La frenesia dell’uccello sghignazzante

Kookaburra

Difficile descrivere il verso del chiassoso kookaburra. Come un ululato, una risata, mille scimmie impazzite o il delirio derisorio di una iena innamorata sul finire dell’estate. Hollywood, nonostante le sue molte prerogative creative e immaginifiche, tende a riciclare di continuo certi elementi. Tutti avranno sentito, almeno una volta, il celebre grido di Wilhelm, l’ululato in dissolvenza prodotto da un personaggio colpito da qualcosa, che cade rovinosamente dentro l’abisso senza fondo. E se tale gemito è da sempre un elemento fondamentale dei film western o d’azione, puntualmente riemesso dai cattivi sconfitti in prossimità del pirotecnico finale, ecco qui una prestigiosa controparte, altrettanto importante eppure decisamente meno nota. Lo produce naturalmente questo uccello, altamente stimato in funzione della straordinaria dote. Sarebbe il classico suono di sottofondo per ogni scena ambientata nella giungla, irrinunciabile in ciascun capitolo dell’eterna saga di Tarzan o negli exploit dei suoi molti imitatori. Sotto l’ombra degli alti alberi pluviali, grondanti d’umidità e di vita, risuona in questo modo: (vedi video, registrato presso lo zoo di San Diego). Se si potesse prendere tutta l’Amazzonia, concentrarla in un barattolo come quelli della serie cow-in-a-can, poi aprirlo e guardarci dentro, spunterebbe fuori uno di questi kookaburra. Ci starebbe un po’ strettino, poco ma sicuro. Una volta uscito, meglio correre ai ripari.

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Millepiedi non bastano per arrivare prima

Millipede

Neanche l’artropode miriapode più grande al mondo può sottrarsi alle regole del codice della strada, specie qualora debba confrontarsi con delle dispotiche formiche legionarie. La scena si svolge nel parco nazionale di Bui, nel Ghana meridionale. Archispirostreptus gigasanche detto il millepiedi gigante africano, quella mattina si era svegliato con un proposito importante. Andare verso una specifica direzione, per un tempo indefinito, verso mete vagabonde. Difficilmente questo essere, che può raggiungere la ragguardevole lunghezza di 38 cm e i 7 anni di età, pensa profondamente a qualche cosa. Già le sue 256 zampe, di un numero equivalente ai colori grafici di un vetusto standard VGA, occupano la parte principale della preziosa materia cerebrale nascosta nel suo capo corazzato. Lentamente, tastando il suolo con le antenne, si volge verso sera. Una volta pronto, zampettando se ne va. Gira intorno ai tronchi degli alberi, in cerca del materiale putrescente di cui si abitualmente ama nutrirsi. Serpeggiando evita le pozze e i pochi torrenti delle regioni sub-sahariane, in cerca di un pascolo gradevolmente ombroso. Se incontra un predatore più grande di lui si chiude a spirale, lasciando scoperte unicamente le rigide placche dorsali, simili all’armatura a scaglie di un cavaliere medievale. Vive nella più totale serenità di un singolo momento, sapendo che in caso d’emergenza può anche secernere un fluido speciale, urticante per gli occhi e il muso degli eventuali mammiferi affamati. Tra l’altro non ha nemmeno un buon sapore. Tutti lo ignorano. E lui degli altri, non se ne cura. Finché, distrattamente, non giunge a contato con la sua perfetta antitesi: un formicaio, comunità brulicante fondata sul senso pratico e la determinazione. E li, beh, sarebbe servito l’aiuto di un semaforo.

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iPhone guerrieri contro i folli eroi dell’ukiyo-e

Edo Superstar

L’eterna discussione in merito al fatto che i videogiochi siano definibili “arte” è tanto sterile quanto priva di significato. Tutto può esserlo, oppure niente lo è. Il treno in corsa che fuoriusciva dal cinematografo dei primi del ‘900, spaventando il pubblico che temeva di restarne investito, era certamente un valido strumento per guadagnare qualche soldo, niente a che vedere con le creazioni senza tempo di Ejzenštejn, Kurosawa o Stanley Kubrick. Eppure qualcuno ci aveva pensato. Prendendo la sua cinepresa, mezzo tecnologico senza precedenti, l’aveva portata sui binari e si era applicato a fondo, realizzando un’idea. Ed altri, vedendone il risultato, restarono colpiti. Il gesto che produce un pensiero incorpora sempre un qualche tipo di merito ulteriore, sia questo minimo oppure più significativo, persino epocale. Le xilografie giapponesi del periodo Tokugawa (1603-1868) non erano in alcuna misura percepite come un qualcosa di prezioso, destinato ad influenzare la pittura di mezza Europa e in seguito la grafica contemporanea del mondo intero. Spesso, soprattutto agli inizi di questa particolare forma espressiva, venivano impiegate come prototipo del moderno volantino pubblicitario, realizzate in grande quantità per uno spettacolo teatrale, affisse sulle pareti degli edifici e poi gettate via, senza spenderci un pensiero. L’Olanda le ricevette, casualmente, come carta da pacchi per le ceramiche o spezie d’Oriente. A casa di Van Gogh, guarda caso, non mancava mai il wasabi. Queste stampe bistrattate, identificate collettivamente con il termine altamente poetico di ukiyo-e (immagini del mondo fluttuante), nonché la raffinata tecnica per produrle, stanno acquisendo di questi tempi un’alta visibilità online, grazie al lavoro di Jed Henry e Dave Bull, rispettivamente la mente e il braccio di Ukiyo-e Heroes, la più eclettica compagnia nata dal crowd funding del portale web Kickstarter. Sono comparsi all’incirca l’anno scorso, realizzando la reinterpretazione in chiave tradizionale di alcuni personaggi dei videogame Nintendo, successivamente trasportati su carta mediante l’antica metodologia giapponese. E adesso, stanchi di lavorare sulle idee altrui, si sono applicati in qualcosa di completamente nuovo, un interessante gioco di botte per cellulari iOS e Android. Il suo titolo è Edo Superstar e parla di scimmie, volpi e procioni picchiatori.

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La potenza dell’aspirapolvere al neodimio

Neodimio

Atomi da tutte le parti. Che disastro! Rettifica e pulisci, trapana e scontorna, un’officina si riempie sempre, verso sera, dell’alternativa professionale alla comune polvere di casa: il truciolo selvaggio, mutevole nemico di chi plasma la materia. Molto dipende dal tipo di sostanza. Il falegname, colui che taglia in pezzi ceppi e fusti di origine biologica, si ritrova immediatamente circondato da una pungente segatura, così leggera da poter fluttuare nell’aria con cinica incostanza. Per non parlare, poi, delle schegge. Nell’ambito metallurgico il problema si configura in modo differente. Una volta spento il macchinario e tirato fuori il pezzo costruito, ci si deve subito occupare di un lungo tratto serpeggiante. I trucioli ferrosi, specie se conseguono da un taglio rapido e potente, non volano nell’aria, non si disperdono e restano caparbiamente tutti assieme, formando uno splendido elicoide, simile alla spirale del DNA. Lascialo intero e puoi tagliarti. Sminuzzalo e avrai frammenti da tutte le parti, da raccogliere pazientemente con la scopa. È una lotta senza vincitori. A meno che… Ci sono due modi per fare le cose. Uno è quello giusto, diligente, l’altro è fantasia e sregolatezza, il genio nato dall’intuizione di un singolo momento. E a quanto ci è dato di capire, almeno basandoci sul corpus documentaristico di YouTube, quest’ultimo approccio è particolarmente usato in un certo ambito culturale, largamente rappresentativo della Russia.
Qui nasce, forse niente affatto a caso, la ripresa video in oggetto di questo post, che potrebbe considerarsi un valido how-to, il consiglio spassionato per risolvere, una volta per tutte, la tremenda questione che ci affligge tutti quanti. Ovvero come acquisire l’assoluta autorità sugli scarti collaterali di un valido lavoro, senza faticarci delle ore.

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