Soltanto una montagna, un’altra montagna tra i centomila picchi del Parco Naturale di Wulingyuan, patrimonio naturale dell’UNESCO dal 1992. Potreste conoscerli: protagonisti d’innumerevoli dipinti, paraventi ed opere figurative d’Asia, vedono la loro partecipazione più importante in epoca recente nel popolare film di fantascienza Avatar ed il suo seguito. Ciò che venne inaugurato, tuttavia, proprio in corrispondenza cronologica del secondo film della serie (2022) non avrebbe mai potuto comparire in esso; troppo forte, in parole povere, il carattere profondamente tipico delle sue aspirazioni e il risultato finale. Profondamente cinese, come trasposizione ultra-moderna ed ipertrofica di un’abitazione tradizionale diaojiaolou, costruita sulle palafitte dagli esponenti dell’etnia Tujia per proteggersi dagli animali selvatici e gli insetti mordaci del sopraelevato entroterra d’Asia. Per lo meno nominalmente, laddove il risultato finale appare spropositato ed incombente come il quartier generale di un’azienda cyberpunk, a tal punto antico e moderno si fondono nel dare animo a queste imponenti mura costellate di ordinate finestre rettangolari. Con due pletore di tetti sovrapposti, al tempo stesso spazi abitabili e pilastri che sorreggono, incredibilmente, un singolo edificio cuboidale sulla sommità. A sua volta fornito della mistica silhouette di una pagoda, come si trattasse di un luogo di culto dedicato alla venerazione dell’invisibile sapienza divina. Se non che siamo di fronte all’edificio principale del Qishi’er qi Lou (七十二奇楼) ovvero le Settantadue Torri Meravigliose, un complesso avveniristico fortemente voluto a partire dal 2019 dall’ente turistico della fiorente città-prefettura di Zhangjiajie (oltre un milione e mezzo di abitanti) al fine di “energizzare la vita notturna”, una terminologia scelta per sottolineare la maniera in cui i tipici turisti giunti nello Hunan, sia nazionali che stranieri, stanchi dopo le traversate dei ponti trasparenti, le arrampicate sulle scale parzialmente erose, le esplorazioni all’interno di ascensori su pendici montani, fossero semplicemente abituati ad andare a letto in albergo la sera. Senza spendere l’opportuno tempo, e risorse, nell’assaporare la cultura gastronomica ed il colore dell’artigianato locale! Una letterale perdita di potenziale per entrambe le parti dell’implicito accordo tra viaggiatore e popolazione locale. Allorché un rapporto di ecologia ambientale, prodotto sul finire della scorsa decade, avrebbe dato il via libera a questo imponente progetto da 392 milioni di yuan (50 mln. di euro) per 53.000 mq, contenenti tra le altre cose un hotel, due gruppi di appartamenti affittati come B&B, svariati ristoranti ed uno spazio di esposizione per mostre ed eventi culturali di vario tipo. Come resistere, a conti fatti, all’espressione implicita di un siffatto richiamo…
A me lo scheletro dell’Universo, disse il meccanismo dell’orologio
“Basta complicazioni!” Sulle argute vette dell’ignoranza, oltre le incolte valli della sapienza, il saggio si rivolse all’Infinito, lamentando il fondamentale fallimento dell’uomo. Le incomprensibili rivoluzioni degli astri. L’inarrestabile entropia dei momenti. “Ogni teorema, qualsiasi calcolo è del tutto vano. Manca la stasi in essere nella natura. Tutto scorre.” Come sarebbe mai possibile nello stato dei fatti vigente, cristallizzare il cambiamento… Così MAI disse il Dio demiurgo, o supremo essere creatore di conflitti, quando mise in moto la perpetua concatenazione delle cause ed effetti. E neppure, all’interno del proprio laboratorio, colui che impugna pinze per piegare molle negli alloggiamenti appropriati. Il praticante delle tecniche dell’orologio, la piccola macchina che come nel ripetersi di un disegno frattale, prende quella grande, per ridurla in termini del tutto incamerabili all’interno di un singolo sguardo. Ma “grande” e “piccolo”, se noi vogliamo, costituiscono dei termini del tutto relativi. Il che permette a pieno titolo di rimanere affascinati, colpiti, persino storditi dalla perizia cui hanno dato forma, nel lungo periodo di oltre 12 anni, la visione e l’ambizione di un uomo. Assieme a molti pagamenti, verso un marchio che voleva vivere o trionfare unicamente sulla forza delle proprie opere create su commissione. Mark Frank è il nome di quel mecenate, imprenditore immobiliare della zona di Chicago, nonché collezionista (e venditore) di orologi storici, moderni, contemporanei. La cui casa è un incubo dai molti ticchettii, per chi è dannato da un’udito ahimé troppo sensibile, ma anche il sogno di chi ama le macchine e vederle costantemente in funzione. Un principio se vogliamo che si trova pienamente realizzato, più che mai prima d’allora nella storia di quest’uomo ed innumerevoli altri, nella sua grande opera e fondamentale dono all’indivisa collettività pulsante; un’opera che prende per l’appunto il nome di Astro Skeleton Clock, dal peso di 300 Kg e dimensioni paragonabili al busto di un’intera persona. Poiché tre, erano i concetti cardine anteposti agli altri nel proporre la creazione del progetto, al costruttore australiano di Chelmsford (Bowral) noto alle cronache unicamente con l’appellativo familiare e marchio di Buchanan: dimensioni, movimento e complessità. Sostanzialmente i singoli pilastri più importanti di qualsiasi orologio. Per creare il magistrale segnatempo più complesso di ogni altro (o quanto meno, la maggior parte?) Tecnologia analogica ingegnerizzata fino alle sue più estreme conseguenze. Questo è l’oggetto, difficile negarlo, più improbabile ed impressionante dell’intera sezione orologistica di YouTube…
La magica circonferenza canadese, potenziale specchio meteoritico della Preistoria
Le grandi flotte, gli eserciti in marcia, le missioni aeronautiche a lungo raggio. Eppure molti tendono a dimenticare come, tra gli Stati Uniti e la Russia, la distanza minima sia di appena 88,5 Km. Da percorrere oltre i confini delle terre abitate, nel grande gelo soprastante in base a quella logica secondo cui l’estremo settentrione si trova “in alto”. Una via percorsa saltuariamente nel corso della seconda guerra mondiale ed oltre, quando i perlustratori aeronautici ricevevano l’ordine di sorvegliare eventuali movimenti per conto dei reciproci membri di quell’alleanza, destinata a sciogliersi pochi giorni dopo la caduta del comune nemico. Così come un qualcosa di simile si verificava verso l’altro lato di quel continente, attraversando l’alto e stretto Canada per estendere il controllo verso la terra di nessuno della vasta isola atlantica di Groenlandia. Il che poneva al centro il non troppo semplice quesito di come, effettivamente, navigare tali terre prive di rilievi riconoscibili o altri punti di riferimento, oltre le propaggini abitate del Circolo Polare Artico. Allorché una delle pietre miliari preferite dai piloti statunitensi non sarebbe diventato un lago dalla perfezione geometrica più unica che rara: un cerchio dal diametro di 3,44 Km lungo la penisola di Ungava, nel distretto amministrativo di Nord-du-Quebec. Così remoto, nel dipanarsi di paesaggi che nessun occidentale aveva mai esplorato, da essere del tutto sconosciuto in geografia, pur possedendo un appellativo attribuito dalla popolazione locale dei Nunavimiut, gli “Inuit che vivono in prossimità del mare”. Nome preso in prestito dalla parola Pingualuit, il termine locale comunemente riferito al tipo di lesioni o discontinuità che tendono a comparire sulla pelle di coloro che non indossavano abiti abbastanza coprenti, in un luogo dove le temperature invernali potevano anche scendere al di sotto dei 30 o 40 gradi sotto lo zero. Con l’opzionale alternativa, dall’impostazione metaforica decisamente più elegante, di Occhio di Cristallo di Nunavik, a causa della notevole trasparenza delle sue acque prive di sedimenti. Non che tale luogo avesse un qualche tipo d’importanza per il foraggiamento o l’organizzazione di eventuali villaggi, trovandosi nell’entroterra e senza fiumi di alcun tipo per collegarlo alle coste abitate. Chiaramente rifornito dalle sole piogge e scioglimento stagionale dei ghiacci, esso sarebbe dunque rimasto un’anomalia per i pochi che ne conoscevano l’esistenza, almeno finché a qualcuno non fosse venuto il desiderio di approfondire. E quel qualcuno fu il prospettore dei diamanti dell’Ontario Frederick W. Chubb, che nel 1950 decise di raggiungerlo assieme all’amico V. Ben Meen, direttore del Museo di Geologia di Toronto. Con l’unico tipo di mezzo in grado di atterrare nei dintorni: un idrovolante…
Lo spettro che non è un vampiro, ma può divorare gli altri latori dell’oscuro mantello
Persone della notte vivono nella natura, libere, selvatiche, potenti nella loro pratica distanza dalle regole imposte nel sistema di civile convivenza metropolitano. E se non vai a dormire, qualche volta potrà capitarti d’incontrarle ma chi pone un limite, davvero, alle crudeli peregrinazioni di coloro che venuti dalla giungla, pretendono di ritornarvi insanguinati a satolli? Chi uccide gli uccisori dei contesti tropicali sudamericani? Chi disegna i limiti del territorio sorvolato dai seguaci silenziosi dell’obnubilata condanna? In un importante mito messo per iscritto dalla tarda civiltà Maya, i due eroi gemelli Hunahpu e Xbalanque si erano recati ad affrontare delle prove nei territori sotterranei dell’oltretomba. Infiltrandosi nella pericolosa casa dei pipistrelli, essi dovettero impiegare la magia per nascondersi all’interno delle rispettive cerbottane. Ma Hunahpu, convinto che il peggio fosse passato, si sporse troppo presto con la testa per controllare i dintorni. E forti artigli piombarono a decapitarlo, trasportando via l’oggetto cranico per impiegarlo come palla nel gioco sacro delle divinità superne. Minaccioso e terribile, potente spirito esiziale: Camazotz era un peloso volatile antropomorfo dai diversi avatar disseminati tra gli alberi di questa Terra. Il più impressionante dei quali, senza dubbio, può configurarsi come l’agile “vampiro” gigante, la cui apertura alare sfiora, e qualche volta supera il metro bastando a farne il più imponente pipistrello carnivoro al mondo. Ora è consigliabile specificare come, contrariamente a quanto avessero pensato i primi classificatori scientifici nel XVIII secolo, il Vampyrum spectrum non succhi affatto il sangue (pratica connessa unicamente a tre specie di chirotteri: Desmodus rotundus, Diaemus youngii, Diphylla ecaudata) ma uccida piuttosto tramite un letale morso della sua mandibola, semplicemente la più forte, in proporzione alla grandezza, di ogni altro mammifero al mondo. Risultando sufficiente a ghermire i tremanti topi del sottobosco, gli incolpevoli pennuti assopiti nei nidi ed ogni volta che ne capiti l’opportunità, altri pipistrelli che cattura facilmente in volo, tracciandone il verso di ecolocazione grazie all’udito straordinariamente affinato. Così come l’olfatto, capace di farne un vero e proprio investigatore delle potenziali fonti di cibo oltre il velo impenetrabile dell’oscurità notturna. Perpetrando rituali non del tutto scevri di malignità apparente, il cui effettivo dipanarsi resta largamente ignoto a noialtri abitatori del cotesto diurno. Giacché non è particolarmente facile sottoporre a studi approfonditi chi abita in recessi assai remoti e raramente adiacenti, necessitando di ampi spazi ove trascorrere le lunghe ore in caccia per nutrire se stesso e la propria famiglia. Creature rare, anche nelle migliori delle circostanze, ed ancor prima che il Progresso si mettesse di traverso sulla strada della loro incolpevole sopravvivenza ulteriore…