Guardate gli sciatori tecnologici luminescenti

AFTERGLOW Philips

Avete mai visto una qualcosa di tanto incredibile, così straordinario, da non poter far altro che chiedervi “È un uccello quello? Una fenice? L’Immortale della montagna sta scendendo a valle, come profetizzato nelle sacre pergamene?” Una volta ogni vent’anni, soltanto quando le condizioni sono VERAMENTE giuste. Quando l’asse verticale della Terra si riorienta per il cambio di stagione. Nel momento esatto in cui le particelle ioniche dell’atmosfera si scontrano con i protoni di un pericoloso vento, l’insistenza radiolettrica del nostro Sole. Se le nubi si diradano. Quando il chiurlo canta, guarda caso, molto prima che sia sorta l’alba. E non risponde il gufo, chiaramente, per un concerto cacofonico, che spoetizza le preziose quanto rare circostanze. È in quel momento, o così si usa dire presso certe parti, che le stelle prendono la forma di una nebbia colorata di argento, blu elettrico e violetto, sulle cime candide di Alaska e Canada, per uno spettacolo meraviglioso. Forse, per qualcuno, l’esperienza di una vita.
Si, va bene. Il video AFTERGLOW – Lightsuit Segment della Sweetgrass Productions altro non sarebbe che una “semplice” reclame delle nuove TV luminescenti della Philips (bei prodotti, a quanto pare). La trovata non del tutto originale, scelta per associazione, di far scendere alcuni ottimi sciatori: Pep Fujas, Eric Hjorleifson, Daron Rahlves, e Chris Benchetler giù per le nevi notturne dell’estremo settentrione, vestiti della luce candida di quattro tutte al LED. Ma va da se che simili creazioni audio-visive possono colpire il pubblico, ben oltre la somma delle proprie singole parti costituenti. E l’insieme di una simile prodezza nel discendere dirupi, la cangiante alternanza di magniloquenti sfumature sul contrasto della notte oscura e il fantastico montaggio, creano una sequenza degna di essere inserita negli annali antologici del mondo pubblicitario. E se pure questi ultimi non esistessero, di crearli e farli iniziare proprio adesso, qui ed ora, così.
Il bello della neve non è il freddo, ma il candore. Che la rende come una tela specchiata, pronta a riprodurre ed amplificare certi fenomeni del mondo. Basti pensare al modo in cui, sopra il bianco manto, riesca ad allontanare l’assoluto buio. Se dovesse risplendere anche una sola stella, nel cielo di un dicembre coronato dalle precipitazioni principali dell’inverno, si può ben contare su una cosa: che tale remota splendida presenza sarà sufficiente per accendere il terreno delle cose. Ogni singolo fotone riassorbito, inevitabilmente dalla candida materia, ne verrà rinvigorito. Figuriamoci, dunque, tali variopinte code di comete! Più che uomini, fenomeni spaziali. Fatti materializzare, finalmente questa Volta, grazie allo strumento tecnologico per eccellenza: l’elettricità.

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Tracciare i pesci sopra cui compaiono le piume

Medicus Emulsifier

Si chiama Emulsifier, lo squagliatore. L’ultima creazione del giovane artista di Innsbruck nel Tirolo, Thomas Medicus (pseudonimo davvero interessante) ha una dote che riesce a distinguerla da molte altre: a seconda di come la guardi, può rappresentare esattamente quattro cose. Inizialmente, si presenta come aringa. Mica mica, una siringa. Sarebbe un pesce, questo, vagamente variopinto. Con la pinna bronzea, gli occhi spiritati, scaglie argentee e intervallate con del blu ceruleo, così, tanto per dire. O per gradire. Strano e un po’ inquietante, se vogliamo. Ma niente paura, pavidi visitatori, di restarne ipnotizzati! Basterà girarci attorno. Ecco allora che dall’altro lato di quel tavolo da pranzo apparecchiato, certamente fatto per condurre l’appetito, ci si ritroverà dinnanzi alla forma familiare di un uccello in volo. Una sorta di candido condor-cicogna, un po’ papera un po’ geroglifico, bestia evocatrice di un supremo sentimento. O per meglio dire, superiore, sovrastante, ben distante. Dalle cose meno fluide, decisamente più terrene, come ciò che nuota…Dentro. Che a sua volta, come in un gioco di pupazze russe, ospita un segreto imprevedibile. Un sistema d’ingranaggi! Nella padella del mio pranzo?! Tutto passa, per fortuna. Gira ancora per 90 gradi, pensaci un minuto e ti ritroverai davanti le ossa dello scheletro, volante. Sei dall’altro lato dell’uccello. Guarda tu, che bello. Giusto in tempo per la notte d’Ognissanti!
È un gioco che si basa sulla prospettiva, chiaramente, ma non quella virtuale di un dipinto. Benché l’arte grafica, in effetti, c’entri alquanto. Il nostro Medicus, per creare tale singolare oggetto, ha infatti messo in fila ben 160 delicatissime strisce di vetro a sezione quadrangolare, quindi vi ha dipinto sopra il primo dei soggetti. Poi le ha voltate da una parte, prima di ricominciare. Altre due volte e infine le ha piantate. Sul “giardino” di una base, “l’orto magico” della sua mente. Che inganna ma non mente. Ovvero un plinto nero in materiale plastico, ciascun lato del quale potrà misurare…Diciamo, 40 centimetri? A dire tanto, oppure giu di lì. Nell’ultimo secondo del presente video di dimostrazione, che per inciso sta facendo il giro della blogosfera sconfinata, si nota un filo bianco che spunta dal di dietro. Assai robabilmente, chiaro segno di un motorino elettrico, pensato per disporre l’oggettino staordinario sopra uno scaffale, oppure a ridosso di una scarna ed utile parete. Non tutti, a questo mondo, dispongono di sale grandi, per di più dotate di un gran piedistallo, proprio in mezzo, a far da tokonoma (gran sacello visuale) della propria abitazione. Le tematiche di una simile opera d’arte, inizialmente poco chiare, possono scovarsi da un’approccio critico al passato operativo del creatore. Un creativo che di metamorfosi, direi: se ne intende.

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Quanto ci vuole a togliersi la tuta antivirale

Tuta protettiva

È una semplice realtà dei compiti ripetitivi e naturalmente complessi. Tutti sanno che il cervello umano, se annoiato, tende presto ad automatizzare i gesti. Immaginate lavorare, un giorno dopo l’altro, in mezzo alla paura. Non quella vaga ed imprecisa del futuro, relativa alla perdita della propria privilegiata condizione, oppure l’ansia per qualcuno a cui vogliamo bene. Ma una paura microscopica, sottile ed intangibile, che vola nell’aria trasportata via dal vento. Finché non viene, in un attimo fatale, inalata. E allora si trasforma. Negli umidi pertugi di ciò che l’ospita per sbaglio ovvero tale fragile, inerme, vulnerabile organismo. Troppo spesso, troppo umano.
Questo tipo di terrore, che il mondo ingeneroso ci offre in molte razze o varietà, è subdolo e incredibilmente pieno di risorse. Una volta dentro cambia forma. Replicandosi infinite volte, tale parassita, rovina tutto ciò che gli è vicino, lo squaglia e lo fluidifica, trasforma il sangue in vino e lo decanta da ogni poro. Appropinquarsi ad una tale fonte di condanna, per un simile di quel malcapitato, non è facile. Ma conduttivo di salvezza perché si, anche di ebola si può guarire. Come muoversi, dunque? La risposta possibile è soltanto una: con cautela. In questa video dimostrazione messa in opera nel 2011 nel contesto del programma divulgativo dell’Università del Nebraska, HEROES – Healthcare and Emergency Responder Organization Education through Simulation (quite a mouthful, indeed) Venivano mostrati grazie alla simulazione, in tempi non sospetti, i metodi adeguati per rimuoversi una tuta per il pericolo biologico di livello C. Quella in uso, per intendersi, negli ospedali di metà del mondo, o almeno quelli tanto fortunati, o viceversa, da aver ricevuto attrezzatura e addestramento per gestire simili emergenze. È veramente impressionante.
L’infermiere oppure il medico, dunque, arriva puntuale sull’inizio del suo turno operativo. Potremmo trovarci, per dire, presso la sezione malattie di un grande ospedale, magari in un paese progredito d’Occidente, dove si trova, suo malgrado, l’ennesimo “paziente zero” – Sta già succedendo, dopo tutto, ieri ed oggi. E potrebbe continuare da domani, per quanto ne sappiamo! L’addetto è determinato, auspicabilmente, e forte d’animo, convinto del suo Giuramento. Prima di procedere verso il dovere, ha il sacro compito verso Esculapio, di mettersi la tuta protettiva usa-e-getta. Questo passaggio non è poi così difficile. Basta essere meticolosi. Può trattarsi, spesse volte, di una larga calzamaglia, plasticosa e resistente, sulla quale si assicurano due guanti ed altrettante calzature, attentamente chiuse con lo scotch. Sulla testa, invece, viene collocato un ampio cappuccio con maschera trasparente, collegato ad una bombola, oppure un filtro per la respirazione. Le soluzioni possono variare, in base alla pericolosità delle diverse circostanze. E purtroppo, anche in funzione dell’apporto tecnologico a disposizione…

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La cosa peggiore da trovare tra il pescato

Sea Lion fishermen

L’equipaggio russo di un’imbarcazione sta per fare un’orrida scoperta, anzi due. Che ogni pesce scheletrato ha le sue spine. E che i pinnipedi con la criniera non dormono quando hanno fame. Come diceva Esopo, l’antico narratore. La zuppa di mare è quel piatto tipico della tradizione povera, che traeva la genesi, originariamente, delle indesiderate rimanenze di giornata. Il rude navigante, tolto il cappello e l’impermeabile, dopo una mattina fra le onde e un pomeriggio tra la gente, qualche volta ritornava a casa, stanco, dalla sua famiglia. Con vongole, seppie, gallinelle nella sacca intelata. Con rombi e scampi e qualche coda di rospo nel taschino, tanto per far da truce ciliegina. Cosa fare, dunque, se non mettere tutto in padella, assieme all’olio e al condimento vegetale… Per un’altra serata semplice, soddisfacente, nutritiva (sebbene alquanto ripetitiva, nei periodi sfortunati!) E c’era un po’ di tutto: il buono, col cattivo, separato solamente all’occorrenza, dalla moglie o dai figlioli sempre attenti, con forchette, con bacchette, con le mani. Un “fare” universale. Oggi, tale tradizione è stata trasformata, come molte altre, nella precisa scelta di chi va al supermercato, compra bestie surgelate, già domate, provenienti, addirittura, da ordinati allevamenti posti sulle coste del Mediterraneo. È ormai difficile trovare, dentro a un piatto di una tale zuppa, occhi galleggianti, pezzi di mandibola o tenere interiora incommestibili, pezzi di coriacee pinne e aculei velenosi. Se capita, sarà un errore. La tragedia che rovina l’occasione. Eppure il mare resta, come sempre lo era stato, imprevedibile. E nel primo contatto, inconoscibile!
Dove si svolga esattamente questa scena, non è chiaro. Il video si è materializzato su YouTube, verso la metà di ieri, in quindici copie parallele, titolate in russo, inglese ed altre lingue. Una cosa è certa: siamo tra le genti di quel paese, il più vasto della Terra, che si estende dall’Europa Orientale fino alle propaggini costiere di Nippon, terra di kanji e samurai. Quelli che dal canto loro le balene, vittime innocenti, le arpionavano da una distanza di sicurezza. Ma la Russia è differente: sul ponte del natante tanto incauto, si ode un grido all’improvviso: “Allarme!” Nella rete a strascico, faticosamente riportata a bordo, non c’è un tonno, né un cetaceo. Non c’è neanche, meno male, un povero delfino sfortunato. Ma…Qualcosa di..Selvaggio. Come se i pesci, stanchi di soffrire, si fossero riuniti sotto il segno del destino. Per evocare, sotto il segno della fine, una creatura che li possa vendicare, liberare dall’occulta schiavitù: “Troll di mare a bordo, salvatevi se potete!”

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