La prospettiva cambia ogni cosa. Quando Eugène Simon, grande naturalista francese, trovò nei suoi viaggi questo piccolo aracnide (appena 5 cm) decise di chiamarlo scientificamente Theridion Grallator, ovvero animaletto trampoliere. Una definizione in greco e latino, che lo poneva nella grande famiglia dei ragni colorati dalle dimensioni ridotte, differenziandolo principalmente per la caratteristica lunghezza delle sue zampe. Ma i nativi dell’isola di Maui, forse più istintivi e spontanei, lo conoscevano bene e già avevano per lui un’altro nome: nananana makakiʻi, il ragno dal volto umano. Perché sul dorso degli esemplari di questa specie compaiono una ricca varietà di figure colorate, rosse nere e gialle, che il più delle volte creano la perfetta approssimazione di una faccina sorridente, simile a uno smiley o al trucco di un clown. Occhi tondi, niente naso, grande bocca rossa aperta e rivolta verso l’alto. Gli appassionati del web troveranno forse in questa creatura l’occorrenza più imprevista e strana della famosa icona Awesome Face, allegoria emotiva nata come ausilio grafico per un forum dei Pokèmon, trasformatasi in una vera e propria meme del mondo di Internet. L’unica differenza è la presenza delle sopracciglia. Il disegno è trasmesso ereditariamente e talvolta può variare in base a quanto il ragno ha mangiato.
Il bonsai subacqueo di Makoto Azuma, artista della botanica
Nella filosofia tradizionale del Taoismo non esistono i concetti di aldilà o reincarnazione, perché niente ha mai fine. Al momento della morte ciò che era stabile diviene fluido, trasformandosi materialmente e spiritualmente per dare origine a esseri nuovi e differenti. L’anima e il sangue degli uomini generano piante, animali e creature fantastiche in base alle condizioni del cielo e della terra, in un ciclo infinito di partenogenesi e trasformazioni. Come raccontato dal maestro Chuang-tzu “Dai vecchi bambù esce l’insetto z’ing-ning, che diventa leopardo, poi cavallo, poi uomo. L’uomo torna nel telaio cosmico, per tessere”. Ma esistono fenomeni prodotti dalla nostra mano, come l’ikebana e la coltivazione dei bonsai, che nella ricerca del bello impiegano ciò che è naturale secondo gli schemi personali e soggettivi degli artisti. Nell’ultimo lavoro di Makoto Azuma, scultore di piante proprietario di un haute coutoure floreale nel quartiere di Moto-Azabu a Tokyo, il legno morto di un piccolo albero di ginepro, appartenente alla specie Sabina chinesis, è stato immerso in un acquario, dove ricoperto da muschio e alghe sembra ritrovare il fogliame della sua precedente esistenza. La pianta terrestre si è dunque trasformata in creatura acquatica, dimostrando in tale perfezione artificiale l’immortalità della sua essenza.
GravityLight: illuminazione tecnologica per i paesi del Terzo Mondo
Martin Riddiford e Jim Reeves, inventori londinesi, sono al lavoro da quattro anni per risolvere uno tra i più grandi e antichi problemi dell’umanità: l’assenza di luce notturna. Per chi vive nel mondo della tecnologia, la pressione di un interruttore è tutto quello che serve per disperdere l’oscurità e muoversi a piacimento all’interno della propria casa. Ma l’energia elettrica non è una costante garantita, bensì una forza moderna e difficile da immagazzinare, effettivamente fuori portata per oltre un miliardo dei nostri simili in paesi come l’Africa e l’India. In alcuni luoghi del pianeta Terra infatti, un gesto semplice come leggere un libro dopo il tramonto del sole comporterebbe l’impiego di costose candele o lampade al kerosene, un concetto impensabile per chi ha bisogno quotidianamente di impiegare le proprie risorse in campi ben più fondamentali. Ma un aspetto importante del progresso della tecnica è che se da una parte rende tutto sempre più complesso e costoso, dall’altra può essere impiegato per abbassare la soglia di accesso ai servizi e beni che noi diamo per scontati. Questo è il sentimento alla base di GravityLight, una lampada che sfrutta la forza di gravità, in grado di fornire mezz’ora di luce per ogni volta in cui viene caricata. Bastano tre secondi e qualche caloria.
Da robot leggendari a eroi di cartone, i pepakura di Wakabua
I mecha giapponesi e i guerrieri sentai non sono semplici supereroi tecnologici. Sarebbe facile guardare i cartoni animati di quel paese o i colorati, buffi e un pò kitsch telefilm d’azione del genere tokusatsu (Power Rangers…) ritrovando in essi un’espressione creativa equivalente ai più stereotipati tra i fumetti americani, in cui un giustiziere mascherato dai poteri soprannaturali agisce seguendo un proprio codice a vantaggio del bene comune. In realtà i combattenti fantastici del Giappone moderno sono qualcosa di molto più simile ai samurai delle loro leggende guerresche: personaggi con tecniche, armi o veicoli particolari, generalmente ereditati da parenti o appresi come mistiche cognizioni da un qualche tipo di saggio maestro, intenzionati ad elevarsi al di sopra dei propri umani, comprensibili difetti. E tra le più diffuse culture giovanili della corrente così detta degli otaku, spicca in modo particolare il collezionismo dei loro modellini, talvolta in scatola di montaggio, altre da dipingere o semplicemente da acquistare a caro prezzo e esporre su qualche mensola insieme alle immancabili collezioni di manga e videogiochi. Il designer Wakabua, grazie a un suo particolare talento, ha però deciso di fare tutto da solo: nel suo laboratorio di Warabi, prefettura di Saitama, realizza infatti modellini di cartone piegato e dipinto, in base alle procedure artistiche del pepakura, o paper-crafting. Alcuni sono persino trasformabili.