HMS (Her Majesty’s Service) Terrible e Powerful sulle coste del Sudafrica, a 1500 Km circa da Città del Capo, nel 1899. Furono loro che, seguendo un ordine quasi impossibile dell’allora capitano Percy Scott, smontarono 6 potenti cannoni navali per portarli lungo un tragitto accidentato, oltre aspre colline e fin sulle mura di una città assediata. E salvarono la situazione.
L’episodio si svolse a Ladysmith, un importante centro abitato sito fra le due Repubbliche Indipendenti Boere, fondate dai pionieri e dagli agricoltori, detti afrikaner, che si erano imbarcati per cercare fortuna all’altro capo del mondo. Come ogni altro luogo remoto di quel particolare frangente storico, però, apparteneva, almeno in teoria, anche ad un’altra giurisdizione: quella dello sconfinato impero della regina Vittoria d’Inghilterra, fondato sulla certezza di uno stato di diritto imprescindibile e assoluto. La cui marina era talmente forte da poter cancellare il detto “Tra il dire e il fare…” Tranne che in un caso: quando in mezzo alle due cose, come a volte inevitabilmente capita, non c’era il mare, ma il suolo.

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200.000 micropittori per un solo quadro

John Knut

“La tua spazzatura è il mio tesoro, i tuoi scarti un pranzo da re.” Questo dice la mosca, paria fra gli insetti, indegno essere che insidia i giardini e le case di noi esseri umani. Nessuna è più odiata di lei, tranne forse la zanzara. La scura mangiatrice delle cose morte, nonostante tutto, svolge il suo compito con diligenza e un profondo gusto esistenziale, rigurgita e consuma, rigurgita e consuma. Quanto spesso compare la mosca in un quadro? Non abbastanza. L’arte che ricerca il bello non potrà mai esaltare questo insetto, orribile nella sua utilità. Ora buzz-ta, sembrano dire miliardi di piccole voci, da oggi buzz-tiamo a noi stesse. La ronzante ribellione inizia da una scatola, sopra un tavolo, dentro uno studio a Los Angeles in California, per il tramite dell’artista moderno di Minneapolis, John Knut. Nella scatola ci sono ben 200.000 larve brulicanti, sul tavolo un barattolo pieno di zucchero e… Pigmenti colorati. L’artista amico delle mosche è infatti venuto a conoscenza, durante un periodo d’interessamento verso le malattie trasmesse ad opera degli insetti, di come gli appartenenti all’ordine dei ditteri siano soliti rigettare una buona parte di tutto ciò che ingeriscono, spandendo germi e batteri su tutte le superfici con cui vengono inevitabilmente a contatto. Da ciò nasce il suo strano esperimento: lasciare che da piccole si riempiano di cibo iridato, per poi metterle tutte fra un vetro e una tela, candidamente pronta ad accogliere lo splendido arcobaleno dei loro succhi gastrici alterati. Nel giorno dell’epico sfarfallamento, spiccando per la prima volta il volo, il popolo ronzante avrebbe finalmente avuto un suo racconto pittorico d’elezione. Così nascono questi quadri, pattern randomizzati di macchie indistinte senza significato, di per se stessi molto difficili da interpretare, quasi fini a se stessi. Su di loro aleggia lo spettro del pointillismo, però accidentalmente riprodotto attraverso i meccanismi del caos. Eppure, ciascuno è un pezzo unico per definizione, nato dall’incontro fra migliaia di singoli individui. La risposta, da noi lungamente attesa, della mosca. Per anni gli abbiamo donato rifiuti, adesso ci rendono un abbondante biascicamento. Grazie, care piccole buzz-tiole.

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Egitto: catturato il facsimile del volto umano

snapperstech

Il motion capture è un ambito dalle profonde implicazioni filosofiche che si pone al servizio dell’arte drammaturgica, modificando il ruolo dell’attore grazie all’impiego della tecnologia. Oltre il tramite dell’immaginazione, scavalcando i presupposti autorali di un testo recitativo, permette la traduzione di gesti analogici in sequenze ordinate, l’estrapolazione dei sentimenti attraverso lunghe tabelle di numeri e assiomi logaritmici. E poi, trasferiti questi valori all’interno di un contesto digitale, favorisce la simulazione realistica dei personaggi di una storia, non sempre umani. Anche per tale motivo le più recenti evoluzioni in questo campo, giorno dopo giorno, sembrano avvicinarci sempre di più a forme espressive relativamente nuove, quali l’animazione computerizzata e il videogame. Evoluzioni davvero significative, come il prototipo dimostrato in questo video dagli egiziani della Snappers Systems, ultima espressione di un’immagine web ancora non del tutto definita. Yasser El-Sherbiny, fondatore della compagnia, assume a comando una vasta gamma di espressioni; oltre l’invalicabile muro di uno schermo a cristalli liquidi, il suo doppelgänger, opera dell’artista Galal Mohey, le riproduce senza nessuna misura d’esitazione. E talmente fluida è la sequenza, così precisa e naturale, che dopo qualche minuto non si capisce più chi stia imitando l’altro.

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Fulminea e silenziosa, scopetta del wc volante

Joerg

Ne uccide più la penna che la spada, la matita che la lancia, la forchetta che l’ascia bipenne del re dei barbari visigoti e il telefonino…Nella sapienza popolare, come sappiamo, c’è sempre un fondo di verità: oggetti di ogni forma possono trasformarsi in arma, sia nella foga di un fatale momento che per il vezzo creativo di hobbisti e killer ammazza-tempo, con il pallino innocuo del fai da te selvaggio. Alcune cose, tuttavia, nascono naturalmente prive di una loro dignità guerriera. La scopetta per pulire il wc non ha mai, attraverso le epoche, goduto di una grande considerazione. Forse perché la sua collocazione ed impiego abituali tendono a renderla un po’ prosaica, oppure per il suo aspetto rassicurante e tranquillamente amichevole, lei da sempre giace lì, variabilmente dimenticata, speranzosa. Candida spada nella roccia, in attesa di un principe che la estragga per affrontare i feroci draghi della sua immaginazione. E per avvicinare la venuta di un tale giorno, scopetta del wc, sono a dirti che da oggi potrai contare su questo valido e potente alleato: Jörg Sprave, il calvo costruttore leonardesco di meravigliose fionde fatte in casa, da lui usate per scagliare varie cose attraverso i verdi prati della sua splendida magione. Ci sono persone, su YouTube, che sembrano aver compreso i meccanismi del web ad un livello più profondo delle altre. Nell’epoca digitale, avere interessi fuori dal comune può anche trasformarsi in un punto di forza, generare una nicchia espressiva completamente unica, da gestire e promuovere a piacimento, con grande soddisfazione personale ed un certo ritorno d’immagine, non sempre fine a stesso. L’uomo delle fionde, a suo modo, è una celebrità. Con 266 video e più di 250.000 iscritti al suo canale, potrà un giorno dire di aver fatto tutto il possibile per far conoscere l’ingiustamente trascurato sport del tiro con l’elastico, forse anche più di molte prestigiose competizioni internazionali. Comunicare efficacemente non significa soltanto parlare la lingua della cultura popolare; richiede anche un certo grandeur e magari la voglia di andare incontro a qualche critica…E prima che tu possa piantare la tua scopetta nel duro compensato, approfondimenti tecnici e piani di fattibilità. “Con questa non solo puoi colpire il cervello dello zombie” dichiara l’autore con il suo accento singolare “Gli pulisci pure il cranio, facendola fuoriuscire dalla parte opposta”. C’è un lungo studio, dietro a tutto ciò.

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