In prossimità della spiaggia di El Condor, nella provincia argentina di Rio Negro, è solito risuonare occasionalmente il grido acuto del falco pellegrino. Occasione al verificarsi della quale, improvvisamente, l’atmosfera sembra subire una repentina quanto sostanziale onda di mutamento. Sparito è il diffuso chiacchiericcio di un famoso popolo della montagna, la nutrita moltitudine di uccelli verdi, gialli e rossi sotto il petto che comunemente vagano per questi ritagli di cielo marcatamente azzurrino. Dove sono i pappagalli? Nelle loro buche, chiaramente. Anche voi, se foste braccati in modo ripetuto da un’impietoso predatore in grado di raggiungere i 240 Km orari, scegliereste di vivere all’interno di un luogo angusto e protetto. Scavato un po’ alla volta, nel giro di anni successivi, tramite la forza esclusiva di un forte becco? Anche questa è la natura. Quella di un volatile da 230-300 grammi di peso, non più lungo di 52 cm, che cionondimeno appare facilmente in grado di apportare cambiamenti significativi al paesaggio. Operando in tal senso in modo analogo a termiti o formiche, con cui condivide d’altronde la stessa propensione alla costituzione di gruppi sociali collaborativi ed ingenti. I più grandi noti, nel caso specifico, per quanto riguarda i membri dell’ordine degli psittaciformi, creature convenzionalmente note per il loro piumaggio variopinto, la dieta onnivora e la capacità innata di riprodurre i suoni. Tutte caratteristiche comuni alle letterali centinaia di esemplari conviventi del Cyanoliseus patagonus, distinto dalla propensione a costruire una rete invisibile di tane interconnesse, per cui la qualifica di mero nido appare alquanto riduttiva, trattandosi piuttosto della più accentuata approssimazione animale di una mitica città sotterranea. Tratteggiata dando priorità alla convenienza, per questi esseri dotati della predisposizione al volo, su una delle tavolozze maggiormente adatte della natura: pareti verticali a strapiombo, sulla giungla o sulla spiaggia, sulla strada, sopra i campi, costituite da conglomerati pendenti di arenaria, pietra calcarea o altre rocce friabili, vittime del tutto designate dell’intento e della forza di volontà dei piccoli, a patto di avere il tempo necessario alla costituzione in essere dei loro significativi progetti. E sarebbe davvero difficile, tutto considerato, immaginare una soluzione abitativa migliore. Nascosta non soltanto dall’occhio scrutatore del famelico falco, ma anche via dalla portata d’innumerevoli mammiferi e serpenti predatori, del tutto incapaci di far presa sulla pietra sdrucciolevole dello strapiombo. Giungendo a costituire, conseguentemente, uno degli spettacoli più memorabili di questo intero ambito costiero e zone circostanti, benché il pennuto in questione non fu sempre beneamato alla stessa maniera. Tanto da diventare, in diverse casistiche pregresse, il bersaglio di campagne d’eradicazione popolari condotte con i pesticidi e gli esplosivi, usati per far saltare in aria le sue città verticali di maggiore rilevanza. Questo a causa dell’idea, del tutto erronea ed alquanto controintuitiva, che potesse prendere d’assalto i terreni agricoli e causare al tempo stesso l’erosione del paesaggio montano antistante…
riproduzione
La futuribile trasformazione amorosa del volatile più pesante al mondo
Dov’è la testa? Dov’è la coda? Mentre agilmente si aggira sobbalzando, il petto ribaltato a dimostrare la vaporosa approssimazione di una nube marrone, l’essere agita le molte punte tigrate che caratterizzano la propria forma irreale. Due generate dagli ornamenti araldici attorno al suo collo. Altrettanti a quelle che parrebbero proprio essere, contrariamente all’intuito, un paio di ali in posizione ricurva. Ed una curva verso il suolo che ad uno sguardo più accurato rappresenterebbe niente meno che il timone dei suoi metodi ed approcci al decollo. In chiara contrapposizione ad una biglia sfavillante tra il piumaggio. È forse un occhio, quello? Che scruta con intento stolido la forma indistinta di Qualcuna tra l’erba? Oh, silenzio benedetto, che anticipa e favorisce la meditazione sulla Natura…
Negli uccelli dal nome breve non è insolito che le due o tre sillabe impiegate vogliano, in qualche maniera, approssimare il verso che questi producono per dare affermazione al proprio essere o l’imprescindibile ambizione d’accoppiamento. Detto ciò bastano pochi secondi, ascoltando il gutturale e ripetuto grugnito dell’otarda maggiore, quasi minaccioso nel suo tenore, per comprendere come questo non sia certo il elemento di fascino maggiore. Potendo di suo conto relegare una simile qualifica all’aspetto visuale (e rituale?) del suo speciale metodo di affascinare l’effettiva controparte con cui auspica costruire un nido e la famiglia. Un’approccio che potremmo accomunare a quello utilizzato assai probabilmente sul pianeta Cybertron, dalla stessa razza di robot senzienti cui appartengono Optimus Prime, Bumblebee e Starscream: Transformers di nome e di fatto, in una maniera che istintivamente non saremmo inclini ad associare ad esseri fatti di carne e sangue, sulla base dei processi evolutivi tipici del nostro recesso galattico privo di occasioni comparative. “Oh, Otis tarda che possiede il mistico segreto della metamorfosi!” avrebbe potuto scrivere Plinio il Vecchio menzionandola nella sua Storia Naturale (77 d.C.) se non fosse rimasto piuttosto colpito dal modo in cui gli abitanti della Spagna rifiutassero consumarne le carni, a causa dell’odore nauseabondo del suo midollo (!) E d’altra parte non è particolarmente probabile che ne avesse visto una con i propri occhi, considerata l’effettiva diffusione all’epoca di un simile pennuto principalmente nelle steppe asiatiche, le pianure cinesi e determinati recessi della penisola iberica. Questo perché l’impressionante creatura, proporzionatamente e concettualmente non dissimile da un tacchino del Nuovo Mondo, ha diversamente da quest’ultimo sempre vantato una spiccata preferenza per le pianure aperte ed assolate. Che nel mondo antico, prima delle trasformazioni agricole del paesaggio europeo, erano ancora subordinate a vaste distese ininterrotte d’ombrose foreste. E l’otarda non aveva, ancora, l’occasione di risplendere cangiante nell’inanimato participio della Creazione;
L’ingenuità delle formiche che augurano lunga vita al bruco usurpatore
Nell’osservazione protratta della natura, attraverso i caldi e i freddi e attraverso il succedersi delle stagioni, non è raro che maturi nella mente un’importante presa di coscienza, l’effettiva percezione che in molteplici e ripetitive circostanze, l’essere pensante abbia a suo vantaggio Molto da Imparare. Prendiamo, per esempio, la vicenda e storia eternamente ripetuta del genere Phengaris, normalmente definito per antonomasia in buona parte d’Europa come Alcon Blue. Lepidottero d’aspetto semplice e attraente, con ali diafane dalla colorazione grigio-cobalto, decorate da un disegno d’eleganti puntini. La cui prerogativa principale riesce ad essere in effetti, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, uno degli approcci più insinceri ed approfittatori dell’intero mondo animale. Paragonabile, su una scala di millimetri, al progetto parassitario del cuculo. Ruba un nido, ruba una colonia sotterranea, dopo tutto cosa cambia? Geometrie diverse che conducono allo stesso diabolico coronamento: l’opportunità di dare una migliore prospettiva al sangue del proprio sangue. Condannando, senza possibilità di appello, l’altrui prole malcapitata. Ed è proprio sotto tale aspetto che si scopre, in un certo senso, la fondamentale debolezza delle formiche. Soldati indefessi, perfettamente organizzate, costruttrici di strutture sociali utili ad alimentare l’opportunità di una fortezza migliore. In cui ciononostante, gli abitanti possiedono una grande debolezza: quella di essere temibili nella loro fondamentale compattezza dei gesti e le motivazioni operative. Così da poter essere, nelle corrette circostanze, sviate di concerto alla stessa identica maniera. Non sarebbe d’altra parte totalmente scorretto definire le nostre uova di farfalla deposte, al culmine della stagione, tutto attorno a sopra i nuovi boccioli di genziana. Affinché si schiudano permettendo ai bruchi appena venuti al mondo di nutrirsi delle foglie della pianta, fino al raggiungimento di una dimensione sufficiente per passare al successivo capitolo della propria esistenza. Quando spostandosi fino al margine di tali verdeggianti promenade, protendono le proprie pseudozampe verso il vuoto e senza un briciolo d’esitazione, si lasciano cadere verso il suolo distante. La gravità, come si dice, farà il resto. La gravità e l’implicita prerogativa, posseduta sotto diverse forme dagli esponenti di questo intero genere (o ben diversificato gruppo di sottospecie, a seconda del naturalista interrogato in materia) di emettere dei feromoni attentamente calibrati, tali da passare per un tipico rappresentante della nuova generazione d’imenotteri marcianti in linea retta, le inarrestabili ed incontenibili formiche della foresta. Che assolvendo all’istintiva programmazione che le contraddistingue, si affretteranno conseguentemente a sollevare l’intruso trasportandolo ingenuamente oltre il valico del proprio sancta sanctorum: la stanza friabile ove ha sede la nursery della regina per sempre sepolta. Ed è allora, se vogliamo, che ha inizio a svilupparsi l’effettiva interpretazione animale del concetto di un vero e proprio film dell’orrore…
Il tenrec di pianura del Madagascar, elegante sibilo d’aculei dal contrasto evidente
Una notevole quanto insolita commistione di percorsi evolutivi converge nell’ordine dei mammiferi Afrosoricidi, al tempo stesso simili, ma geneticamente distinti dai comuni roditori dell’Eurasia e del Nuovo Mondo. Creature nate al fine di occupare un ampio ventaglio di nicchie di appartenenza, ecologicamente inclini a richiedere notevoli adattamenti e doti dall’alto grado di specificità. Ed è difficile immaginare in effetti che la talpa dorata, grande scavatrice quasi del tutto priva del senso della vista, possa essere strettamente imparentata ad esempio con il potamogale, anche detto toporagno-lontra per la propria affinità con gli ambienti acquatici e l’importanza di questi ultimi nel proprio stile di vita. E in un certo senso lo stesso vale per l’intera famiglia dei tenrec malgasci, abitanti dell’isola affacciata sull’Oceano Indiano dove i minuti mangiatori di vermi ed altri invertebrati, più o meno visibili nel sottobosco, si aggirano facendo affidamento sulle proprie spine impenetrabili per quanto concerne una vasta gamma di predatori. E sarebbe del tutto lecito, a tal proposito, paragonarli ancora una volta ad animali di cui abbiamo approfondite conoscenze, i piccoli ricci della nostra primavera che infelicemente invadono l’asfalto della carreggiata in cerca di ampi spazi ove spostarsi al termine di un lungo letargo. Laddove questi corrispettivi d’altro luogo, ad un’analisi più approfondita, altro non costituiscono che un caso di evoluzione sviluppatasi seguendo un tipo di sentiero parallelo, capace di raggiungere cionondimeno le stesse conclusioni evidenti. Forse una casistica in alcun caso più evidente, che in quello delle due specie del genere Hemicentetes, portatori dell’impenetrabile corazza dall’aspetto particolarmente insolito e distintivo della variante di pianura: gialli e neri come se portassero un costume d’ape, della grandezza simile a un criceto ma con il muso assai più aguzzo e forti zampe scavatrici. L’H. semispinosus che costituisce, da ogni punto di vista rilevante, un compatto carro armato incline a muoversi con decisione e precisione d’intenti, anche considerata la durata estremamente breve della sua esistenza su questa Terra: non più di tre anni, con un apice della fertilità corrispondente grosso modo alla prima estate, raggiunto appena un mese dopo l’ora della nascita all’interno della piccola buchetta di appartenenza. Caratteristica comune anche al suo cugino di altura H. nigriceps, di suo conto molto simile ma distinguibile più che altro dalla livrea in bianco e nero. Non che le due specie siano simpatriche, ovvero condividano il territorio fatta eccezione per alcune zone dall’estensione particolarmente limitata. Ove sfrecciano allo stesso tempo fuori, personaggi stravaganti e carichi di personalità, verso gli obiettivi che l’istinto gli ha permesso di aver chiari nel rudimentale ancorché sapiente occhio della mente. Guardiani di un antico metodo di vedere e articolare il mondo, così come la natura li ha plasmati attorno a un antenato comune, giunto nel Madagascar attraversando il canale del Mozambico a bordo di una zattera naturale, si ritiene attorno a 50 milioni di anni a questa parte…