Il vecchio e versatile modo di dire “La Cina è sempre più vicina” non parrebbe di suo conto essere configurato in modo tale da tenere conto dell’assioma fondamentale, in base al quale quel paese era e resta ancora adesso il quarto più vasto del mondo, con i suoi 9 milioni e mezzo di chilometri d’estensione. Una territorio entro il quale c’è di tutto, sia dal punto di vista paesaggistico che amministrativo, con luoghi e province dislocati sulla base di caratteristiche orografiche, morfologiche e territoriali tanto variegate quanto imprevedibili, per lo meno se tentiamo di basarci sull’esperienza pregressa delle terre a noi più familiari. “Quale parte della Cina?” Occorrerebbe dunque chiedere di conseguenza, ottenendo il tipo di risposta che probabilmente non includerà, per lo meno dal punto di vista concettuale, l’improbabile recesso urbano della contea di Zonghe Town nella contea di Yanjin, prefettura centro-occidentale dello Yunnan. Un luogo svettante lungo il fondo di una valle lunga e stretta, situata sulle strette rive del fiume Nanxi. Tanto anguste proprio perché circondate da svettanti montagne quasi verticali, capaci di lasciare una quantità di metri edificabili variabile tra i 30 ed i 300, appena sufficienti per una doppia fila di edifici ai lati di una strada, ed in determinati punti neanche quello. A patto di fare ad ogni modo ricorso, s’intende, all’espediente architettonico particolarmente distintivo di un letterale sistema di pilastri simili a palafitte, saldamente infissi sul fondo umido dello strapiombo sottostante. Strutture di sostegno appoggiate, tra l’altro, in posizioni tutt’altro che rassicuranti, con i casi più notevoli situati sopra rocce di poco più grandi del pilastro stesso, magari a loro volta in bilico sopra un masso leggermente più ampio come in un cartone animato di Hanna-Barbera Productions Inc. In altri termini, non saremmo poi così lontani dalla verità affermando che l’insediamento in questione paia scaturito dalla penna immaginifica di un illustratore fantascientifico di mondi strani e irraggiungibili, piuttosto che figurare in forma tangibile all’interno di una zona non particolarmente visitata dai turisti esteri, benché famosa per i propri paesaggi notevoli e la storia risalente ad epoche particolarmente remote. Che nel presente luogo vedono un’importante testimonianza osservabile dell’antico insediamento locale appartenente al popolo lungamente estinto dei Bo, assorbito almeno dal 316 a.C. durante l’espansione dell’impero della dinastia Qin, oggi famoso in modo particolare per le sue bare sospese a mezz’altezza lungo il ciglio di profondi precipizi, una possibile origine del mito taoista degli Immortali che si ritirano sulla cima delle montagne prima di trovarsi a dover abbandonare le proprie spoglie terrene. Il cui esempio menzionato in tutte le guide turistiche sull’argomento si trova affiancato da un itinerario montano con alcune antiche ville e residenze storiche, sebbene il principale rush urbanistico della regione non sembri essere andato incontro ad un processo di sviluppo prima dell’ultimo secolo, quando l’avanzamento delle tecnologie e materiali da costruzione sembrerebbe aver permesso finalmente di edificare la notevole città in base ai crismi attualmente osservabili. Come una porta del tutto tangibile, verso improbabili universi abitativi dalle logiche impossibili da contestualizzare…
luoghi
Dietro le mura ciclopiche di Cosa, misterioso baluardo del Mondo Antico
Raccontano i libri di storia a proposito di questo singolare, significativo sito archeologico: “La colonia romana di Cosa fu fondata nel 273 a.C, sul litorale toscano in corrispondenza dell’odierna laguna di Orbetello. Per potersi difendere da un eventuale attacco del nemico cartaginese, fu dotata di alte e possenti mura, costruite utilizzando blocchi di arenaria dalla forma poligonale.” Niente di sorprendente dunque, nel contesto del periodo storico preso in esame, finché non si osserva con i propri occhi l’effettivo aspetto della suddetta cinta muraria: un susseguirsi di blocchi levigati ed incastrati a secco, della lunghezza perimetrale di un chilometro e mezzo circa, alte in certi punti fino a 6-7 metri sopra il suolo compatto del promontorio costiero di Ansedonia. Un tipo di opera architettonica che non sarebbe totalmente fuori luogo, in altri termini, da luoghi come Machu Picchu in Perù o Rajgir in India, nell’antico stato del Bihar e di contro così evidentemente distintiva, rispetto alle tipiche soluzioni in muratura utilizzate dai Romani, facenti affidamento su materiali di lavorazione ulteriormente sofisticata ed in forza di ciò, semplici da trasportare e sovrapporre in base alle necessità individuate sul territorio, rispetto a pietre intagliate del peso unitario di svariate tonnellate. Sul perché luoghi come questo, vedi Alatri o Erice, ma anche Spoleto, Perugia, Vibo Valentia, siano accomunati dall’approccio talvolta definito come ciclopico, proprio perché gli antichi ritenevano che soltanto i mitologici giganti monocoli avrebbero potuto sollevare delle pietre tanto ponderose, molte parole sono state spese nel corso degli anni. Individuando come potenziali autori dei siti citati, assieme ad altri lungo l’intero territorio della penisola, nel popolo originariamente dei Pelasgi, discendenti degli antichi Micenei di Creta andati incontro a una diaspora di qualche tipo attorno all’inizio del primo millennio a.C. Ed in forza di ciò approdati lungo le coste dell’intera Europa meridionale, sebbene resti da chiarire come e per quale ragione, un insediamento di tale provenienza avrebbe dovuto collocarsi oltre il versante occidentale degli Appennini, privandosi in tal modo di ottimali prospettive di commercio ed interscambio con le proprie terre di origine attraverso il navigabile Adriatico, lo stesso mare che avrebbe potuto condurli, idealmente, sulle coste geograficamente opposte della verdeggiante Italia. Un luogo accogliente dal punto di vista climatico e geografico ma non quello dei suoi abitanti, come possiamo desumere dalla possibile necessità di costruire fortificazioni tanto imponenti. D’altra parte dei Pelasgi già durante l’epoca Repubblicana non v’è più alcuna traccia residua, lasciando sospettare una loro precedente sconfitta ad opera di questi popoli tra cui gli Etruschi, la cui successiva città di Cusi o Cusia fu anche l’origine del nome, successivamente preso in prestito da quello che sarebbe diventato un importante centro di produzione agricola e di pesca soprattutto a partire dall’imposizione dell’autorità augustea. Lasciando perciò immaginare non soltanto come possibile, bensì persino probabile, il fatto che le mura in questione fossero state direttamente ricevute in eredità ed in seguito adattate alle necessità degli abitanti, a partire da coloro che le avevano impiegate in precedenza, a loro volta dopo la conquista o emigrazione dei loro originali costruttori pelasgici, notoriamente andati incontro ad una serie di catastrofi, carestie o pestilenze negli anni intercorsi, che ne cancellarono letteralmente l’esistenza dalle mappe molto prima della fondazione dell’Impero Romano. Eppure prendendo in considerazione la somiglianza di una recinzione simile con altre situate in luoghi geografici particolarmente distanti, come in una sorta di congiunzione su scala globale di modalità ed intenti, chi può dire veramente che non furono già essi stessi, a trovare l’opera compiuta ai tempi della loro venuta oltre lo stretto ed assolato “mare d’Oriente”…
Il respiro spaventoso degli alberi nel mezzo dell’instabile foresta canadese
L’essenza e l’entità degli alberi, in un caotico complesso che ricopre ancora spazi più considerevoli di quanto siamo indotti a ricordare, condiziona l’estensione delle prospettive umane. Se oggi o domani, per un qualsiasi tipo di ragione immaginabile, tutti gli arbusti della Terra avessero ragione di ribellarsi, la nostra fine non sarebbe poi così diversa da quella di Macbeth o Saruman, personaggi letterari destinati a rendere terribilmente esplicito l’innato timore collettivo nei confronti del frondoso e radicato mondo parallelo al nostro. Un groviglio di città, un dedalo di strade interconnesse, radicate, collettivamente sovrapposte. Di creature molto lente ma che sembrano pur sempre possedere un piano, sussurrato tra le fronde grazie allo strumento che traduce un simile linguaggio, il vento che sia agita negli strati superiori della foresta. Mi pare logico e del tutto ragionevole, tuttavia, affermare che qui si sta decisamente esagerando: in un giorno in apparenza come tutti gli altri, digitalizzato in verticale grazie all’uso della fotocamera nel proprio smartphone, in cui l’utente noto semplicemente come Tonie si ritrovò a fare un’escursione nella proverbiale selva oscura durante il 2019, ché la diritta via era smarrita. Preambolo di quanto a dire il vero, forse, anche un’abitante della Columbia Inglese sarebbe stato mai davvero incline ad aspettarsi: come un sommuoversi sinuoso, della terra stessa sotto i propri piedi, l’arcana oscillazione del paesaggio assecondata dall’ondeggiamento degli alberi stessi. Ritmico ed orribilmente ricorsivo, avanti e indietro, sopra/sotto, avanti e indietro. In altri termini una logica approssimazione, di ciò che avrebbe luogo ad essere nel caso di una grande bestia lungamente sopita, il dragone verde pronto a ritornare tra i coscienti per poter dare un approfondito sguardo a quello che è successo nel tempo intercorso. Il preambolo palese, nel nostro problematico caso, a possibili rivalse non del tutto prevedibili o in qualsivoglia modo opportune.
Il che giustifica di per se, almeno in parte, l’evidente assenza di giudizio messa in mostra dal vasto pubblico dei soliti commentatori, pronti a dare il “merito” di tale contingenza ad ogni sorta d’improbabile intervento sovrannaturale, o ad ogni modo collegato a eventi fuori dalla percezione logica del nostro mondo prevedibilmente terreno. Parallelamente a quanto fatto da una schiera di persone maggiormente ragionevoli, pronte a citare l’evenienza della liquefazione parziale del sottosuolo, dovuta al crearsi di uno strato di fango a seguito d’ingenti piogge che in effetti, nel caso specifico, hanno ben poco a che vedere con l’assurda esperienza. Un approccio che risulta essere perciò, nonostante le migliori intenzioni, altrettanto errato. Il che ci conduce senza ulteriori indugi o tribolazioni, all’apertura luminosa nell’impenetrabile muraglia dei preconcetti acquisiti, al fine di poter scovare negli archivi internettiani la perfetta giustificazione pratica fornita a suo tempo dal Weather Network di Oakville, Ontario. Qualcosa di molto più semplice, ed al tempo stesso logico, di quanto il senso comune avrebbe potuto riuscire ad elaborare nelle floride regioni della mente…
L’approdo abitativo di un palazzo sospeso tra la terra e il mare d’Olanda
Quasi tutte le città del mondo hanno un carattere distintivo e non ci sono particolari dubbi su quale possa essere quello maggiormente attribuibile alla capitale olandese di Amsterdam, un luogo in cui le acque parzialmente salmastre dei canali entrano a far parte dello schema urbanistico vigente, a punto da influenzare e modificare il concetto stesso di un sostrato abitativo condiviso. Così che la tipica casa locale, alta e stretta, assume talvolta le proporzioni di una torre magica con scale anguste che si avvolgono su loro stesse, mentre la facciata pende lievemente in avanti, permettendo agli abitanti dell’ultimo piano di estendere il caratteristico gancio, utile a sollevare carichi da barche o chiatte nel punto d’approdo antistante. Me se le imbarcazioni in questione, sembra chiederci coi gesti l’ultima grande creazione dello studio BIG di Copenaghen, assieme ai locali Barcode Architects con sede a Rotterdam, invece di fermarsi fuori dalle mura proseguirono fino al di sotto di esse ed oltre i confini abitabili dell’edificio? Penetrando, in questo modo, in uno spazio geometrico attentamente calibrato per donare un qualche tipo di significato ulteriore alla particolare contingenza di coloro che si trovano all’interno… Privilegiati, senza dubbio (visto il prezzo di un appartamento) ma anche parte inerente di quel flusso pervasivo che caratterizza ed in qualche modo connota il senso stesso di un simile luogo interessante. Poiché a poco serve, un’arnia, senza il costante ronzio di coloro che vi producono il dorato “miele” all’interno. Dolce quanto l’esistenza di coloro che hanno già deciso, e gli altri che li seguiranno, di entrare a far parte del primo condominio di 442 appartamenti di cui una buona metà posizionati, per qualche piccolo ma significativo metro, oltre il confine calpestabile d’Europa. E sopra il grande lago artificiale noto come IJsselmeer o più brevemente IJ, costruito nel 1932 a partire dalla foce del fiume da cui prende il nome, prima che il mare interno dello Zuiderzee progressivamente drenato e fatto ritirare dalle terre reclamate d’Olanda.
Opere d’ingegneria pubblica e incapsulamento delle risorse idriche anch’esse tanto rappresentative dell’estrema competenza nazionale in materia, così come il vasto polo abitativo costituito da Amsterdam e Rotterdam è diventato, nel corso delle ultime decadi, un punto di riferimento per l’architettura post-modernista dell’intero società globalizzata di cui siamo parte. Per creazioni come questa dello Sluishuis (letter. “il cancello delle acque”) che si erge a partire dalla metà dello scorso anno per 49.000 metri quadri tra la zona di IJburg e il centro cittadino, con l’ulteriore utile apporto di 234 parcheggi sotterranei e 88 posti per le barche tra dimore galleggianti e yacht di varie dimensioni. Ma anche la notevole presenza di estensivi e giardini pensili sui propri tetti, raggiungibili mediante un percorso ascendente affine ad una vera e propria passeggiata panoramica tra il mondo umano e quello dell’iperborea e parzialmente acquatica natura antistante. Qualcosa di raramente visto altrove, e certamente non in questi termini alquanto impossibili da riprodurre nell’assenza di collocazioni paesaggistiche adeguate…